Valentina Pistillo

Giochi sporchi nel Deep Web

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Agiscono su reti invisibili scambiando milioni di file con foto e filmati di abusi su minori. A combattere i pedofili on line gli esperti del Cncpo, la polizia delle comunicazioni che indaga sotto copertura

Primo piano

Fino a poco tempo fa gli “orchi” vivevano nelle grotte: chi aveva interesse sessuale nei confronti dei bambini si isolava, demonizzato dall’opinione pubblica, quasi spaventato dalla propria perversione.

Oggi invece fa parte di una comunità globale. Può interagire in una board, una piattaforma dove si incontrano centinaia di persone di tutto il mondo. Dove si arriva solo con le “referenze”: materiale scottante, spesso autoprodotto, con immagini di violenza su minori ignari di tutto. Qui non si scambiano solo fotografie e filmati ma anche fantasie sessuali, tecniche di adescamento on line, il cosiddetto grooming e talvolta, purtroppo, bambini veri in carne ed ossa. Naturalmente nella più totale privacy della realtà virtuale.

Dalle reti in chiaro a quelle anonimizzate
«Sono 1.849 i siti oscurati classificati nella black list stilata dal nostro ufficio» spiega Elvira D’Amato a capo del Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia on line (Cncpo), che fa parte del Servizio postale e delle comunicazioni, la polizia del Web, diretta da Roberto Di Legami. «L’elenco – continua D’Amato – viene fornito agli Internet service provider perché ne venga inibita la navigazione, attraverso sistemi tecnici di filtraggio». 

È un lavoro sempre più complesso come sostiene Carlo Solimene, direttore della II divisione del Servizio postale dove è incardinato il Cncpo, che registra una sorta di trasferimento delle comunità dei pedofili che sono andati via dal Web per mimetizzarsi nelle reti anonimizzate, le cosiddette Darknet. Una “transumanza” nell’Internet dei senza nome e dei senza volto che sulle community si scambia filmati e foto, compra e vende abusi su minori. Un’immensa rete parallela, alternativa a quella in chiaro a cui si accede tramite il software Tor (acronimo di the onion router). Nato per fini leciti, prevalentemente militari, il sistema procede anche a criptare i dati, nascondere l’indirizzo IP per essere rintracciati e rendere relativamente anonima la navigazione. Fino ad oggi, però, sono state arrestate in Italia 79 persone, 574 sono state denunciate, ben 23.981 i siti monitorati dagli agenti della polizia del Web. «Darknet, quindi – osserva il direttore Solimene – non significa rimanere impuniti: lo testimoniano i dati. Il nostro impegno è quello di investire tutte le nostre risorse per attività investigative innovative, condivise con tutti gli altri Paesi, e arrivare all’identificazione nel più breve tempo possibile dei pedofili on line, attraverso una rete di agenti italiani sotto copertura, presenti al Cncpo e in tutti i compartimenti territoriali». 

I numeri indicano i successi che gli operatori della Postale pagano a caro prezzo: ore intere a caccia, nelle reti anonimizzate, fingendosi criminali. I poliziotti fanno parte anche di «gruppi di lavoro in Europol e di altre polizie internazionali. In questo ambito tra le tante collaborazioni quella più significativa è con l’Fbi. L’obiettivo è di arrivare alla deanonimizzazione della Rete, priorità anche della magistratura specializzata che con noi condivide questi nuovi fronti investigativi». Molte realtà – continua il direttore della II divisione – che coinvolgono i minori, «come il cyberbullismo, il sexting (la condivisione di immagini sessuali private, ndr) o il fenomeno del troll (nel gergo di Internet e in particolare delle comunità virtuali, è un soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti e fuori tema, ndr) riguardano l’Europa. In Italia questi fenomeni sono meno registrati dal punto di vista numerico perché abbiamo una bella “rete” di base che è fornita dalla famiglia, dalla scuola e soprattutto dall’attività di prevenzione che la polizia del Web, unitamente ai propri partners, come il Miur (il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), le Ong di settore, le compagnie telefoniche e le aziende dell’Information Technology, svolgono regolarmente nelle scuole. Solo nell’ultimo anno, 500mila studenti hanno ricevuto consigli pratici su come evitare le trappole su Internet ed evitare le insidie dei Social, ma soprattutto come confrontarsi con gli operatori, genitori e insegnanti». Dal 2010 è stata istituita la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete, l’Internet safer day, dedicata alle insidie on line (in Italia organizzata dalla polizia del Web e dal Miur), promossa dalla Ue, a cui partecipano 100 nazioni in tutto il mondo. 

