Valentina Pistillo

Impegno e umanità

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I riconoscimenti della Polizia di Stato alle donne e agli uomini in divisa. Storie di eccezionale coraggio e di virtù

medagliati 164

Sono passati ben 164 anni dalla fondazione della nostra Istituzione, che conserva ancora tutta la sua coesione e solidità dal 1981, anno della riforma. La Polizia di Stato ricorda e onora le donne e gli uomini in divisa che hanno dimostrato, spesso pagando con la vita, l’attaccamento al dovere, il coraggio e il senso di responsabilità dettato fino all’estremo sacrificio, come si legge sulle motivazioni delle medaglie e delle promozioni per merito straordinario, consegnate durante la cerimonia alla caserma Ferdinando di Savoia, a Roma. Onorificenze che rendono orgoglioso chi ha tenuto fede in modo eccellente al giuramento fatto, dedicando una intera esistenza alla Polizia di Stato, i familiari di chi è stato strappato alla vita prematuramente, ma anche chi quotidianamente è impegnato in una sfida silenziosa per garantire la sicurezza a tutti i cittadini e in particolare alle fasce più deboli della popolazione. L’anno scorso la Polizia di Stato ha dovuto fronteggiare l’emergenza migranti, le cui tappe, scandite da eventi tragici come i numerosi naufragi al largo delle acque del Mediterraneo, hanno consentito ai poliziotti della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere di salvare oltre 153mila persone. A loro per il “costante impegno professionale profuso nel delicato settore del controllo delle frontiere e dell’immigrazione e per la gestione dell’epocale flusso di migranti ” va il riconoscimento alla Bandiera della Polizia di Stato. La motivazione della Medaglia d’oro ha confermato “la dedizione, l’altruismo, il senso del dovere e la mirabile tradizione dei valori istituzionali di coloro che operano a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, con spirito di abnegazione, per garantire la civile convivenza tra i popoli e salvaguardare la vita e la dignità dei migranti, suscitando la riconoscenza dell’intera Nazione”. 

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Un sorriso spalancato sul mondo - Rosario Sanarico

È il momento del ricordo, quello di richiamare alla memoria Rosario Sanarico, per tutti “Sasà”, il coraggioso sommozzatore della Polizia di Stato che ha legato il suo nome a molte imprese, che talvolta hanno sfiorato l’eroico.

Rosario Sanarico nasce, come poliziotto sommozzatore, proprio nel 1985, quando il comandante del Cnes, il Centro nautico e sommozzatori di La Spezia, era Maurizio Zaffino, uno degli eroi che, insieme a Francesco Forleo, e ai sommozzatori della P.S. Luigi Piscitelli, Nadio Piacentini ed Otello Ontarti, avevano realizzato una straordinaria operazione di recupero all’interno della grotta dell’Elefante Bianco, rimasta negli annali della storia della subacquea. Sasà si distingue subito: appena arruolato riesce a trarre in salvo due persone che, cadute in mare, erano rimaste intrappolate all’interno della loro auto. Nel 1994, insieme al collega Maurizio Imperatore, partecipa alle indagini che conducono all’arresto di un pericoloso pregiudicato, responsabile di una rapina in banca. Ma le operazioni che contraddistinguono l’eccezionale valore di questo “angelo del blu” sono certamente quelle legate al recupero, nel 1995, di un ingente quantitativo di esplosivo estratto dalle viscere del relitto della nave “Laura C”, affondata nelle acque di Reggio Calabria.

Passa poco tempo ed il nome di Sasà compare negli annali e nelle cronache di quella sfida “all’ultimo respiro” che lega il nome del cubano Francisco “Pipin” Ferreras a quello, tutto italiano, di Umberto Pelizzari, entrambi alla ricerca del record assoluto di apnea. In quell’occasione, è proprio Rosario a riportare in superficie l’esanime “Pipin”, colto dal black out durante la risalita.

Altra impresa eroica quella alla fine degli Anni ‘90, dove Sasà riporta in superficie l’esplosivo della nave mercantile Penelope, colata a picco a Monopoli, sottraendolo alle lunghe mani della criminalità organizzata.

Grazie all’addestramento ricevuto come specialista nel riconoscimento ordigni (E.o.r. sub), presso il Comando subacquei ed incursori della Marina Militare, insieme al corso di ardimento, nel 2000 emerge la figura di un serio professionista nei servizi di scorta, sicurezza e prevenzione che Rosario conduceva con competenza ma anche con la sua coinvolgente simpatia tutta partenopea: la visita dei reali di Spagna e di Olanda, il vertice Nato di Venezia, il G8 di Genova, solo per citare i più rilevanti. Nel 2008, il comandante del Cnes, Gianluca Greco, individua proprio Sasà tra i suoi collaboratori per portare a casa un successo investigativo senza precedenti: trovare riscontro alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, già legato alla camorra, che sosteneva di aver gettato, in un pozzo nell’agro campano, il cadavere smembrato di un affiliato. Giorni di ricerche tra pozzi e diffidenze, ma grazie all’intuito e all’umanità di Sanarico viene individuato il luogo giusto per recuperare le spoglie della vittima.

