Violazioni amministrative e controllo del territorio (seconda parte)

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Principi generali

inserto maggio 2016

1. Premessa

In questa seconda parte dell’inserto vengono trattati i principi generali che disciplinano le procedure di accertamento, di contestazione, di estinzione e di emissione delle ordinanze-ingiunzione delle violazioni amministrative. Le prescrizioni procedurali completano il quadro dei principi generali e costituiscono riferimenti certi della complessa attività operativa.

2. I principi generali delle violazioni amministrative

I principi generali degli illeciti amministrativi costituiscono il riferimento costante per tutti gli operatori impegnati nella complessa e delicata funzione di legalità e di sicurezza del territorio. Essi sono mutuati dal diritto penale e acquistano significati dal valore etico e giuridico, in grado di orientare l’operatore nella corretta applicazione delle norme violate, nel pieno rispetto delle prescrizioni procedurali. E sono queste che garantiscono diritti fondamentali, come l’esatta definizione dell’illecito, la necessità della contestazione immediata, l’obbligo di riportare nella verbalizzazione le dichiarazioni del trasgressore, i termini di notifica di natura perentoria, l’esatta indicazione delle modalità con le quali il trasgressore può estinguere il tutto e l’Autorità alla quale poter ricorrere.

 

2.1 Più violazioni che prevedono sanzioni amministrative

Testo normativo - articolo 8 l. 689/81
Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con una azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono, sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo.
Alla stessa sanzione prevista dal precedente comma soggiace anche chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie (*).
La disposizione di cui al precedente comma si applica anche alle violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 2 dicembre 1985, n. 688, per le quali non sia già intervenuta sentenza passata in giudicato (*).

(*) Comma aggiunto dall’art. 1-sexies del dl 2 dicembre 1985, n. 688.

Commento
Salvo che sia diversamente stabilito da leggi speciali, chi, con una azione o una omissione, viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative ovvero commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo. Questo principio del cosiddetto concorso formale, mutuato dal diritto penale, risulta di difficile applicazione alle violazioni amministrative. Sebbene infatti tale principio nel campo penale trovi una sua collocazione inattaccabile e giustificata, nel campo amministrativo, quando una persona con una azione viola più norme, potrebbe essere solo l’autorità competente ad applicare questo principio, a richiesta dell’interessato o d’ufficio. L’operatore che accertata le violazioni infatti, anche se commesse in un quadro riconducibile al concorso formale, deve avviare procedimenti amministrativi sanzionatori singoli per ogni violazione, come se la norma non esistesse, indicando tutte le somme da pagare a titolo di pagamento in misura ridotta. Per tutte le violazioni, infatti, essendo previsto l’obbligo della contestazione come condizione di procedibilità, è evidente che all’atto dell’accertamento, nel caso di violazioni di più norme, nasceranno tanti singoli procedimenti quante sono le norme violate e solo in sede di ricorso dinanzi all’autorità amministrativa competente per materia, sarà possibile richiedere l’applicazione d’ufficio del principio introdotto dall’art. 8, che comporta la possibilità di irrogare la sanzione più grave comminata per le norme violate, aumentata sino al triplo. Inoltre, applicare la sanzione più grave, aumentata sino al triplo, è sicuramente più sfavorevole del ricorso al pagamento in misura ridotta, previsto per le singole violazioni. Allo stesso modo, la possibilità di ricorrervi d’ufficio da parte dell’autorità amministrativa competente per materia, sebbene astrattamente possibile, è di difficile applicazione, in quanto l’entità della sanzione, che nasce dall’applicazione del principio, risulterebbe così notevolmente più elevata di quanto ordinariamente previsto per il pagamento in misura ridotta delle singole sanzioni da comportare l’onere, da parte del responsabile del procedimento, di motivarne le ragioni. Appare poi difficile che questo possa annullare la possibilità del pagamento delle singole sanzioni in misura ridotta, necessariamente indicato in tutti gli atti di verbalizzazione, nascente dal diritto soggettivo, di natura pubblicistica.

 

2.2 Reiterazione delle violazioni (*)

Testo normativo - articolo 8 - bis l. 689/81
Salvo quanto previsto da speciali disposizioni di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un’altra violazione della stessa indole. Si ha reiterazione anche quando più violazioni della stessa indole commesse nel quinquennio sono accertate con unico provvedimento esecutivo.
Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni.
La reiterazione è specifica se è violata la medesima disposizione.
Le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria.
La reiterazione determina gli effetti che la legge espressamente stabilisce. Essa non opera nel caso di pagamento in misura ridotta.
Gli effetti conseguenti alla reiterazione possono essere sospesi fino a quando il provvedimento che accerta la violazione precedentemente commessa sia divenuto definitivo. La sospensione è disposta dall’autorità amministrativa competente, o in caso di opposizione dal giudice, quando possa derivare grave danno.
Gli effetti della reiterazione cessano di diritto, in ogni caso, se il provvedimento che accerta la precedente violazione è annullato.

(*) Articolo aggiunto dall’art. 94, del dlgs 30 dicembre 1999, n. 507.

Commento
Questo istituto è stato introdotto dal decreto legislativo 507 del 1999 per colmare una lacuna vistosa che aveva ostacolato la valutazione appropriata di quei comportamenti antigiuridici, che si fossero reiterati con una certa frequenza e fossero stati commessi dalle stesse persone, anche a causa della scarsa deterrenza della sanzione pecuniaria prevista ovvero della incapacità dell’ordinamento di garantire certezza alla normativa. Secondo questa norma, salvo quanto previsto dalle speciali disposizioni di legge, si configura la reiterazione nel campo delle sanzioni amministrative quando nei cinque anni successivi alla commissione della violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un’altra violazione della stessa indole. Si ha la reiterazione anche quando più violazioni della stessa indole, commesse nel quinquennio, sono accertate con un unico provvedimento esecutivo. Il legislatore chiarisce poi che per “stessa indole” vanno intese quelle violazioni dalla medesima disposizione e quelle disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o carattere fondamentale connesso. Secondo questa definizione, ricorre la stessa indole anche per le violazioni commesse in tempi diversi per omogeneità dei caratteri fondamentali, per le modalità della condotta ovvero per la natura dei fatti contestati. Accanto a questo concetto di reiterazione generica, è stato introdotto anche quello di reiterazione specifica, che si perfeziona quando è violata la medesima disposizione di legge. Le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate ai fini della reiterazione quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria. È esclusa, perciò, la possibilità di configurare la reiterazione quando più violazioni amministrative, seppure della stessa norma, sono commesse in tempi così ravvicinati da configurarsi come atti di uno stesso disegno antigiuridico e, perciò, riferibili a una stessa programmazione unitaria, ovvero a una stessa condotta, messa in atto dal soggetto per raggiungere un obiettivo. Quando si configura la reiterazione scattano gli effetti che la singola legislazione violata prevede, che si concretizzano in un aumento delle sanzioni e nell’applicazione di sanzioni accessorie. Non si ha mai reiterazione nel caso di pagamento in misura ridotta della sanzione. Il soggetto, perciò, ricorrendo al pagamento in misura ridotta elimina l’effetto della reiterazione. Gli effetti conseguenti alla reiterazione possono essere sospesi fino a quando il provvedimento che accerta la violazione precedentemente commessa sia divenuto definitivo. La sospensione è disposta dall’autorità amministrativa competente, o in caso di opposizione dal giudice, quando possano derivare grave danni. Gli effetti della reiterazione cessano di diritto in ogni caso se il provvedimento che accerta la precedente violazione è annullato. Quest’ultima previsione è di difficile attuazione per tutte quelle violazioni amministrative (e sono la stragrande maggioranza) per le quali è possibile il ricorso al pagamento in misura ridotta. Nel caso di procedimento sanzionatorio, instaurato a carico di un soggetto, per il quale era stata accertata una violazione alla stessa norma nel quinquennio precedente e per la quale lo stesso non aveva fatto ricorso al pagamento in misura ridotta, ma aveva presentato ricorso all’autorità competente e da questa era stato riconosciuto responsabile con provvedimento definitivo, all’istaurarsi del secondo provvedimento, il ricorso al pagamento in misura ridotta è possibile solo se il primo provvedimento sia divenuto definitivo. Nel caso invece sia ancora pendente il ricorso relativo alla prima violazione, l’instaurarsi del secondo procedimento incontra gravi problemi nel definire le modalità della contestazione, ove devono essere indicate, in maniera inequivocabile, le possibilità del ricorso al pagamento in misura ridotta, con l’indicazione delle somme da pagare a titolo di estinzione della violazione. Poiché gli effetti della reiterazione introdotti comportano generalmente un aumento della sanzione e, pertanto, un aumento della somma da pagare a titolo di estinzione, sino a quando non è certa la possibilità di configurare la reiterazione a carico del soggetto non si conoscerà con esattezza la cifra da indicare a titolo di pagamento in misura ridotta. Pertanto, già all’atto della contestazione dovrà essere notificato all’interessato che il procedimento è sospeso in attesa delle decisioni dell’Autorità amministrativa e del Giudice, qualora avverso l’ordinanza ingiunzione dell’autorità competente il soggetto sia ricorso all’autorità Giudiziaria.
Il dlgs 8/2016,all’art 4 (sanzioni amministrative accessorie), prevede che:

