Maria Nudi*
Crocevia di popoli e civiltà
Portuale per tradizione, prosaica e religiosa. A Livorno la sicurezza non desta particolari preoccupazioni, ma la guardia è sempre alta
«A tutti voi mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portoghesi, Greci, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Armeni, Persiani e altri concediamo reale, libero e amplissimo salvacondotto e libera facoltà e licenza che possiate venire e stare, trafficare, passare e abitare con le famiglie e senza patire tornare e negoziare nella città di Pisa e terra di Livorno». È questo uno dei passaggi delle “leggi livornine”, il manifesto del libero mercato scritto dal granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, risalente al 1591, che sancisce di fatto, anche e soprattutto, la prima forma di legalità e di costituzione della città di Livorno. Anche la sicurezza a Livorno affonda le sue radici nella tradizione del granducato.
La legalità della città portuale arriva dalla storia cinquecentesca, così come dal Rinascimento arriva la tradizione economica della “città dei quattro mori”, il monumento davanti alla Fortezza Vecchia. Il porto ha fortemente caratterizzato la vita e l’economia della città toscana. La portualità è stata e rimane, infatti, una delle sue principali fonti di sviluppo e di lavoro. I portuali insieme al Partito comunista d’Italia, nato a Livorno nel 1921, hanno fatto la gran parte della storia della città e della sua provincia, il cui territorio va da Collesalvetti a Piombino, fino all’Isola d’Elba e a quelle di Capraia, Gorgona, Pianosa e Montecristo.
Livorno, città natale del presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Livorno, città laica e religiosa insieme, con tante chiese cattoliche e una delle più grandi sinagoghe del Paese. Il rabbino Elio Toaff, nativo di Livorno, scomparso nel 2015, rappresenta una delle figure che meglio hanno interpretato lo spirito delle “leggi livornine” e, a riprova di ciò, nel 2001 l’allora sindaco Gianfranco Lamberti gli conferì la “livornina d’oro”, massima onorificenza cittadina.
Livorno, città del grande musicista Pietro Mascagni, fiera del suo teatro lirico Goldoni.
Livorno, città di grandi pittori e scultori come Giovanni Fattori e Amedeo Modigliani, detto l’angelo maledetto, l’artista della beffa di Modì, le finte sculture affiorate dai fossi nel 1984 e realizzate da tre studenti che hanno scritto con uno scherzo una pagina di storia della città. Livorno, non a caso anche città del mensile satirico-umoristico Il Vernacoliere di Mario Cardinali e luogo che, pur facendo dell’irriverenza una delle sue bandiere, è capace di grandi slanci, anche apparentemente in contraddizione fra loro: è il 1997 quando un settimanale a diffusione nazionale pubblica la notizia di una presunta storia sentimentale dell’allora vescovo Alberto Ablondi, compianto pastore sempre in prima linea nella lotta per i diritti civili e il lavoro, ancora oggi tanto amato. Ma Livorno non ci sta e abbraccia il suo vescovo proprio nel Palazzo dei portuali. Del resto la città di Livorno può vantare la presenza vigile della Madonna di Montenero, patrona della Toscana, il cui santuario è ricco di ex voto che testimoniano come i livornesi, quando le difficoltà sono più grandi di loro, si rivolgano alla Madre Celeste.
Ma Livorno è anche la città di Ovosodo, il film di Paolo Virzì, uno dei suoi figli che oggi la fa volare a livello internazionale.
E poi, Livorno città di piazza della Repubblica, “il Voltone” per i livornesi, che in pochi sanno essere uno dei ponti più lunghi d’Europa.
E ancora, Livorno città dell’improvviso mutamento degli equilibri: dopo settant’anni di amministrazione di sinistra,