Anacleto Flori

Segni particolari: Poliziotto

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Due anni fa moriva il sostituto commissario Roberto Mancini, che per primo scoperchiò il vaso di Pandora dello smaltimento illecito di rifiuti nella Terra dei fuochi. Poliziamoderna lo ricorda così

anniversari

La lunga, drammatica litania dei 900 nomi di vittime della mafia letti dalle voci commosse dei giovani dell’associazionismo civile risuona come un mantra all’interno di piazza del Duomo, a Messina, affollata di gente.

È il 21 marzo, primo giorno di primavera, e come sempre l’Italia migliore, quella che non china la testa, si ritrova a celebrare la tradizionale Giornata nazionale in memoria delle vittime di tutte le mafie. Tanti i nomi, i volti e le storie che scorrono davanti ai nostri occhi e quando ad essere scandito è il nome del sostituto commissario della Polizia di Stato Roberto Mancini, non si può non tornare con la mente a un’altra mattina di due anni fa e a un’altra piazza, quella del Verano a Roma, in cui  la bara di Roberto Mancini, avanza lentamente tra due ali di folla, portata a spalla dai colleghi. Sul feretro, una foto che lo ritrae sorridente e il suo berretto d’ordinanza. Roberto aveva solo 54 anni e la sua è stata una morte dolorosa, difficile da accettare, ma soprattutto annunciata. Annunciata fin dal 2001, anno in cui scopre di essere affetto dal linfoma non-Hodgkin, un tumore del sangue contratto anni prima nel corso delle indagini sul traffico di rifiuti in quella parte di Campania che sarebbe diventata tristemente famosa come Terra dei fuochi. Roberto Mancini è stato, infatti, il primo a ficcare letteralmente il naso nelle discariche abusive, tra fusti “avvelenati” interrati nei frutteti e scorie di amianto usate come concime. In quegli anni, a parte Legambiente che già nel 1994 aveva coniato il termine, pochi in giro parlavano di “ecomafia”: non ne parlavano i giornali, le tv e soprattutto non ne parlavano le procure, nonostante l’operazione Adelphi avesse portato alla luce, già nel 1993, l’intreccio mefitico tra banche, imprenditori senza scrupoli, politici collusi e boss della Camorra. Roberto è l’unico, assieme agli uomini della sua squadra, a ripartire dagli atti di quell’operazione e a mettersi sulle tracce di quel fiume di rifiuti che sembrano spariti nel nulla. Roberto, infatti, non è un poliziotto qualunque, e soprattutto non è un poliziotto per caso: quella di indossare la divisa era stata una precisa scelta morale, ma soprattutto politica. Roberto, che fin dai tempi del liceo milita nel collettivo politico Aug

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04/04/2016