Il mercato dell’orrore però non conosce limiti. Le comunità di pedofili sul Deep web sono un’emergenza internazionale. Ma quanti sono italiani e in quale parte della Penisola il fenomeno è più concentrato? In linea generale – conclude Solimene – non si può dire in quale parte dello Stivale gli episodi siano più diffusi geograficamente. Spesso dipende dalla digital divide, la differenza di qualità delle tecnologie mobili da regione a regione. La nostra attenzione è altissima su tutto il fenomeno dalla Sicilia fino al Piemonte. Il grande contributo che abbiamo dai compartimenti territoriali ci permette di offrire un contrasto a tutto tondo nel nostro Paese e di livello elevato in tutto il mondo, grazie alla collaborazione con le altre agenzie investigative».

La sfida globale insieme all’Fbi
La guerra agli orchi virtuali di bambini si combatte con la cooperazione internazionale. Da cinque anni c’è una strettissima collaborazione tra l’Fbi e la polizia del Web. Abbiamo ascoltato sull’argomento Maria Cristina Posa, magistrato del Department of Justice criminal division.

«La polizia del Web composta da investigatori esperti con tecnologie innovative molto sofisticate, è sempre stata uno dei nostri partner principali – spiega il giudice Posa – nel contrasto alla pedopornografia on line. Dato che le vittime e gli sfruttatori si trovano su piattaforme globali, non rispettando i confini internazionali, anche i nostri mezzi di contrasto devono essere altrettanto globali». L’obiettivo e l’impegno degli investigatori è quello «di arrestare i “consumatori” locali – sostiene il magistrato americano – quelli che, fingendosi coetanei, adescano i minori sui Social, ma soprattutto di smantellare definitivamente queste reti di sfruttamento. Da noi esiste un reparto specializzato, presso il Dipartimento della giustizia, il Child exploitation and obscenity section, dove lavorano agenti infiltrati nelle comunità di pedofili. Negli Usa – conclude Posa – la pedopornografia on line è punita più severamente. Le pene dipendono dal livello di responsabilità dell’imputato. Le normative federali prevedono una condanna minima a 15 anni, massima a 30. Per le recidive dai 35 ai 50, fino ad arrivare nei casi più gravi all’ergastolo». 

Cosa dice la legge
«Nella legislazione italiana – afferma Elvira D’Amato – esiste un’ampia varietà di reati e di aggravanti che riguardano la pedopornografia. Si va dai due anni, fino ad arrivare a 12 nei casi più gravi. Se c’è anche l’abuso sessuale si va oltre, e se è presente il reato associativo si aggravano ulteriormente le posizioni dell’imputato. Noi, come centro di contrasto siamo stati tra i primi, a livello internazionale, a sperimentare le indagini sulle Darknet, facendo approvare recentemente un’aggravante speciale dal legislatore: l’utilizzo di sistemi di anonimizzazione», osserva la dirigente. 

Il dlgs del 4 marzo 2014, infatti, ha inserito il nuovo art. 609-duodecies, il quale dispone che le pene per i reati aumentino in misura non eccedente la metà nei casi in cui gli stessi siano compiuti con l’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche. 

