Annalisa Bucchieri

Bentornato poliziotto

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Una lunga carriera investigativa al servizio della legalità e della sicurezza iniziata nella Polizia di Stato. Ed ora Franco Gabrielli ritorna da Capo

Franco Gabrielli

Poliziotto lo è stato fin dagli esordi Franco Gabrielli, oggi ai vertici del Dipartimento della pubblica sicurezza, dopo che lo scorso 29 aprile il Consiglio dei ministri lo ha nominato capo della Polizia. Una storia di incarichi importanti la sua, anche in Istituzioni diverse.

Ma cominciamo dall’inizio, quando nel 1985, da vice commissario, inizia la sua carriera al VI Reparto mobile di Genova. Dopo due anni è alla Digos di Imperia e nell’aprile del 1987 conduce una complessa operazione con le polizie francese e spagnola su una pericolosa organizzazione eversiva che si conclude con la cattura dei responsabili di gravi crimini. Nel capoluogo ligure inizia un percorso investigativo che lo porterà a smantellare le Br-Ucc (Unità comunisti combattenti) e a coordinare le indagini che permetteranno di chiarire le responsabilità delle stragi mafiose della primavera estate del 1993, un momento particolare per il Paese perché le bombe gettate nel mucchio tornano a fare rumore con vittime e macerie, con gli attentati di via Fauro a Roma (14 maggio), via dei Georgofili a Firenze (27 maggio) e a Milano in via Palestro (28 luglio). La sua carriera prosegue nella Digos di Firenze, dove coordina le indagini relative all’eversione e alle stragi mafiose, a stretto contatto con il magistrato Gabriele Chelazzi, uno dei protagonisti delle investigazioni di quel periodo particolarmente delicato. Il trasferimento a Roma, in veste di capo di gabinetto della Direzione centrale della polizia criminale nel Servizio centrale di protezione, coincide con l’omicidio del professor Massimo D’Antona, consulente del ministero del Lavoro, caduto per mano delle Brigate rosse che a poche ore dall’assassinio ne rivendicarono l’agguato. L’omicidio D’Antona riapre la stagione degli omicidi delle Br che si ripropongono all’attenzione dell’opinione pubblica con la sigla Nuove Brigate rosse, il cui progetto è quello di colpire figure chiave legate al contesto politico della riforma del mondo del lavoro. 

Nel giugno del 1999, il futuro prefetto viene trasferito al Servizio antiterrorismo della Direzione centrale della Polizia di prevenzione per partecipare alle indagini di quella stagione di sangue: all’omicidio D’Antona infatti seguiranno l’assassinio del giuslavorista Marco Biagi (19 marzo 2002) e il conflitto a fuoco sul treno Roma-Firenze (2 marzo 2003), che costerà la vita al sovrintendente Emanuele Petri.

Il ruolo svolto nelle indagini per la cattura dei brigatisti responsabili di questi omicidi gli ha fatto guadagnare, nell’ottobre 2003, la promozione per meriti straordinari a dirigente superiore. Dopo alcuni anni alla guida della Digos capitolina, nel maggio del 2004 è la volta della Direzione centrale della polizia di prevenzione, con la qualifica di consigliere ministeriale aggiunto, dove cura l’istituzione e l’organizzazione del Casa (Comitato analisi strategica antiterrorismo), un importante strumento finalizzato a valutare la minaccia terroristica interna e internazionale. 

Arriviamo all’estate del 2005, quando una serie di esplosioni causate da attentatori suicidi minano il sistema dei trasporti pubblici di Londra durante l’ora di punta: tre treni della metropolitana e un autobus vengono colpiti contemporaneamente, causando 56 morti e 700 feriti. L’attentato viene rivendicato da Al Qaeda: è l’11 settembre europeo. Gabrielli, direttore del Servizio centrale antiterrorismo, partecipa alle indagini che permetteranno di catturare in Italia uno dei responsabili di quel terribile attentato. 