  1. In caso di reiterazione specifica (*) di una delle violazioni di seguito indicate, l’autorità amministrativa competente, con l’ordinanza ingiunzione, applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della concessione, della licenza, dell’autorizzazione o di altro provvedimento amministrativo che consente l’esercizio dell’attività da un minimo di dieci giorni a un massimo di tre mesi:
    • articolo 668 del codice penale;
    • articolo 171-quater della legge 22 aprile 1941, n. 633;
    • articolo 28, comma 2, del decreto del presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
  2. Allo stesso modo provvede il giudice con la sentenza di condanna qualora sia competente, ai sensi dell’articolo 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, a decidere su una delle violazioni indicate nel comma 1.
  3. Per gli illeciti amministrativi di cui al comma 1, in caso di reiterazione specifica, non è ammesso il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 68.

(*) La reiterazione specifica è disciplinata dal comma 3 dell’art 8 bis della legge 689/1981.

 

2.3 Principio di specialità

Testo normativo - articolo 9 l. 689/81
Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.
Tuttavia quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali.
Ai fatti puniti dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni ed integrazioni, si applicano soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande.

Commento
Il principio di specialità diventa rilevante quando tra due norme giuridiche, la sfera di applicazione di una (speciale) rientra in quello più ampio dell’altra, che ha una portata generale. Quella speciale però presenta nella fattispecie regolata elementi specifici che la rendono rivolta ad un settore più delimitato; la specialità, infatti, implica identità di tutti gli elementi delle norme coesistenti con l’aggiunta, per una di esse, di particolari elementi caratterizzanti che ne riducono la portata.
Questa disciplina, già contenuta nell’art. 15 del cp, è stata trasferita nell’art. 9 della legge 689/81, con la differenza che quest’ultima norma riferisce il conflitto di norme “quando uno stesso fatto è punito”, mentre la prima lo correla alla “stessa materia”. Questa diversità può essere interpretata nel senso che il principio rileva non riguardo alla fattispecie normativa estratta ma al singolo caso concreto.
Altra differenza di rilievo tra il principio penalistico di cui all’articolo 15 cp e quello applicabile alle sanzioni amministrative, di cui all’articolo 9 della legge 689/81, é che quest’ultima norma non fa riferimento a quei principi della consunzione (assorbimento) e della sussidiarietà utilizzati concretamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza a completamento di quello di specialità. Principi, questi, che trovano puntuali riferimenti nell’art. 68 del cp che prevede l’ipotesi di assorbimento nel concorso tra circostanze delle quali l’una ricomprenda l’altra. Nell’articolo 84 del cp é disciplinata la figura del reato complesso e lo stesso articolo 15, nell’enunciare il principio di specialità, precisa che esso si applica “salvo che la legge disponga altrimenti” salvo, cioè, che esistano criteri sussidiari diversi.
La chiarissima previsione normativa dell’articolo 9 della legge 689/81, esclude la possibilità che alle sanzioni amministrative siano applicabili questi due principi che, nel tempo penalistico, completano quello di specialità.

Il concorso con le norme regionali o delle province autonome di Trento e Bolzano
Come previsto dal secondo comma dell’articolo 9, la norma penale prevale su quella regionale o delle province autonome di Trento e Bolzano anche in deroga al principio di specialità enunciato al comma primo. La precisazione é finalizzata a rendere omogenee possibili ipotesi di diseguaglianze normative tra regioni diverse. Il principio sancisce inoltre il primato del diritto penale sugli altri settori dell’ordinamento in quanto finalizzato a garantire interessi primari della collettività. La norma non fa riferimento ai comuni e alle altre province in quanto questi enti non possono emanare atti, con valore di legge e, perciò, é impossibile invocare il principio di specialità per dirimere controversie che non possono verificarsi.
Il terzo comma della norma é stato così sostituito dal dlgs 507/1999, che ha introdotto una eccezione alla disciplina dei primi due.
In particolare, é stata sostituita la originaria disciplina che prevedeva “in ogni caso” l’applicazione delle disposizioni penali per le violazioni degli articoli 5, 6. 9 e 13 della legge 283/1962, in tema di igiene degli alimenti.
La nuova disciplina introdotta prevede che “Ai fatti previsti dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 283/1962 e successive modificazioni ed integrazioni, si applicano soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e bevande”.
Oltre ad eliminare le previsioni degli articoli 9 e 13 della citata legge e a inserirvi l’articolo 12, la nuova disciplina è chiaramente orientata a escludere in maniera assoluta qualsiasi possibilità di applicazione delle sanzioni amministrative per fattispecie riconducibile alle norme anzidette. Questa scelta é giustificata dalle finalità perseguite dalle norme interessate, destinate a tutelare l’igiene e la sanità pubblica e rappresenta una risposta ad un elevato allarme sociale, riconducibile al diffondersi di patologie che possono essere causate anche da omessa osservanza delle prescrizioni di settore.

 

2.4 Sanzione amministrativa pecuniaria e rapporto tra limite minimo e limite massimo

Testo normativo - articolo 10 l. 689/81
La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore ad euro 10,00 e non superiore a euro 15,00. Le sanzioni proporzionali non hanno limite massimo (*).
Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione superare il decuplo del minimo.

(*) Comma così modificato dall’art. 96 del dlgs 30 dicembre 1999, n. 507.

Commento
Questa previsione, rivista dal decreto legislativo 507 del 1999, mutua dall’articolo 24 del codice penale il principio della indicazione del limite minimo e del limite massimo generale delle sanzioni. Nella stesura originaria di questa norma, la sanzione amministrativa pecuniaria consisteva nel pagamento di una somma non inferiore a lire quattromila e non superiore a venti milioni; le sanzioni proporzionali non avevano limiti. Al di fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo di una sanzione amministrativa non poteva per ciascuna violazione superare il tetto stabilito. I limiti edittali sono stati rivisti dal citato decreto legislativo, anche se nel frattempo il limite minimo aveva perso efficacia con l’ introduzione del principio, sancito dall’art. 52 del decreto legislativo 213 del 24.6.1998, sull’ introduzione dell’euro, che aveva rivisto l’istituto del pagamento in misura ridotta riferendolo al doppio del minimo, se più favorevole, solo quando era espressamente previsto dalla norma sanzionata. Tutte le volte invece in cui la sanzione edittale é prevista solo nel massimo, come nella grande maggioranza delle norme depenalizzate, la possibilità di estinguere la violazione è riferibile solo a un terzo del massimo. Prima della modifica apportata dal dlgs 203/1998, per tutte le norme depenalizzate che non prevedevano il minimo della sanzione edittale, la Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante, aveva ritenuto possibile l’estinzione della sanzione mediante il pagamento di una somma pari al doppio del minimo previsto dall’art. 10 della legge 689/81 e fissato in lire quattromila. Questo orientamento, aveva finito col vanificare tutte le norme depenalizzate prive del minimo edittale. L’irrisorietà della sanzione da pagare (ottomila lire) aveva in pratica cancellato ogni capacità di deterrenza della norma e le ipotesi di ricorso a questa applicazione non erano residuali; basti pensare all’art. 17 della legge 283/62, che puniva tutte le violazioni ai regolamenti in tema di igiene e sanità, con la sanzione amministrativa pecuniaria sino a un milione e cinquecentomila. La mancanza del minimo edittale portava alla possibilità di estinguere la violazione col pagamento di sole lire ottomila, invocando l’applicazione dell’art. 10 della legge 689/81.