Come è nato il Cncpo e gli undercover italiani
«La normativa per il contrasto al fenomeno – continua D’Amato – nasce nel ‘98 con un connotato di emergenza: il boom della Rete ha riattualizzato questo tipo di perversione. È una legge molto lungimirante perché prevede un insieme di misure e strumenti operativi che si riassumono sotto la parola di attività ”sotto copertura”, costituita da poliziotti specializzati che, a colpi di mouse, indagano, con l’autorizzazione dall’autorità giudiziaria, cercando di reprimere questa spregevole attività in ogni parte del Web. Sin da subito – sottolinea D’Amato – l’Italia si è collocata in un panorama internazionale ad alti livelli di cooperazione. Nel 2006, quando è nato il Cncpo (l’articolo 19 della legge n. 38 del 2006 modifica l’articolo 14 della legge 269/98, introducendo con l’articolo 14bis il Centro nazionale per il contrasto alla pedo-pornografia on line, ndr), ci siamo ispirati a modelli paralleli, seguendo quello che era il trend internazionale. Nei Paesi dove la lotta alla pedofilia era maggiore, come il Canada, gli Usa, l’Inghilterra, e l’Australia, si sono costituite unità centrali per gestire la materia. Centralizzare – sostiene – significa far dialogare il contrasto con l’attività di prevenzione. Ad esempio l’Europa ha istituito l’Internet safer day come iniziativa dedicata alla sicurezza di chi naviga, perché in Rete gira di tutto e anche eventi che esaltano questi orientamenti sessuali, come la Giornata dell’orgoglio pedofilo. Di questo ne siamo venuti a conoscenza grazie all’ attività delle indagini sotto copertura che ne hanno rivelato l’esistenza già negli anni Novanta. Fondamentale la loro attività di agenti infiltrati anche per l’operazione Babylon, la seconda del genere nel mondo, condotta dal Cncpo in collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia di Roma. L’inchiesta ha portato alla scoperta di un market virtuale dove veniva venduto qualsiasi tipo di illecito, ma che era soprattutto un luogo in cui i pedofili si scambiavano materiale e informazioni. Come centro, ci siamo dotati di una rete multidisciplinare : collaborano con noi le istituzioni, le Ong di settore, le realtà accademiche, le aziende dell’Information technology e gestori dei servizi Web che ci aiutano a gestire sia il contrasto che la prevenzione ma anche a operare con altre realtà come il mondo della scuola, della sanità, dell’assistenza sociosanitaria e altro ancora». 

Vittime e carnefici
«La pericolosità del soggetto  – prosegue D’Amato – è senza dubbio l’aspetto più importante dell’investigazione. Gli ingenti quantitativi di immagini detenute, come foto e filmati particolarmente violenti e scabrosi, tracciano il profilo dell’indagato e la potenzialità al passaggio successivo che potrebbe compiere l’aguzzino, quello dell’abuso sessuale». Questo «è il linguaggio comune degli investigatori – continua – che a livello globale incentrano le indagini di contrasto alla pedopornografia sull’identificazione delle vittime. Icse, International child sexual exploitation, presso la sede Interpol di Lione, non è solo un archivio fotografico di immagini pedopornografiche, ma un vero e proprio tavolo virtuale globale, in cui le indagini del Cncpo si incrociano con quelle di tutto il mondo per dare un nome ai volti delle vittime»

Per i sexual offender il progetto Acse, una partnership tra Dap, l’amministrazione penitenziaria, il Garante dei diritti dei detenuti, Save the children, il Cipm, il Centro italiano per la promozione della mediazione e Cncpo, prevede un presidio per il trattamento terapeutico dentro e fuori dal carcere. Secondo il mondo scientifico «queste iniziative – sostiene la dirigente – aiutano a combattere la reiterazione del crimine, smussando le recidive. Per questi tipi di soggetti c’è una dipendenza su due fronti: da una parte per la fruizione di materiali pedopornografico, e dall’altra la dipendenza di tipo sessuale, dovuta chiaramente all’orientamento, anche se ogni caso da trattare è sempre diverso. Come centro, ci siamo dotati di una rete multidisciplinare: collaborano con noi le istituzioni, le Ong di settore, le realtà accademiche, le aziende dell’Information technology e gestori dei servizi Web che ci aiutano a gestire sia il contrasto che la prevenzione ma anche a operare con altre realtà come il mondo della scuola, della sanità, dell’assistenza sociosanitaria e altro ancora». 