Tra il 2009 ed il 2012 Rosario partecipa alle complesse operazioni di salvataggio, in occasione delle numerose alluvioni nel Nord Italia. Il suo nome è legato anche alla fase di soccorso e ricerca dei dispersi durante il naufragio della Costa Concordia, al largo dell’isola del Giglio, e nelle fasi successive di recupero dell’enorme imbarcazione. Qualche mese fa il Brenta lo ha inghiottito, spegnendo per sempre la sua gioia contagiosa: mentre era in perlustrazione alla ricerca di Isabella Noventa, la segretaria cinquantacinquenne scomparsa il 15 gennaio a Padova, è rimasto incastrato sul fondo del fiume, sostando troppo tempo lì sotto, senza ossigeno. Il capo della Polizia consegna ai familiari di Sanarico la Medaglia d’oro al valor civile, alla memoria: a lui in molti devono la vita, ma anche il conforto del suo radioso sorriso.

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La forza del coraggio - Maurilio Vargiu

«Papà è il nostro eroe, è morto come è sempre vissuto: aiutando gli altri». È il saluto di Valerio e Federica Vargiu, i figli, studenti universitari poco più che ventenni, a Maurilio, il sostituto commissario che lavorava alla Zona telecomunicazioni Sardegna di Cagliari, ucciso con un colpo di fucile a 51 anni, dal cognato Gian Priamo Piras. 

Maurilio, quella mattina del 20 febbraio, a Soleminis, in provincia di Cagliari, era corso in aiuto della sorella che l’aveva chiamato per calmare il marito 58enne dopo un tentativo di suicidio. «Un atto di generosità incondizionato – dichiara Gennaro Ruggiero, il dirigente della Zona telecomunicazioni a cui Maurilio faceva spesso da vice – senza pensarci due volte, è andato a casa in aiuto della sorella. L’avrebbe fatto con chiunque perché era una persona generosa, si prodigava con tutti e aveva un forte senso della famiglia». 

La Medaglia d’oro al valor civile sarà consegnata ai familiari per “l’eccezionale coraggio, la determinazione operativa e l’umana solidarietà” ma anche per “l’altissimo senso del dovere e lo spirito di sacrificio”, come è scritto nella motivazione e come ha tenuto a sottolineare anche il suo dirigente. Maurilio ha lavorato dapprima a Orgosolo, poi è passato alla Squadra mobile di Cagliari dove è rimasto per otto anni. Dopo un passaggio alla divisione P.a.s.i. della questura e al Centro di raccolta v.e.c.a regionale, dal 2013 aveva scelto di lavorare alla Zona Tlc, il centro di gestione dei sistemi radio telefonici e telematici in uso a tutti gli uffici della Polizia di Stato della regione Sardegna. Una scelta meno operativa quella di un lavoro più tecnico, che forse aveva preferito per seguire i due figli, all’epoca adolescenti, di cui era molto orgoglioso. 

A Vargiu si rivolgeva tutto il personale di via Giovanni Battista Venturi, sede della Zona Tlc, per la grande capacità di risolvere i problemi. «Sapersi relazionare con i colleghi era il suo punto di forza: mai uno screzio con nessuno anche fuori dall’ufficio – conclude il suo dirigente – dove era stimato da tutti. Organizzava spesso coi colleghi tornei di calcio per beneficenza o in memoria dei poliziotti che avevano perso la vita». 

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Storia di eroismo e fatalità - Nicola Barbato e Giuseppe Tuccillo

â€‹È ancora a Imola per la riabilitazione motoria, l’assistente capo Nicola Barbato della Mobile di Napoli che, insieme al vice sovrintendente Giuseppe Tuccillo, quel 25 settembre, si fingeva commesso di un negozio di giocattoli di Fuorigrotta, per un servizio antiracket. Con addosso solamente la maglietta dell’esercizio commerciale di via Leopardi, il Capriccio, i due hanno affrontato i balordi che venivano a chiedere “il pizzo”. Nicola è riuscito ad afferrarne uno per il giubbotto che però si è divincolato e ha sparato. Raffaele Rende, pregiudicato di 28enne, ha esploso, in direzione dei due poliziotti in borghese, sei colpi di pistola in un inferno durato 7 secondi. Un proiettile ha raggiunto fatalmente Nicola alla nuca, procurandogli fratture multiple alle vertebre cervicali e dorsali. «Tuccillo e Barbato hanno fatto sempre i “cantieri” (in gergo si chiamano così gli appostamenti ai cantieri edili e presso le attività commerciali per il contrasto al fenomeno estorsivo) e sono due seri professionisti, esperti investigatori – dichiara il sostituto commissario che guida il gruppo investigativo della sezione criminalità organizzata di cui facevano parte – due fiori all’occhiello di una squadra le cui luci dell’ufficio non si spengono mai, neanche durante le feste comandate». 