 

2.5 Criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie

Testo normativo  - articolo 11 l. 689/81
Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche.

Commento

La gravità della violazione
Per gravità della violazione deve intendersi non tanto quella astratta dell’infrazione commessa, quanto la gravità del singolo fatto accertato, specie con riferimento all’ intenzionalità dimostrata dall’autore e agli altri elementi oggettivi come l’entità del danno cagionato o le circostanze in cui si materializzava il comportamento illecito. Questo riferimento alla intrinseca gravità di un fatto illecito é da sempre considerato uno dei parametri di determinazione equa della pena. Appare evidente infatti, in ossequio al principio retributivo della pena reale, che il “castigo” sia proporzionato alla pericolosità e al disvalore sociale del fatto illecito commesso. Non sarebbe “giusto” punire con pena identica comportamenti aventi oggettiva diversa rilevanza. Ne è prova anche il riferimento all’ intenzionalità del fatto, che chiama in causa indirettamente le indagini sull’elemento soggettivo, seppure non per distinguere dolo da colpa bensì per prendere in esame il grado di intenzionalità dell’autore ,quale parametro di riferimento non trascurabile nel definire la gravità della violazione.

L’opera svolta per l’eliminazione o l‘attenuazione della violazione
Nel campo penalistico l’art. 62, n. 10, prevede come attenuante l’essersi adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
L’inserimento della valutazione dell’opera, svolta dall’autore dell’illecito amministrativo, per ridurne o eliminarne le conseguenze negative é sicuramente ispirato alla norma penale, ma con significative variazioni. Nel campo penalistico, infatti, l’attenuante ricorre solo quando l’azione é spontanea ed efficace, mentre, nel l’illecito amministrativo, il riconoscere come parametro valutativo ai fini della determinazione concreta della sanzione, quando il pagamento in misura ridotta non è intervenuto o non era consentito, non ha riferimenti né alla spontaneità, né all’efficacia dell’azione. Pertanto, é possibile riconoscere questo parametro valutativo anche con il solo tentativo di ridurre o eliminare le conseguenze dannose del fatto illecito e anche quando l’autore non vi provvede spontaneamente, ma a seguito di consiglio di altra persona estranea al fatto.

La personalità dell’autore
Per la valutazione della personalità dell’autore del fatto illecito rilevano sicuramente le sue qualità sociali e morali, il grado di istruzione e di capacità intellettiva.
Rilevano inoltre, il comportamento anteriore, contemporaneo e successivo e ogni altro elemento utile a definire la gravità soggettiva della violazione. A tal fine, una delle problematiche maggiori che si ponevano all’interprete era la volontarietà della recidiva quando l’autore avesse in precedenza commesso altre violazioni della stessa indole o addirittura della stessa norma.
I dubbi sorgevano dal fatto che nel testo originario della legge 689/81 non era previsto l’istituto della recidiva, mentre molte norme depenalizzate prevedono aumenti di pena in tali ipotesi. Un caso tipico era quello previsto dalla legge 968/1973 sulla caccia, che stabiliva un aumento di pena sino alla metà se l’autore nei tre anni precedenti fosse incorso in violazioni della stessa indole.
Tutte le discussioni sono state in parte superate con l’introduzione dell’istituto della reiterazione, introdotta dal dlgs 507/1999, che ha aggiunto al capo I l’art. 8 bis.
Va però sottolineato che, al di là della disciplina della reiterazione e della sua applicabilità, quando il soggetto non si sia avvalso del pagamento in misura ridotta, é possibile riferirsi, come parametro di determinazione della sanzione, alla recidività del soggetto, senza violare il principio di legalità già illustrato.
Le condizioni economiche dell’autore della violazione non possono costituire motivo di discriminazione, a discapito di chi abbia possibilità minori, nella determinazione dell’importo di una sanzione pecuniaria o nell’irrogazione di una sanzione accessoria. Ma, come già consentiva l’art. 26 del codice penale e come ora prevede l’art. 133 bis dello stesso codice (introdotto dall’art. 100 della legge depenalizzatrice), l’importo della sanzione può essere aumentato se, in dipendenza delle abbienti condizioni del destinatario, essa non avrebbe in pratica alcun valore afflittivo; e, ugualmente, in dipendenza della particolare disponibilità di beni da parte dell’autore della trasgressione, può rivelarsi opportuna una sanzione accessoria, che altrimenti avrebbe potuto essere tralasciata.
La disposizione ha l’evidente funzione di ricondurre a sostanziale parità, sul piano della responsabilità da illecito, tutti i cittadini, in modo che il castigo abbia per essi identico valore afflittivo.

 

2.6 Ambito di applicazione

Testo normativo - articolo 12 l. 689/81
Le disposizioni di questo capo si osservano, in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale. Non si applicano alle violazioni disciplinari.

Commento
La norma conferisce al capo I della legge 689/1981 la valenza per l’intera area degli illeciti amministrativi, sia per quelli divenuti tali, in virtù dell’opera di depenalizzazione iniziata, sia per quelli successivi che fossero nati con tale configurazione. Esclusa l’area delle violazioni disciplinari, tutte le sanzioni che comportano l’obbligo del pagamento di una somma di denaro, salvo diversa specifica disposizione, sono riferite alle procedure introdotte col capo I. Questo riferimento fa salve le eventuali disposizioni speciali, come quelle previste per le violazioni al codice della strada e per quelle aventi carattere fiscale o tributario. Per queste ultime, ordinariamente si applicano le procedure specifiche, introdotte con il dlgs 471/1997, e altre ancora conservano disposizioni specifiche.

 

2.7 Atti di accertamento

Testo normativo - articolo 13 l. 689/81
Gli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l’accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica.
Possono altresì procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria.
È sempre disposto il sequestro del veicolo a motore o del natante posto in circolazione senza essere coperto dall’assicurazione obbligatoria e del veicolo posto in circolazione senza che per lo stesso sia stato rilasciato il documento di circolazione.
All’accertamento delle violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, i quali, oltre che esercitare i poteri indicati nei precedenti commi, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo ove le perquisizioni stesse dovranno essere effettuate. Si applicano le disposizioni del primo comma dell’ articolo 333 e del primo e secondo comma dell’ articolo 334 del codice di procedura penale.
È fatto salvo l’esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti (*).

(*) Art. 4 comma 6 legge 3 agosto 2007, n. 123.