La nuova frontiera pornografica del cyberbullismo
Un discorso a parte ma che poi si ricongiunge alla pedopornografia è quello del cyberbullismo, di cui una nuova frontiera è proprio la pedopornografia e non è un caso che se ne occupi sempre il Cncpo. «Ci sono sempre più minori – continua D’Amato – i quali producono foto e filmati di contenuto pedopornografico di loro stessi, facendone un uso improprio. Che sfocia il più delle volte in atti di violenza e prevaricazione. Questo è l’anello di congiunzione tra materiale pedopornografico e cyberbullismo. Avviene ad esempio tra due fidanzatini che “fanno sesso” e si riprendono con il cellulare. Può accadere, come in tutte le relazioni umane, che si lasciano in malo modo e magari quel materiale autoprodotto viene divulgato o ne viene minacciata la diffusione per vendetta o ritorsione. Una sessualità distorta, quindi, acuita dall’uso della Rete ma che ha a che fare con un minore la cui vulnerabilità è altissima. Per questo – conclude D’Amato – si spiegano le leggi che criminalizzano tanto e organismi, come il Cncpo,i quali intendono coniugare l’attività di conoscenza, che proviene dal contrasto, al servizio della prevenzione. Anche durante i tavoli tecnici di cooperazione internazionale non si scindono mai le due attività». Elvira D’Amato è certa che l’obiettivo principale sia quello di assicurare alla giustizia gli aguzzini della Rete, ma tra le priorità c’è anche l’altra attività complementare e specifica del Cncpo, quello del monitoraggio e filtraggio dei siti pedopornografici, affinchè avvenga: «la rimozione radicale del materiale che gira su Internet, attraverso – ribadisce la dirigente – anche una serie di cooperazioni internazionali che combattono la globalità del fenomeno. Se troviamo immagini postate su server italiani chiudiamo quel sito definitivamente e puntiamo sulle vittime».    

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Identikit del “cyberpedofilo”
di Patrizia Torretta* 

Già dai primi contatti in Rete, nelle attività sotto copertura, è possibile costruire il profilo criminologico del pedofilo online. Partecipare alla costruzione della relazione “tecnomediata” con un abusante e chattare fingendo di avere interessi deviati comuni, consente all’operatore e allo psicologo che lo affianca, di entrare nel mondo intimo e segreto di chi è ossessionato da fantasie perverse, per scovarne le vulnerabilità, facendolo uscire allo scoperto. I pedofili sfruttano la Rete secondo le proprie tendenze e inclinazioni: chi è particolarmente interessato a preadolescenti e adolescenti sfrutta l’interesse innato, il presenzialismo e la curiosità delle nuove generazioni per costruire un legame affettivo quale presupposto per la richiesta di immagini sessuali, atti di autoerotismo, sino ad arrivare all’incontro sessuale off-line (c.d. groomer). Alcuni invece sfruttano la Rete per commissionare ad altri abusi che possono guidare via Internet con le webcam, comodamente seduti in casa, mentre l’orco e la sua vittima si trovano, magari, a migliaia di chilometri di distanza. La maggior parte di essi, tuttavia, scambia in Rete foto o filmati. In alcuni casi gli aguzzini sono abusanti reali che, approfittando della loro condizione familiare o lavorativa di contatto con bambini, ne abusano sessualmente fotografando e filmando l’atto per condividerlo con altri utenti. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una “migrazione” digitale dei pedofili online: dai circuiti di file-sharing più commerciali, al Deep Web, dove gli utenti si nascondono dietro un anonimato tecnologico quasi inespugnabile. Dalla disamina dei casi arrivati all’attenzione della Polizia del Web emerge un profiling così delineabile: i “cyberpedofili” sono prevalentemente uomini che nel 57% dei casi hanno un’età inferiore ai 50 anni, impegnati in una relazione affettiva stabile, coniugati o conviventi, o single, nella stessa percentuale. Il livello d’istruzione è quello medio alto, in una percentuale del 65% di diplomati e laureati, che sono i maggiori fruitori di Internet. Il 12% risulta avere precedenti penali mentre il 53% ha precedenti specifici per reati connessi con la violenza sessuale sui minori o per pedopornografia. La trasversalità del fenomeno si riscontra anche a livello territoriale: i soggetti provengono da ogni tipo di città e da tutte le regioni del territorio italiano. La maggior parte di loro agisce come un collezionista che non riesce a smettere di cercare, scaricare, immagazzinare foto e filmati. Con lucida organizzazione conserva i suoi feticci e se ne compiace “storandoli” e copiandoli su vari supporti. Non vuole smettere né probabilmente lo fa sino a che le indagini non rivelano la sua identità e conducono alla sua porta. Il rischio di recidiva è molto alto, proprio perché non sentono rimorso per ciò che fanno e per le forti tendenze a ripetere sempre le stesse azioni che sono tipiche dei collezionisti. Non è sempre comunque possibile delineare una gamma comportamentale esaustiva di tutta l’ampia fenomenologia tipica. Appare invece particolarmente importante comprendere sempre più approfonditamente le sfumature di un crimine così aberrante che ha saputo tristemente giovarsi dei progressi della tecnologia, introducendo nuove modalità di espressione.