L’anno successivo è alla guida del Sisde e, dopo la riforma dei Servizi di informazione, dell’Aisi; è il più giovane capo dei servizi segreti civili italiani. 

Siamo al 2009: il 6 aprile è una tragica data per il nostro Paese, un violento sisma con epicentro nei pressi dell’Aquila fa tremare ripetutamente il territorio abruzzese. Oltre 300 le vittime e danni di entità incalcolabile, la città è praticamente devastata. 

È necessaria una persona capace non solo di gestire il momento dell’emergenza ma anche di vigilare sulla regolarità degli appalti per evitare infiltrazioni della criminalità organizzata, il Consiglio dei ministri lo nomina prefetto dell’Aquila e vice commissario vicario per l’emergenza terremoto. In quella veste gestirà anche la sicurezza per il G8, che per motivi simbolici si è svolto nel luglio dello stesso anno proprio nella città colpita dal sisma, per dare al mondo il segnale forte di un rilancio.

Il 2010 è l’anno del passaggio alla Protezione civile, prima come vice capo dipartimento e successivamente al timone, andando a sostituire Guido Bertolaso. Un compito non facile il suo, anche in considerazione delle inchieste che avevano investito quel Dipartimento. 

Sono molte le sfide che si trova ad affrontare in questo ruolo, come l’emergenza immigrazione dal Nord Africa e il recupero e la messa in sicurezza della motonave Costa Concordia in qualità di commissario delegato per l’emergenza, a seguito del naufragio avvenuto il 13 gennaio del 2012, nei pressi dell’Isola del Giglio. Ma questa non sarà l’unica grande prova di quell’anno. Un altro grave sisma è infatti destinato a colpire il Paese, quello che nel maggio 2012 ha messo in ginocchio l’Emilia, provocando 27 morti, 350 feriti e ingenti danni agli edifici, lasciando sfollate circa 19mila persone. Il coordinamento della gestione dei soccorsi e degli aiuti sui territori della Pianura Padana colpiti dal sisma si è protratto fino al luglio di quell’anno. L’incarico di capo Dipartimento della protezione civile è stato riconfermato anche nei due anni successivi; il resto è storia recente. 

La nomina a prefetto di Roma, nel 2015, per realizzare «il necessario raccordo operativo tra le varie Istituzioni interessate in vista del Giubileo della Misericordia», e a sorpresa, prima di concludere l’incarico, la nomina a Direttore generale della Pubblica Sicurezza. Un ritorno al futuro, in pieno stile. 

Gli auguri di buon lavoro sono d’obbligo. Il bentornato poliziotto, da parte di tutti noi, viene dal cuore. 

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IL DISCORSO DI INSEDIAMENTO DEL CAPO DELLA POLIZIA, FRANCO GABRIELLI

Signor Ministro, 
caro Alessandro, 
cari colleghi e amici, 
Signore e Signori.

Oggi, nell’assumere l’incarico di Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, riaffermo la mia incondizionata fedeltà alla Carta Costituzionale, sulla quale giurai 30 anni fa e che da sempre rappresenta la stella polare della mia azione e dei miei comportamenti.

Rinnovo a Lei Signor Ministro, e per il Suo tramite al Governo del Paese, i miei più deferenti ringraziamenti per la fiducia accordatami, fiducia che onorerò con tutto me stesso.

Le assicuro, fin d’ora, che, fatta salva l’irrinunciabile esigenza di manifestarLe sempre il mio pensiero, anche qualora fosse di contrario avviso, ogni Suo ordine, ogni Sua direttiva, nel rispetto della Legge, troveranno puntuale esecuzione in me e nella squadra della Polizia di Stato, componente essenziale di quella che Lei giustamente e orgogliosamente chiama la “Squadra Stato”.

Mi permetta, Signor Ministro, di aggiungere i ringraziamenti a quanti hanno permesso a me, oggi, di raggiungere un così alto Ufficio; a tutte le donne e a tutti gli uomini che mi hanno accompagnato e sostenuto in questi anni, dal VI Reparto Mobile di Genova, alle Questure e Prefetture in cui ho esercitato, a vario titolo, la mia funzione di comando, al Dipartimento della PS, all’Intelligence come al Dipartimento della Protezione Civile. Lo debbo principalmente a loro se sono qui oggi.