Commento
La competenza all’accertamento delle violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniaria è riconosciuta:
agli organi addetti al controllo sulla osservanza della disposizione infranta;
agli ufficiali e agli agenti di P.G.
Le due categorie di funzionari provvedono ad accertamenti diretti, mediante osservazione e indagini dirette.
A tal fine, i primi possono procedere anche a ispezione di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, ai rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e a ogni altra operazione tecnica. Tutte queste attività, finalizzate all’accertamento delle violazioni, sono esercitate senza alcun vincolo di garanzia per il trasgressore, nel senso che non richiedono preavvisi, notificazioni o assistenza legale. Gli ufficiali e gli agenti di P.G. oltre ad avere riconosciute le stesse facoltà operative, “quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova” possono procedere a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore (ora pm presso Tribunale) del luogo ove le perquisizioni devono essere effettuate.
Rispetto a coloro che, pur non rivestendo qualifiche di polizia giudiziaria, appartengono a organismi addetti al controllo dell’osservazione delle disposizioni punite con sanzione amministrativa e hanno perciò riconosciute facoltà di accertamento, gli ufficiali e gli agenti di P.G. possono, solo quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, richiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione a effettuare perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora.
Per tali operazioni, una volta acquisita l’autorizzazione, è fatto obbligo di rispettare i vincoli temporali delle perquisizioni di cui all’articolo 333 e le garanzie di cui all’articolo 334 del codice di procedura penale abrogato. Tali adempimenti normativi devono ora intendersi riferiti agli articoli 251, 252, 343 e 352 del nuovo codice di procedura penale. L’autorizzazione dell’autorità giudiziaria deve essere motivata e la motivazione non può che essere riferita alla necessità di procedere a perquisizione, non essendo altrimenti possibile acquisire elementi di prova della violazione.
Appare evidente altresì che, sia nella richiesta che nell’atto autorizzativo, devono essere espressi i riferimenti soggettivi della violazione per cui si procede, nel senso che dovrà rilevarsi per quale infrazione si procede e gli elementi che portano ad attribuire al soggetto destinatario e al luogo, diverso della privata dimora, l’esistenza della prova.
Negli atti di accertamento sono compresi i rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica.
Mentre non sussistono dubbi circa i rilievi descrittivi e fotografici, consistendo, i primi, nella descrizione, da parte dell’ufficiale o agente di P.G. o di altra persona competente all’accertamento della violazione, della realtà osservata, contenente gli elementi di prova dell’infrazione e, i secondi, nel fotografare quella realtà che evidenzia il fatto illecito, più ardua è la definizione di rilievo segnaletico.
 Con questa terminologia, si intendeva la possibilità dell’autorità di P.S. di ordinare alle persone sospette o pericolose (art. 4 Tulps) di sottoporsi a rilievi segnaletici, i cui contenuti erano esplicitati dall’art. 7 dal Regolamento del Tulps.
Secondo questa norma, i rilievi segnaletici sono descrittivi, fotografici, dattiloscopici e antropometrici. Poiché i rilievi fotografici e descrittivi sono già ripetuti nell’art. 13 della legge 689/81, resterebbero soli i rilievi dattiloscopici e antropometrici, che è veramente arduo considerare come strumentali e possibili per l’accertamento di fatti costituenti illeciti amministrativi.
Alla luce dell’ intera architettura del capo I della legge 689/81 e della nuova disciplina processuale introdotta dal codice di procedura penale, si deve ritenere che rientrano negli atti di accertamento possibili:

  • l’osservazione diretta;
  • le risultanze fotografiche;
  • il rilevamento attraverso le descrizioni di fatti rilevati, anche se per ragioni diverse, da organi competenti all’accertamento;
  • le risultanti di ogni altra operazione tecnica, compreso quella informatica e telematica, da cui si evidenziano estremi di violazioni amministrative.

 

2.8 Contestazione e notificazione

Testo normativo - articolo 14 l. 689/81
La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.
Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento.
Quando gli atti relativi alla violazione sono trasmessi all’autorità competente con provvedimento dell’autorità giudiziaria, i termini di cui al comma precedente decorrono dalla data della ricezione.
Per la forma della contestazione immediata o della notificazione si applicano le disposizioni previste dalle leggi vigenti. In ogni caso la notificazione può essere effettuata, con le modalità previste dal codice di procedura civile, anche da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione. Quando la notificazione non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, si osservano le modalità previste dall’articolo 137, terzo comma, del medesimo codice (*).
Per i residenti all’estero, qualora la residenza, la dimora o il domicilio non siano noti, la notifica non è obbligatoria e resta salva la facoltà del pagamento in misura ridotta sino alla scadenza del termine previsto nel secondo comma dell’articolo 22 per il giudizio di opposizione.
L’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto (**).

(*) Periodo aggiunto, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dal comma 11 dell’art. 174, del dlgs 30 giugno 2003, n. 196.

(**) Per le controversie in materia di lavoro vedi gli artt. 11, 13 e 17del dlgs 23 aprile 2004, n. 124.

Commento

La contestazione
La contestazione si concretizza nell’ informazione al destinatario del procedimento amministrativo sanzionatorio a suo carico ed è, perciò, un istituto teso a garantire il soggetto circa la natura, il contenuto sanzionatorio e le modalità di estinzione e di ricorso.
Della avvenuta contestazione deve essere redatto verbale anche se il quarto comma dell’art. 14 della legge 689/81, per quanto concerne la forma rinvia “alle disposizioni delle leggi vigenti”.
Se non è avvenuta la contestazione immediata per il trasgressore e per l’obbligato in solido, gli estremi della violazione devono essere notificati agli interessati entro il termine perentorio di novanta giorni, se residente in Italia e di trecentosessanta giorni, se residente all’estero. Il termine perentorio, ordinariamente, decorre dall’accertamento del fatto materiale costituente violazione, salvo che gli organi accertatori abbiano necessità di svolgere indagini ulteriori per avere la conoscenza oggettiva e soggettiva del fatto. In tal caso, il termine iniziale decorrerà dal momento del completamento delle indagini, rese necessarie dalle particolarità del fatto illecito.
Il termine suddetto non è valido per tutte le violazioni amministrative, ma solo per quelle che non hanno legislazioni speciali .

La notifica della contestazione
La contestazione costituisce una condizione di procedibilità ed estende perciò la sua validità all’intero procedimento. Essa può essere sostituita dalla notificazione, che assume il significato di contestazione successiva, entro i termini perentori previsti. Qualora questi termini non siano rispettati, l’intero procedimento è viziato di nullità assoluta. Altri vizi del procedimento possono riferirsi alla mancanza degli elementi fondamentali e, in particolare, all’omessa o all’errata indicazione delle modalità di estinzione della violazione. Poiché il procedimento prevede la possibilità dell’interessato di estinguere l’obbligazione mediante il ricorso al pagamento in misura ridotta, che si configura come diritto soggettivo di natura pubblicistica, l’omessa o errata indicazione delle modalità inficia l’esercizio di tale diritto e rende nullo il procedimento. L’errata indicazione degli elementi fondamentali come la localizzazione, la norma violata, la descrizione del fatto illecito e le modalità di estinzione, può essere sanata dall’organo accertatore con una nuova contestazione, da notificarsi entro i termini perentori previsti, ove sia corretto l’errore e indicati i motivi del nuovo procedimento, i cui termini temporali successivi decorreranno dal ricevimento di questo atto unilaterale, che deve riconoscersi nella facoltà della P.A., almeno come estrinsecazione del principio di autotutela.

 

2.9 Accertamenti mediante analisi di campioni

Testo normativo - articolo 15 l. 689/81
Se per l’accertamento della violazione sono compiute analisi di campioni, il dirigente del laboratorio deve comunicare all’interessato, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l’esito dell’analisi.
L’interessato può chiedere la revisione dell’analisi con la partecipazione di un proprio consulente tecnico. La richiesta è presentata con istanza scritta all’organo che ha prelevato i campioni da analizzare, nel termine di 15 giorni dalla comunicazione dell’esito della prima analisi, che deve essere allegato all’istanza medesima.
Delle operazioni di revisione dell’analisi è data comunicazione all’interessato almeno dieci giorni prima del loro inizio.
I risultati della revisione dell’analisi sono comunicati all’interessato a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, a cura del dirigente del laboratorio che ha eseguito la revisione dell’analisi.
Le comunicazioni di cui al primo e al quarto comma equivalgono alla contestazione di cui al primo comma dell’articolo 14 ed il termine per il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 decorre dalla comunicazione dell’esito della prima analisi o, quando è stata chiesta la revisione dell’analisi, dalla comunicazione dell’esito della stessa.
Ove non sia possibile effettuare la comunicazione all’interessato nelle forme di cui al primo e al quarto comma, si applicano le disposizioni dell’articolo 14.
Con il decreto o con la legge regionale indicati nell’ultimo comma dell’art. 17 sarà altresì fissata la somma di denaro che il richiedente la revisione dell’analisi è tenuto a versare e potranno essere indicati, anche a modifica delle vigenti disposizioni di legge, gli istituti incaricati della stessa analisi.

2.10 Pagamento in misura ridotta

Testo normativo - articolo 16 l. 689/81
È ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione (*).
Per le violazioni ai regolamenti ed alle ordinanze comunali e provinciali, la Giunta comunale o provinciale, all’interno del limite edittale minimo e massimo della sanzione prevista, può stabilire un diverso importo del pagamento in misura ridotta, in deroga alle disposizioni del primo comma (**).
Il pagamento in misura ridotta è ammesso anche nei casi in cui le norme antecedenti all’entrata in vigore della presente legge non consentivano l’oblazione.

(*) Comma così modificato dall’art. 52 del dlgs 24 giugno 1998, n. 213.

