Luigi Lucchetti*
L’ossessione di conservare
Una vera e propria patologia quella che porta alcune persone ad accumulare oggetti di ogni tipo. Le ragioni nascoste
Manhattan, quartiere di Harlem, 21 Marzo 1947. Di fronte al Central Park, all’incrocio tra Fifth Avenue e la Centoventottesima, la polizia avvertita da una telefonata anonima fa irruzione nella villa dei fratelli Collyer.
Lo scenario che si apre agli occhi di chi vi penetra è incredibile e sconvolgente. Muoversi all’interno della villa è praticamente impossibile. Vi sono stipate fino all’inverosimile 140 tonnellate di qualcosa che assomiglia a una enorme discarica: giornali, libri, spazzatura, cibo avariato, cianfrusaglie, strumenti musicali e quant’altro si possa immaginare come materiale di scarto di una grande metropoli. Uno dei due fratelli, Horner, viene ritrovato quasi subito senza vita, seduto nella sua camera da letto, morto di inedia. Dopo sedici giorni di “scavi” viene rinvenuto, a soli dieci metri di distanza dal primo, il cadavere del fratello minore Langley, schiacciato a morte da una pesante valigia e da tre enormi fasci di giornali mentre cercava di farsi strada per portare qualcosa da mangiare al congiunto infermo. Horner e Langley Collyer rappresentano tragicamente uno dei casi più gravi e famosi di accumulazione compulsiva, di hoarding disorder come oggi il disturbo viene classificato in ambito psichiatrico, fenomeno che appare incomprensibile a chi non ne soffre e oggetto di curiosità tale da ispirare alcune serie televisive di successo prodotte negli Stati Uniti, come Horders e Buried Alive, l’ultima delle quali recentemente trasme