*direttore tecnico capo psicologo della Polizia di Stato dell’Uaci, Unità di analisi dei crimini informatici

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La testimonianza: come ti stano l’orco

C’è forte odore di caffè nella stanza al terzo piano della polizia del Web. Cinque poliziotti infiltrati indagano, sotto copertura, giorno e notte. Combattono il florido mercato dell’orrore attraverso i mille sentieri ingannevoli della Rete. Poliziamoderna li ha incontrati e ha parlato con uno di loro. Andrea (nome di fantasia), 43 anni, dal 1999 combatte per il contrasto alla pedopornografia online, in team con i colleghi del Cncpo e quelli operativi sul territorio. Una squadra di “sbirri” della Rete che ha molti skill professionali, profili e competenze specifiche ma che lavora in stretta collaborazione.

In che consiste l’attività sotto copertura?
L’indagine si concretizza dalla notizia di reato, fino al termine delle attività che non si concludono sempre con l’arresto. Analizzando i computer ci imbattiamo in tante situazioni e contatti che servono per una nuova informativa su ulteriori reati. La conclusione delle indagini avviene con la fine dell’analisi del supporto informatico sequestrato. Per determinati chat e linguaggi in codice usati nelle community solo chi ha condotto l’indagine può cogliere la necessità di maggiore approfondimento degli accertamenti. Tecnicamente se un soggetto frequentatore della darknet si sposta da una ad un’altra piattaforma o comunità noi investigatori dobbiamo essere pronti a seguirlo o farci accompagnare da lui. Il nostro lavoro non ha limiti: si sposta da una board all’altra perché non punta solamente sullo spazio di Rete. I maggiori successi li otteniamo quando durante le comunicazioni o le chat qualcuno le legge ma non riesce a distinguere chi è il poliziotto o chi è il pedofilo.

Anche se tutta l’attività è finalizzata a reperire il materiale, questo costituisce solamente la fase conclusiva. Per vincere la diffidenza degli interlocutori, una fase di approcci e di conquista della loro fiducia è fondamentale per “entrare nelle loro grazie”. Il sotto copertura non si limita solo al Web. A volte è stato necessario incontrare direttamente i singoli individui. Come nei casi in cui non c’è una prova tangibile o non si riesce ad identificare il soggetto perché magari sfrutta dei posti dove la connessione mobile non ci permette di identificare dove si trovi l’abitazione e dove detiene il materiale. Nomignoli in codice e nickname servono per stabilire un contatto credibile. Ma il problema principale è capire qual è l’esigenza dall’altra parte ed essere pronti a soddisfare quel tipo di fantasia perversa di cui hanno bisogno. Ai partecipanti piacciono i giochi di ruolo, far finta che hanno dei bambini a disposizione, solitamente in età prepubere. Quando iniziano il turpe gioco uno chiede agli altri: «Cosa gli faresti al Tizio? Cosa ti piacerebbe fare con Caio?» e così via fino a sprofondare in un abisso di aberranti e crudeli fantasie.