(**) Comma prima modificato, a decorrere dal 1° gennaio 1993, dall’art. 231del dlgs 30 aprile 1992, n. 285 e poi così sostituito dall’art. 6-bis del dl 23 maggio 2008, n. 92, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

 

2.11 Obbligo del rapporto

Testo normativo - articolo 17 l. 689/81
Qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il funzionario o l’agente che ha accertato la violazione, salvo che ricorra l’ipotesi prevista nell’art. 24, deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all’ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto (*).
Deve essere presentato al prefetto il rapporto relativo alle violazioni previste dal testo unico delle norme sulla circolazione stradale, approvato con dpr 15 giugno 1959, n. 393, dal testo unico per la tutela delle strade, approvato con rd 8 dicembre 1933, n. 1740, e dalla L. 20 giugno 1935, n. 1349, sui servizi di trasporto merci (**).
Nelle materie di competenza delle regioni e negli altri casi, per le funzioni amministrative ad esse delegate, il rapporto è presentato all’ufficio regionale competente.
Per le violazioni dei regolamenti provinciali e comunali il rapporto è presentato, rispettivamente, al presidente della giunta provinciale o al sindaco.
L’ufficio territorialmente competente è quello del luogo in cui è stata commessa la violazione.
Il funzionario o l’agente che ha proceduto al sequestro previsto dall’articolo 13 deve immediatamente informare l’autorità amministrativa competente a norma dei precedenti commi, inviandole il processo verbale di sequestro.
Con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro centottanta giorni dalla pubblicazione della presente legge, in sostituzione del D.P.R. 13 maggio 1976, n. 407, saranno indicati gli uffici periferici dei singoli Ministeri, previsti nel primo comma, anche per i casi in cui leggi precedenti abbiano regolato diversamente la competenza.
Con il decreto indicato nel comma precedente saranno stabilite le modalità relative alla esecuzione del sequestro previsto dall’articolo 13, al trasporto ed alla consegna delle cose sequestrate, alla custodia ed alla eventuale alienazione o distruzione delle stesse; sarà altresì stabilita la destinazione delle cose confiscate. Le regioni, per le materie di loro competenza, provvederanno con legge nel termine previsto dal comma precedente (***).

 (*) Vedasi anche il dpr 29 luglio 1982, n. 571, l’art. 1del dlgs 24 aprile 2001, n. 252, l’art. 6, comma 6, della l. 8 luglio 2003, n. 172.

(**) Vedasi anche l’art. 9 del dlgs 26 maggio 2004, n. 153.

(***) Vedasi anche gli artt. 12 e 62 del dlgs 6 settembre 2005, n. 206.

Commento
Il rapporto, nel linguaggio giuridico antecedente al nuovo codice di procedura penale, era l’atto conclusivo delle indagini, con il quale la polizia giudiziaria riferiva all’autorità giudiziaria gli esiti delle indagini svolte relative ad una notizia di reato. Nel definire le varie fasi del procedimento sanzionatorio per le violazioni depenalizzate, il legislatore volle utilizzare la stessa denominazione, a conferma di come il modello di riferimento procedurale fosse sempre quello penalistico. L’art. 17 della legge 689/81 prevede che qualora non sia intervenuto il pagamento in misura ridotta, salvo le ipotesi di connessione obiettiva con un reato, il funzionario o l’agente che ha accertato la violazione deve presentare “rapporto all’ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto”. La linea scelta nel determinare la competenza a ricevere il rapporto e ad assicurare le successive fasi del procedimento è quella per materia; solo per le ipotesi in cui manchi l’ufficio periferico del ministero competente per materia, la competenza è residuale del prefetto.
In verità, accanto alle previsioni dei commi successivi che demandano specifiche materie al prefetto, la competenza residuale ha finito coll’essere prevalente, sia per le difficoltà di determinare la “materia” a cui riferire la violazione, sia per l’evoluzione successiva della riforma della P.A. che ha visto scomparire e poi riapparire dicasteri e relative competenze.
Così, al prefetto è riconosciuta una competenza propria in materia di violazioni stradali e di pubblica sicurezza, con la depenalizzazione del Tulps, operata con dlgs 480/1994.
Per le materie di competenza delle regioni il rapporto è presentato all’Ufficio regionale competente. Per le violazioni ai regolamenti comunali e provinciali il rapporto va presentato, rispettivamente, al sindaco e al presidente della Giunta provinciale. Per le province va ricordato che esse sono state abolite con una legge del 2014 e create alcune Città metropolitane che assorbono le funzioni delle province. Per tutte le altre, l’abolizione del Consiglio e della Giunta Provinciale non elimina le competenze dell’Ente, che dovrebbe garantirne le funzioni secondo procedure nuove, che nell’ambito di ogni regione, ne ridisegna le competenze. La materia di maggiore interesse demandata alla competenza delle province è quella della tutela ambientale.
La competenza territoriale è riferita al luogo della commessa violazione, a ulteriore conferma del modello penalistico di riferimento. Il rapporto deve contenere la prova delle avvenute contestazioni o notificazioni e ogni altro elemento utile a consentire una chiara ricostruzione del fatto illecito accertato e della personalità dell’autore. Tali ulteriori informazioni, seppure non espressamente previste dalla lettera della norma, si ricavano dalle parole del legislatore che utilizza il termine “rapporto” e non la semplice trasmissione del verbale di contestazione. Ulteriore conferma di tale necessità sta nell’obbligo di motivare l’ordinanza-ingiunzione da parte dell’autorità amministrativa competente che, nel determinare in concreto l’entità della sanzione da applicare, non può che riferirla alla gravità del fatto e alla personalità dell’autore. Quest’ultima annotazione avvicina ancora di più il procedimento di irrogazione della sanzione amministrativa a quello penale.

 

2.12 Ordinanza - Ingiunzione

Testo normativo - articolo 18 l. 689/81
Entro il termine di trenta giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell’articolo 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità.
L’autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, se ritiene fondato l’accertamento, determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento, insieme con le spese, all’autore della violazione ed alle persone che vi sono obbligate solidalmente; altrimenti emette ordinanza motivata di archiviazione degli atti comunicandola integralmente all’organo che ha redatto il rapporto.
Con l’ordinanza-ingiunzione deve essere disposta la restituzione, previo pagamento delle spese di custodia, delle cose sequestrate, che non siano confiscate con lo stesso provvedimento. La restituzione delle cose sequestrate è altresì disposta con l’ordinanza di archiviazione, quando non ne sia obbligatoria la confisca.
Il pagamento è effettuato all’ufficio del registro o al diverso ufficio indicato nella ordinanza-ingiunzione, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione di detto provvedimento, eseguita nelle forme previste dall’articolo 14; del pagamento è data comunicazione, entro il trentesimo giorno, a cura dell’ufficio che lo ha ricevuto, all’autorità che ha emesso l’ordinanza.
Il termine per il pagamento è di sessanta giorni se l’interessato risiede all’estero.
La notificazione dell’ordinanza-ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio che adotta l’atto, secondo le modalità di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890 (*).
L’ordinanza-ingiunzione costituisce titolo esecutivo. Tuttavia l’ordinanza che dispone la confisca diventa esecutiva dopo il decorso del termine per proporre opposizione, o, nel caso in cui l’opposizione è proposta, con il passaggio in giudicato della sentenza con la quale si rigetta l’opposizione, o quando l’ordinanza con la quale viene dichiarata inammissibile l’opposizione o convalidato il provvedimento opposto diviene inoppugnabile o è dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la stessa.

(*) Comma aggiunto dall’art. 10 della l. 3 agosto 1999, n. 265.