Tuccillo, 43 anni, si è fatto le ossa sulle Volanti a Casal di Principe e poi è entrato alla sezione “catturandi” della Mobile. Ha avuto anche un’altra promozione per meriti straordinari quando ha arrestato, insieme ai colleghi, Giuseppe Dell’Aquila, il boss latitante di Giuliano (Na). Dopo è passato alla sezione criminalità organizzata dove ha incontrato Barbato. Una vita, quella di Nicola, spesa alla Mobile, dove lavorava da oltre 15 anni. Ora per colpa di quel proiettile è costretto su una sedia a rotelle. «Insieme ai colleghi andiamo a trovarlo, una volta al mese, nella clinica di Montecatone in Emilia – continua il loro coordinatore che è legato da un’amicizia profonda che va oltre l’orario di lavoro – per fargli compagnia e incoraggiarlo. Parliamo con lui delle operazioni e degli arresti come se stesse ancora lavorando con noi». 

«Nicola è assistito dalla moglie Angela e dai suoi figli Luigi e Giovanna – spiega il sostituto commissario – che si sono trasferiti con lui a Imola. Barbato ha sempre avuto un fisico atletico ed è un uomo con grande forza d’animo: per fortuna non è più in pericolo di vita. Ha fatto enormi progressi, anche se ancora è immobilizzato dal bacino in giù. Riesce a muovere solo la parte superiore del corpo». 

Entrambi hanno ricevuto la Medaglia al valor civile e la promozione per merito straordinario come è scritto sulla motivazione: “mirabili esempi di elette virtù civiche e di esemplare senso del dovere”. 

Ma per loro, che sono l’orgoglio di un Sud onesto e laborioso, l’impegno e lo spirito di sacrificio non si possono quantificare con le onorificenze. «Il più bel regalo però – concludono i colleghi – Nicola lo ha fatto alla sua famiglia e a noi: quello di sopravvivere e tornare a sorridere».

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Il superpoliziotto - Calogero Germanà

Non è un poliziotto qualunque Calogero Germanà, detto Rino. Siciliano, nato a Catania, ha lasciato la sua terra in un drammatico giorno del 1992, quando tre killer tentarono di ucciderlo a colpi di Kalashnikov, in un sanguinoso agguato sul lungomare “Fata Morgana” di Mazara del Vallo. Il commando era formato da Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano. Germanà, che dirigeva il commissariato della città trapanese, riuscì a mettersi in salvo, tuffandosi in acqua, ma da quel giorno l’esistenza di questo investigatore che lavorava a stretto contatto con Paolo Borsellino, per indagini di mafia e riciclaggio di denaro, cambiò radicalmente con un trasferimento allo Servizio centrale operativo di Roma. Per sdrammatizzare, ironizza su un aneddoto capitato durante la sua vita, spesa alla ricerca dei latitanti: «Cercavamo un mafioso negli Anni ’80 e, dopo varie indagini, ci siamo accorti che era morto da tempo. La vita bisogna prenderla con ironia», scherza il dirigente superiore sopravvissuto ad un agguato mafioso, felice di ricevere un’ altra onorificenza che lo ha premiato “per l’appassionata abnegazione al servizio dello Stato nel pieno dello stragismo mafioso”. Un curriculum professionale brillante il suo, che inizia nel 1979 quando entra in polizia, mentre studia da procuratore legale, e termina l’anno scorso quando è andato in pensione. Di incarichi Germanà ne ha ricoperti molti: dalla direzione delle Squadre mobili di Agrigento e Trapani, alla Scientifica di Bologna, dalla Direzione antimafia di Roma, all’incarico come questore a Forlì e poi a Piacenza. Oggi vive a Forlì e, con la pensione, ha deciso di stare vicino ai suoi tre figli e alla moglie, coltivando la passione per le piante e la scrittura: «Ho iniziato un libro autobiografico, raccontando esperienze, ansie, ed errori che hanno accompagnato la mia carriera», confessa a Poliziamoderna.

23/05/2016