Un grazie commosso ai miei Maestri, che non necessariamente sono stati i miei Superiori, soprattutto a quelli che oggi non sono più tra noi. Voglio ricordare con Voi Antonio Manganelli, indimenticabile fraterno amico, che per oltre 20 anni mi ha apprezzato, valorizzato e sempre tutelato nei momenti difficili.

Un pensiero riconoscente a tutti i nostri caduti alla cui memoria e al cui esempio impronterò ogni mia azione, certo che solo nel rispetto della nostra migliore storia sarà possibile costruire il futuro che auspichiamo.

Grazie ai miei familiari che, spesso in silenzio e sopportando le inevitabili ricadute di un lavoro assorbente e totalizzante, mi sono stati vicino e mi hanno spronato e in particolare ai miei genitori – Edi e Franino – che mi hanno insegnato il rispetto degli altri e il valore dell’onestà sopra ogni cosa.

Un invito rivolgo alle nostre Organizzazioni Sindacali, irrinunciabile conquista della Riforma dell’81, perché ci sia sempre dialogo e confronto con l’obiettivo prioritario della tutela della nostra gente e dell’Amministrazione che noi tutti, con varie e diversificate responsabilità, rappresentiamo, convinto che la nostra missione non debba mai essere la salvaguardia di interessi particolari ma il perseguimento del bene comune e la sicurezza dei nostri concittadini. Ma dovremo essere noi stessi i primi a saper giudicare con rigore e severità chi infanga la propria divisa, vanificando il lavoro e il sacrificio dei più. Chi sbaglia deve pagare, a partire da quelli che hanno compiti di maggiore responsabilità. 

Ai colleghi delle altre Forze di Polizia, nel mio ruolo di Direttore Generale di Pubblica Sicurezza, assicuro una visione d’insieme e un conseguente approccio sistemico, convinto come sono che le diverse “giubbe”, espressione di storie, tradizioni, culture e competenze diverse, siano un arricchimento e non un motivo di contrapposizione, essendo ormai un dato acquisito che i nostri concittadini non sono più disposti a sopportare anacronistiche competizioni ma pretendono risposte tempestive ed efficaci che solo una sinergica azione può garantire.

Signor Ministro, la Polizia di Stato, al pari di tutta la Pubblica Amministrazione, sta per vivere una stagione di profonde trasformazioni e credo che il modo più corretto per affrontarle vada  ricercato in un coraggioso processo di innovazione. Innovazione intesa non come un’operazione di facciata, tanto appariscente quanto effimera, bensì come un percorso profondo e meditato di cambiamento che per incidere realmente deve trovare il convinto consenso e coinvolgimento di chi di quel cambiamento dovrà essere protagonista.  

Un cambiamento che non potrà prescindere da una sempre più accentuata nostra presenza sul territorio e dalla riaffermazione del nostro ruolo di Autorità di Pubblica Sicurezza, vero elemento distintivo del nostro essere forza di polizia.

Agli oltre centomila appartenenti alla Polizia di Stato assicuro che spenderò ogni istante del mio mandato per rappresentarli adeguatamente, stando davanti a loro in tutte le battaglie per difendere la loro dignità e la loro insostituibile funzione di presidio di legalità nel nostro Paese, convinto come sono che l’Autorità si esercita servendo. 

Mi permetta, Signor Ministro, di concludere questo breve intervento con le parole di un filosofo e Santo a me molto caro, Tommaso Moro, martire della Verità. 

“Signore dammi la forza di cambiare le cose che possono essere cambiate, la pazienza per sopportare quelle che non possono essere cambiate ma soprattutto l’intelligenza di sapere riconoscere e distinguere le une dalle altre”.

Ancora grazie   

Roma, 19 maggio 2016

23/05/2016