Commento
Una volta garantita la condizione di procedibilità, costituita dalla contestazione o dalla notificazione (contestazione successiva) entro i termini perentori previsti, il destinatario del procedimento sanzionatorio può estinguere la violazione mediante il pagamento in misura ridotta della sanzione, ovvero presentare ricorso all’autorità amministrativa competente, come disciplinato dal dpr 571/1982. Il termine entro il quale va investita l’autorità amministrativa è di trenta giorni dalla data della contestazione o della notificazione (art. 18). Entro tale termine “gli interessati” possono far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto della violazione, scritti difensivi, documenti o chiedere di essere sentiti.
Il termine deve ritenersi perentorio e valido per tutte le violazioni amministrative, salvo specifica diversa disciplina legislativa.
L’autorità amministrativa, investita dall’istanza degli “interessati”, termine che comprende l’autore della violazione e il responsabile in solido (art. 6 legge 689/81), ovvero quando non sia intervenuto il pagamento in misura ridotta, esaminati gli atti ricevuti dall’organo accertatore, gli argomenti esposti, i documenti ovvero quanto presentato in sede di audizione, qualora ritenga fondato l’accertamento, determina, con ordinanza-ingiunzione, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento. Per accertare la fondatezza della violazione, l’autorità amministrativa può richiedere accertamenti ulteriori da parte dell’organo che ha proceduto o da altri organi ritenuti idonei. Non sono previste limitazioni alle facoltà della citata autorità per la ricerca della fondatezza del procedimento, anche perché l’ordinanza-ingiunzione dovrà essere motivata. Per adempiere a tale obbligo dell’atto amministrativo, è sufficiente anche una motivazione per relationem che faccia cioè riferimento agli atti del procedimento e, in particolare, al verbale di contestazione. Questo orientamento giurisprudenziale, chiaramente condivisibile, evidenzia come l’obbligo della motivazione, che si compendia nella indicazione delle “fonti di prova” della violazione e nelle ragioni che portano l’autorità amministrativa a ritenere fondato l’accertamento, sia mirato a garantire agli interessati la esauriente conoscenza del fatto agli stessi imputato. Per questi motivi, non è rilevante che la motivazione sia riportata nell’ordinanza, negli atti del procedimento in generale o nel verbale, purché sia chiaro il percorso seguito dell’autorità per arrivare a determinare la fondatezza della violazione. Cosa diversa è la motivazione posta a base della fissazione della somma da pagare. E’ evidente, infatti, che nell’esercizio della potestà di determinare la sanzione, tra il limite minimo ed il massimo edittale, a volte così distanti da essere l’uno il decuplo dell’altro (senza dimenticare poi che molte norme depenalizzate non hanno neppure il limite minimo), l’autorità amministrativa deve motivare le ragioni per le quali ritiene “congrua” una somma; le indicazioni possono solo essere inserite nell’ordinanza-ingiunzione e riferite alla gravità del fatto accertato e alla personalità dell’autore, specie se ricorrono le ipotesi di reiterazione, per le quali sono elevati gli stessi limiti edittali.
La gravità del fatto è un elemento obiettivo, riferibile alla condotta e al danno sociale correlato, valore questo sempre più riscontrabile in molti settori depenalizzati come la tutela ambientale, ad esempio, ove, fatti costituenti violazione, possono realizzarsi in panorami diversi e con pericoli diversi. Pensiamo all’abbandono di rifiuti. Pur nella antigiuridicità del fatto, l’abbandono può realizzarsi in aree diverse e con pericoli di inquinamento molto diversi. È evidente allora che ancorare l’entità della sanzione alla gravità del fatto significa anche avvicinare sempre più questa attività della pubblica amministrazione a quella dell’autorità giudiziaria, alla quale deve costantemente riferirsi, nell’ovvia consapevolezza che, qualora gli interessati non si ritengono soddisfatti sia dal punto di vista formale che sostanziale, il tutto passerà proprio all’autorità giudiziaria in sede di opposizione che, valutando anche l’entità della sanzione irrogata, utilizzerà come metro di giudizio proprio questi parametri. Nella fissazione dell’entità della somma da pagare, questo obbligo di motivazione è tanto più forte quanto più essa si avvicina ai limiti edittali massimo o minimo. E questo perché gli estremi si allontanano da quella indicazione di massima fornita dal legislatore con la determinazione del pagamento in misura ridotta, pari ad un terzo del massimo, o doppio del minimo, se previsto e più favorevole, che corrisponde più o meno a quanto ordinariamente irrogato dal giudice penale per reati ove il fatto materiale sia di ordinaria gravità e l’autore una persona a cui possano concedersi le attenuanti generiche e specifiche. Nasce proprio da questo orientamento il contenuto dello stesso art. 162 cp sulla oblazione delle contravvenzioni e dell’art. 162 bis cp, introdotto proprio dalla legge di depenalizzazione e praticabile, seppure con giudizio di ammissibilità del giudice, per le contravvenzioni punite con pena alternativa. Discostarsi dall’ordinario implica il doverne spiegare i motivi, in maniera tanto più esauriente quanto più è lunga la distanza da quel limite ordinario. Questo vale non solo per il limite massimo ma anche per quello minimo. Fissare nella ordinanza-ingiunzione una somma da pagare inferiore a quella prevista per il pagamento in misura ridotta è una “contraddizione” del procedimento, che può essere giustificata solo da particolarità che, pur non inficiando la validità dell’accertamento, conferiscono al fatto una antigiuridicità che trovi ampie spiegazioni nelle condizioni oggettive in cui è maturata, ovvero nelle particolari condizioni soggettive del soggetto, che non sono tali da sfociare nelle cause di giustificazione o di esclusione della responsabilità (articoli 3 e 4 della legge 689/81), ma ne affievoliscono di molto la partecipazione.
Non a caso, nel campo della circolazione stradale, che è stato il primo settore dell’ordinamento giuridico toccato dalla depenalizzazione e che ora vive della sua disciplina, nella quasi totalità della configurazione amministrativa, con il dlgs 30/12/1999, n.507, che aveva depenalizzato tutti i reati previsti dal codice della strada, escluso la guida in stato di ebbrezza (art. 186), la guida in condizioni di alterazioni psicofisiche dovute alle sostanze stupefacenti (art. 187) e la fuga a seguito di sinistro (art. 189), erano previsti all’art. 204 due limiti alla discrezionalità dell’autorità amministrativa competente (prefetto). I due limiti propri della disciplina del codice della strada in tema di ordinanza-ingiuzione si riferivano alla fissazione del termine perentorio entro cui doveva essere emessa e al limite minimo della somma da ingiungere: infatti, quando il prefetto ritiene fondato l’accertamento, emette “ordinanza motivata con la quale ingiunge il pagamento di una somma determinata, nel limite inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione, secondo i criteri dell’art. 195, comma 2”. Secondo quest’ultima norma, nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria, tra un limite minimo ed un limite massimo “si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o l’ alternazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità del trasgressore ed alle sue condizioni economiche” mentre il riferimento all’art. 195, comma 2, non aggiunge nulla a quanto previsto per tutte le violazioni amministrative; la fissazione del limite minimo pari al doppio di quello edittale è una novità di rilievo che ha generato forti discussioni ed eccezioni di illegittimità costituzionali.
Sul tema si è pronunciata la Corte Costituzionale che, con ordinanza del 24/2/1994, n. 67, ha stabilito che: “è manifestamente infondato, in relazione all’art. 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 204, primo comma, del codice della strada, nella parte in cui dispone che il prefetto, se ritiene fondato l’accertamento, emette entro trenta giorni (ora centoventi) ordinanza motivata con la quale ingiunge il pagamento di una somma determinata, nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione“.
Il riferimento all’art. 24 della Costituzione rende evidente come le ragioni sui dubbi di legittimità costituzionale della norma si riferissero alla presunta menomazione del procedimento amministrativo sanzionatorio, sul quale pesava questo severo ammonimento a riflettere bene sulla fondatezza delle protese da parte dell’interessato, prima di imboccare la strada del ricorso all’autorità amministrativa, che potrebbe concludersi col pagamento di una somma almeno doppia di quella prevista per il pagamento in misura ridotta, fissata pari al minimo edittale. Questo ammonimento è chiaramente inteso a “invogliare” il ricorso al pagamento in misura ridotta e a estinguere la violazione senza accrescere il già ciclopico contenzioso. La previsione normativa, non estensibile agli altri settori, ma sicuramente limitativa della discrezionalità dell’autorità amministrativa nel non poter scendere al di sotto del doppio del pagamento in misura ridotta, pare significativa di come nell’intero panorama delle sanzioni depenalizzate solo condizioni particolari, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, possono giustificare la fissazione, in sede di ordinanza-ingiunzione, di somme da pagare inferiori a quelle previste per il pagamento in misura ridotta. Pare condivisibile perciò la scelta del legislatore operata in sede di formulazione dell’intera normativa circolatoria. Delle due l’una, o la violazione non è fondata e l’autorità emetterà ordinanza di archiviazione, ovvero, riscontrata la fondatezza della stessa non potrà ingiungere il pagamento di una somma inferiore a quella che il soggetto poteva pagare liberamente ed estinguere il tutto. Incoraggiare i ricorsi, non fondati su elementi obiettivi, di natura formale o sostanziale, non significa danneggiare qualcuno ma, al contrario, procedere sulla via della certezza dei procedimenti, sempre più inficiati da un patologico ricorrere al ricorso, solo per rinviare il pagamento della sanzione. Per ottenere questi risultati, non sono necessari provvedimenti legislativi ma sarebbe sufficiente una maggiore attenzione al significato che traspare dalle decisioni assunte sia in sede di ordinanza-ingiunzione che di giudizio di opposizione. E’ evidente, infatti, che il perpetuarsi di decisioni che, anche quando sono sfavorevoli nell’esito al ricorrente, diventano “favorevoli” per il “prezzo” da pagare, invogli gli interessati a non praticare la via del pagamento in misura ridotta, ma ad imboccare quella più favorevole del ricorso, tanto, “anche se va male”, tra qualche anno, si pagherà di meno! Questa è, in sintesi, la convinzione che alimenta, a ragione, il prolificare di ricorsi, sperando nella decorrenza dei termini; speranza questa (o certezza?) che non è certo estranea alle ragioni che portano a presentare ricorsi anche senza alcuna ragione valida.
L’ordinanza-ingiunzione è rivolta agli interessati, cioè al trasgressore e all’obbligato in solido. Con essa, necessariamente, deve essere disposta la restituzione, previo pagamento delle spese di custodia, delle cose sequestrate, che non sono confiscate con lo stesso provvedimento. La stessa restituzione deve essere sempre disposta con l’ordinanza di archiviazione. Per quanto concerne la prima ipotesi, va rilevato che non necessariamente confisca e pagamento delle sanzioni pecuniarie devono coesistere nello stesso provvedimento. Nei casi in cui la confisca è prevista come sanzione accessoria, essa interviene anche se il soggetto, qualora sia consentito, abbia fatto ricorso al pagamento in misura ridotta. Questo istituto estingue la violazione, ma la previsione della confisca come sanzione accessoria porta al provvedimento dell’autorità amministrativa anche quando il primo sia già intervenuto. L’ordinanza-ingiunzione, qualora non sia soddisfatta mediante pagamento della somma ingiunta entro il termine di trenta giorni dalla contestazione o dalla notificazione (sessanta giorni se l’interessato risiede all’estero) costituisce titolo esecutivo. Se però l’ordinanza dispone la confisca delle cose sequestrate diventa esecutiva solo dopo il decorso del tempo per proporre opposizione ovvero, nel caso in cui questa sia proposta, con il passaggio in giudicato della sentenza che la conferma, ovvero con quella di inammissibilità del ricorso proposto.

