a cura di Cristina Di Lucente
Al binario 18
Torino. Tracce di umanità provenienti da un altrove che vive al di là dei confini nazionali, in un itinerario di immagini che fa incontrare autori della società civile e poliziotti che hanno messo la loro professionalità al servizio dell’arte. È la mostra dal titolo binario18 - staying human art ospitata a Palazzo Barolo fino alla fine di aprile nel capoluogo sabaudo. A organizzarla l’associazione Legalarte, nata dalla volontà di alcuni appartenenti alla Polizia di Stato che hanno scelto di continuare a diffondere i principi di legalità anche al di fuori del contesto istituzionale, facendo leva sul linguaggio visivo. Un seminario si è tenuto a corollario della manifestazione, dove esperti di politica internazionale hanno scandito con le parole la realtà che gli artisti hanno rappresentato, una realtà complessa e sotterranea della quale ci arriva solamente una minima parte, attraverso le immagini tragiche che quasi ogni giorno invadono i telegiornali e le pagine dei quotidiani. Oltre 50 le opere esposte, tra quadri, sculture, fotografie e installazioni, tutte legate da un unico filo conduttore: la volontà di raccontare le migrazioni, quelle di ieri, degli Anni ’50 e ’70 in Italia, quando centinaia di migliaia di persone giungevano a sud di Torino a bordo del Treno del sole, proprio al binario 18, che simbolicamente ha dato il nome alla mostra, e quelle che appartengono al nostro presente.
«A fianco a grandi nomi, come Ugo Nespolo, Daniele Galiano e Francesco Cito sono esposte opere realizzate da agenti di polizia – spiega Roberta Di Chiara, poliziotta e presidente di Legalarte – professionisti che hanno sentito la necessità di trasmettere, attraverso la pittura, le emozioni provate nel loro lavoro quotidiano nell’interfacciarsi al popolo migrante». Successivamente, dal 5 al 18 maggio, l’esposizione sarà allestita in un luogo simbolo, lo Spazio MRF a Mirafiori, l’ex capannone Fiat riprenderà vita nella forma di un centro culturale, per non dimenticare l’umanità che l’accoglienza dev’essere in grado di donare.
Il testamento di Carolina
«Le parole fanno più male delle botte», è questa la frase che Carolina Picchio ha lasciato scritta in una lettera prima di lanciarsi nel vuoto dal balcone della sua casa. La quattordicenne di Novara, suicida all’inizio del 2013 a causa di un gesto subito di cyberbullismo – un video che girava tra i compagni di classe della sua scuola, in cui la giovane era stata filmata durante una festa in cui aveva alzato un po’ il gomito – non corrispondeva certo all’identikit della vittima. Bella e sportiva, non era una ragazza debole ma la sua fragilità è emersa a seguito del terribile scherzo che ha subito. Questa tragedia però non ha lasciato il segno solo sulle persone che frequentavano la giovane, familiari, amici e gli stessi ragazzi imputati per istigazione al suicidio, perché la storia di Carolina si è trasformata nello spunto per diventare un disegno di legge proposto dalla senatrice Elena Ferrara, che era anche la maestra di musica della ragazza. «Personalmente non avevo contezza del problema finché non ho sbattuto la testa contro il muro – ci spiega la senatrice – quando Carolina si è resa conto di avere moltissimi like sul video che la vessava, ha trovato un carico di sofferenza troppo pesante da poter gestire, si è chiusa in se stessa, nel baratro della sua solitudine». La nuova legge punta soprattutto alla prevenzione, sul mettere a sistema tutte le iniziative di formazione e informazione che la polizia del Web cerca già di svolgere, rendendo consapevoli tanto i ragazzi quanto gli educatori. «Il problema, spesso legato all’inconsapevolezza e alla sottovalutazione da parte dei minori rispetto a quello che può accadere sul Web