 

2.13 Sequestro

Testo normativo - articolo 19 l. 689/81
Quando si è proceduto a sequestro, gli interessati possono, anche immediatamente, proporre opposizione all’autorità indicata nel primo comma dell’articolo 18, con atto esente da bollo. Sull’opposizione la decisione è adottata con ordinanza motivata emessa entro il decimo giorno successivo alla sua proposizione. Se non è rigettata entro questo termine, l’opposizione si intende accolta.
Anche prima che sia concluso il procedimento amministrativo, l’autorità competente può disporre la restituzione della cosa sequestrata, previo pagamento delle spese di custodia, a chi prova di averne diritto e ne fa istanza, salvo che si tratti di cose soggette a confisca obbligatoria.
Quando l’opposizione al sequestro è stata rigettata, il sequestro cessa di avere efficacia se non è emessa ordinanza-ingiunzione di pagamento o se non è disposta la confisca entro due mesi dal giorno in cui è pervenuto il rapporto e, comunque, entro sei mesi dal giorno in cui è avvenuto il sequestro.

Commento
Il sequestro amministrativo è una sanzione accessoria finalizzata alla confisca. Per questa ragione, la misura cessa di avere efficacia quando non è emessa ordinanza-ingiunzione di pagamento o se non è disposta la confisca entro due mesi dal giorno in cui è pervenuto il rapporto all’autorità competente e, comunque, entro sei mesi dal giorno in cui è avvenuto il sequestro. Anche prima che sia concluso il procedimento amministrativo, l’autorità competente può disporre la restituzione della cosa sequestrata, previo pagamento delle spese di custodia, a chi prova di averne diritto e ne fa istanza, salvo che si tratti di cose soggette a confisca obbligatoria. La parte interessata può proporre, anche immediatamente, opposizione all’autorità competente a ricevere il rapporto, indicata nel primo comma dell’articolo 18, che ha l’obbligo di pronunciarsi entro 10 giorni dal ricevimento. Se non è rigettata entro questo termine, l’opposizione si intende accolta.

 

2.14 Sanzioni amministrative accessorie

Testo normativo - articolo 20 l. 689/81
L’autorità amministrativa con l’ordinanza-ingiunzione o il giudice penale con la sentenza di condanna nel caso previsto dall’articolo 24, può applicare, come sanzioni amministrative, quelle previste dalle leggi vigenti, per le singole violazioni, come sanzioni penali accessorie, quando esse consistono nella privazione o sospensione di facoltà, e diritti derivanti da provvedimenti dell’amministrazione.
Le sanzioni amministrative accessorie non sono applicabili fino a che è pendente il giudizio di opposizione contro il provvedimento di condanna o, nel caso di connessione di cui all’articolo 24, fino a che il provvedimento stesso non sia divenuto esecutivo.
Le autorità stesse possono disporre la confisca amministrativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e debbono disporre la confisca delle cose che ne sono il prodotto, sempre che le cose suddette appartengano a una delle persone cui è ingiunto il pagamento.
In presenza di violazioni gravi o reiterate, in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è sempre disposta la confisca amministrativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e delle cose che ne sono il prodotto, anche se non venga emessa l’ordinanza-ingiunzione di pagamento. La disposizione non si applica se la cosa appartiene a persona estranea alla violazione amministrativa ovvero quando in relazione ad essa è consentita la messa a norma e quest’ultima risulta effettuata secondo le disposizioni vigenti. (*)
È sempre disposta la confisca amministrativa delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce violazione amministrativa, anche se non venga emessa l’ordinanza-ingiunzione di pagamento.
La disposizione indicata nel comma precedente non si applica se la cosa appartiene a persona estranea alla violazione amministrativa e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.

(*) Comma aggiunto dalla legge 17/12/2010, n. 217

Commento
Le sanzioni accessorie sono le misure punitive più temute, quelle che rappresentano il deterrente più efficace. Esse, spesse volte fanno seguito a sanzioni principali che hanno potere afflittivo di gran lunga inferiore. Basti pensare alla sospensione della patente per le violazioni al codice della strada o alla sospensione dell’attività per molte violazioni del Tulps. Anche in questo campo, la circolazione stradale ha aperto la strada a misure di grandissima valenza, la cui applicazione non è agevole e spesse volte rinviata a discapito della immediatezza, che più di ogni altra cosa, conferisce effettività e potere afflittivo. Escluso il codice della strada, le altre normative che prevedono sanzioni accessorie non dispongono di procedure che prevedono l’applicazione immediata della sanzione da parte degli agenti accertatori all’atto dell’accertamento.
Eppure, il legislatore ricorre sempre più spesso a queste misure, proprio per garantire la tutela e il ripristino della legalità infranta. Ormai ampi settori della vita sociale, come l’ambiente, il commercio, l’igiene pubblica, le affissioni, i pubblici esercizi hanno legislazioni che prevedono sanzioni accessorie e sarebbe necessario ed urgente ricondurre le procedure di tutte queste misure a modelli uniformi.
In alcuni settori, come l’agroalimentare e, ancor prima l’igiene degli alimenti e la loro preparazione e somministrazione, era stata introdotta una procedura di intimazione a ripristinare la regolarità infranta, con l’indicazione di un termine entro il quale adempiere, con la previsione di una verifica successiva da parte dell’agente accertatore o del suo ufficio. Questa procedura di ripristino, seppure astrattamente riconducibile alle sanzioni accessorie, se ne discosta per le particolarità e la complessità che la sua applicazione comporta. Questa misura, che nel caso dell’agroalimentare, se adempiuta, elimina la violazione e non comporta l’onere di pagare la sanzione principale, allo stato attuale appare di difficile applicazione perché eccessivamente responsabilizzante per l’operatore. L’obbligo di intimare il ripristino della legalità e di verificarne l’adempimento comporta:
la trasformazione del reato in illecito amministrativo (dlgs 758/1994) per le violazioni in tema di sicurezza sul lavoro;
l’estinzione dell’infrazione (dl 94/2014) per le violazioni nel comparto agroalimentare;
la trasformazione della contravvenzione in materia ambientale, che non ha procurato danni all’ambiente o pericoli sociali, in violazione amministrativa estinguibile mediante pagamento di una somma pari ad un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (art. 318 quater dlgs 152/2006,introdotto dalla legge 68/2015);
l’applicazione di sanzioni ulteriori, nel caso di omesso adempimento (dlgs 193/2007).
Tutte queste procedure non sono state ancora “metabolizzate” da parte degli Uffici competenti e richiedono grandi investimenti formativi perché diventino misure realisticamente praticabili.

 

2.15 Casi speciali di sanzioni amministrative accessorie

Testo normativo - articolo 21 l. 689/81
Quando è accertata la violazione del primo comma dell’articolo 32 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, è sempre disposta la confisca del veicolo a motore o del natante che appartiene alla persona a cui è ingiunto il pagamento, se entro il termine fissato con l’ordinanza-ingiunzione non viene pagato, oltre alla sanzione pecuniaria applicata, anche il premio di assicurazione per almeno sei mesi.
Nel caso in cui sia proposta opposizione ovvero l’ordinanza-ingiunzione, il termine di cui al primo comma decorre dal passaggio in giudicato della sentenza con la quale si rigetta l’opposizione ovvero dal momento in cui diventa inoppugnabile l’ordinanza con la quale viene dichiarata inammissibile l’opposizione o convalidato il provvedimento opposto ovvero viene dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la stessa. Quando è accertata la violazione dell’ottavo comma dell’articolo 58 del testo unico delle norme sulla circolazione stradale, approvato con dpr 15 giugno 1959, n. 393, è sempre disposta la confisca del veicolo. Quando è accertata la violazione del secondo comma dell’articolo 14 della legge 30 aprile 1962, n. 283, è sempre disposta la sospensione della licenza per un periodo non superiore a dieci giorni.

Commento
La norma non ha più riferimenti reali. Le prime due violazioni, art 32 legge 990/1969 e art 58 dpr 393/1959 hanno una loro disciplina organica, rispettivamente negli articoli 193 e 93 del nuovo codice della strada, mentre l’art. 14 della legge 283/1962 è abrogato.

 

2.16 Opposizione all’ordinanza-ingiunzione

Dlgs 1 settembre 2011, n. 150 artt. 6 e 7
La disciplina dell’opposizione all’ordinanza ingiunzione, che costituisce il momento di trasferimento del procedimento, finalizzato all’applicazione della sanzione, dall’autorità amministrativa all’autorità giudiziaria, è stata completamente riscritta dal dlgs 150/2011 che ha così sostituito quella originaria prevista dagli articoli 22,22 bis e 23 della legge 689/81.
La rivisitazione della disciplina ha inteso sanare una criticità che si trascinava da due decenni, relativa al ricorso diretto al giudice di pace avverso il verbale di accertamento di violazioni al codice stradale, introdotto come interpretazione adeguatrice, suggerita da due sentenze della Corte Costituzionale del 1994, come rimedio all’illegittimità nascente dall’aver previsto l’ esecutorietà del verbale, non estinto col pagamento in misura ridotta né contestato dall’interessato entro i termini utili.
Il legislatore ha riscritto le procedure di opposizione che risultano ora disciplinate analiticamente nel rito:

  • dall’art 6, per la procedura di opposizione all’ordinanza-ingiunzione;
  • dall’art 7, per le procedure di opposizione diretta al verbale di violazione al codice della strada;
  • dall’art 8, per le opposizioni alle sanzioni amministrative in materia di stupefacenti.

 

2.17 La connessione obiettiva con un reato

Testo normativo - articolo 24 l. 689/81
Qualora l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di una violazione non costituente reato, e per questa non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa. Se ricorre l’ipotesi prevista dal precedente comma, il rapporto di cui all’articolo 17 è trasmesso, anche senza che si sia proceduto alla notificazione prevista dal secondo comma dell’articolo 14, alla autorità giudiziaria competente per il reato, la quale, quando invia la comunicazione giudiziaria, dispone la notifica degli estremi della violazione amministrativa agli obbligati per i quali essa non è avvenuta. Dalla notifica decorre il termine per il pagamento in misura ridotta. Se l’autorità giudiziaria non procede ad istruzione, il pagamento in misura ridotta può essere effettuato prima dell’apertura del dibattimento. La persona obbligata in solido con l’autore della violazione deve essere citata nella istruzione o nel giudizio penale su richiesta del pubblico ministero. Il pretore ne dispone di ufficio la citazione. Alla predetta persona, per la difesa dei propri interessi, spettano i diritti e le garanzie riconosciuti all’imputato, esclusa la nomina del difensore d’ufficio. Il pretore, quando provvede con decreto penale, con lo stesso decreto applica, nei confronti dei responsabili, la sanzione stabilita dalla legge per la violazione. La competenza del giudice penale in ordine alla violazione non costituente reato cessa se il procedimento penale si chiude per estinzione del reato o per difetto di una condizione di procedibilità.

Commento
Gli articoli 24 e 25 della legge n. 689 del 1981 riproducono il testo degli articoli 10 e 11 della prima legge di depenalizzazione 3 maggio 1967, n. 317 . Le norme prevedono la competenza del giudice penale nella fase decisoria del procedimento sanzionatorio, determinata dall’esistenza di un rapporto di pregiudizialità tra l’accertamento di un illecito amministrativo e quello di un reato. La ragione del trasferimento di competenza in favore del giudice penale è quella di consentire la riunione nel medesimo contesto della decisione concernente illeciti, la sussistenza di uno dei quali rappresenta l’antecedente logico necessario per la sussistenza dell’altro. Se non ricorre questa condizione di “antecedente logico”, non c’è connessione.

 

2.18 Pagamento rateale della sanzione pecuniaria

Testo normativo - articolo 26 l. 689/81
 L’autorità giudiziaria o amministrativa che ha applicato la sanzione pecuniaria può disporre, su richiesta dell’interessato che si trovi in condizioni economiche disagiate, che la sanzione medesima venga pagata in rate mensili da tre a trenta; ciascuna rata non può essere inferiore a lire trentamila. In ogni momento il debito può essere estinto mediante un unico pagamento. Decorso inutilmente, anche per una sola rata, il termine fissato dall’autorità giudiziaria o amministrativa, l’obbligato è tenuto al pagamento del residuo ammontare della sanzione in un’unica soluzione.

 

2.19 Esecuzione forzata

Testo normativo - articolo 27 l. 689/81
Salvo quanto disposto nell’ultimo comma dell’articolo 22, decorso inutilmente il termine fissato per il pagamento, l’autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione procede alla riscossione delle somme dovute in base alle norme previste per la esazione delle imposte dirette, trasmettendo il ruolo all’intendenza di finanza che lo dà in carico all’esattore per la riscossione in unica soluzione, senza l’obbligo del non riscosso come riscosso. è competente l’intendenza di finanza del luogo ove ha sede l’autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione. Gli esattori, dopo aver trattenuto l’aggio nella misura ridotta del 50 per cento rispetto a quella ordinaria e comunque non superiore al 2 per cento delle somme riscosse, effettuano il versamento delle somme medesime ai destinatari dei proventi. Le regioni possono avvalersi anche delle procedure previste per la riscossione delle proprie entrate. Se la somma è dovuta in virtù di una sentenza o di un decreto penale di condanna ai sensi dell’articolo 24, si procede alla riscossione con l’osservanza delle norme sul recupero delle spese processuali. Salvo quanto previsto nell’articolo 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre  a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all’esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti. Le disposizioni relative alla competenza dell’esattore si applicano fino alla riforma del sistema di riscossione delle imposte dirette.

 

2.20 Prescrizione

Testo normativo - articolo 28 l. 689/81
Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione. L’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile.

03/05/2016