Quanto tempo dura un’indagine?
Dipende dalla complessità dell’attività di investigazione. Inizialmente nei primi anni del 2000 erano molto brevi, si arrivava a 3 o 4 mesi al massimo, perché la connessione ad Internet era lenta e l’uso della Rete era molto meno diffuso. Oggi un’attività sotto copertura può durare due anni per la complessità dell’indagine che è diventata transnazionale: Internet è un universo senza confini e ha permesso che i più accaniti pedofili, tramite il Web, spaziassero sconfinando da una parte all’altra dell’emisfero. Purtroppo la tecnologia è andata in soccorso alle esigenze di questi soggetti che operano attività illecite. Tutto ciò complica le indagini ulteriormente. Non solo: ma il mondo intero cerca di tutelare il concetto di privacy creando dei software o delle modalità per rimanere anonimi. Le stesse strategie vengono utilizzate da alcuni individui per commettere attività criminali e per noi diventa sempre più difficile identificarli. Più varia il target e il profilo di competenza informatica del cyberpedofilo e maggiormente difficile risulterà l’indagine.

Ricordi qualche episodio in particolare in questi anni di attività? Ti sei mai imbattuto in una donna?
Nelle loro peculiarità sono tutti personaggi particolari. Quando si fa questo tipo di attività vengono fuori sempre delle strane curiosità. Nel tempo si materializzano situazioni strane vissute e per fare una forma di defaticamento mentale ripercorriamo spesso con la mente episodi già affrontati: serve a ognuno di noi per scaricare la tensione, l’accumulo di stress dato da questo delicato lavoro e spesso ne parliamo anche tra noi della squadra per veder se possiamo migliorare la nostra esperienza. Durante una perquisizione ci siamo imbattuti una volta in un soggetto che conservava dentro casa una serie di profilattici con il suo liquido seminale: nella sua follia era convinto che non dovesse essere sprecato. In un altro caso, un individuo indagato aveva a casa una collezione di bambole gonfiabili, tutti aspetti e devianze legati alla sfera sessuale. A volte alcune situazioni che normalmente sono drammatiche diventano quasi comiche in determinate circostanze. Se a scambiare foto di minori è una donna dall’altra parte dello schermo, il modus operandi e l’approccio, a questo tipo di reato è totalmente differente da quello dell’universo maschile. A me è capitata una signora di 34 anni che si fingeva piccola perché si eccitava sessualmente pensando che gli altri la considerassero una bambina. Scambiava materiale pedopornografico propinando foto di una minore, in cui si rispecchiava lei, per far eccitare altri pedofili. Una perversione molto particolare che va al di fuori dei canoni del sexual offender nel campo in cui lavoriamo.

È capitato che l’indagine non sia andata a buon fine?
Come abbiamo spiegato prima, per noi investigatori della Postale è importante studiare i soggetti in più riprese con più nickname differenti fino a capire qual è la via giusta per entrare in contatto con ognuno di loro e seguirlo. Non si può dire che un’attività di questo genere possa fallire: gli insuccessi sono i “tentativi” di trovare la strada giusta per entrare in empatia con il pedofilo attraverso i vari step di conoscenza. Una volta “accreditati” all’interno della community è difficile poi commettere errori. La fortuna di noi agenti sotto copertura è che parecchi pedofili hanno delle paranoie, delle fissazioni esagerate anche tra di loro. Abbiamo arrestato soggetti colpevoli di abusi raccapriccianti ma che a loro volta erano stati esclusi dalle board perché scambiati per poliziotti dagli stessi cyber pedofili. Sembra un paradosso ma spesso è quello che succede nella realtà virtuale.

Alcune immagini sono molto forti e non ci si abitua facilmente alla visione ripetuta di materiale pedopornografico. Qualcuno ha mai rinunciato a continuare questo tipo di lavoro?
Purtroppo per lavoro siamo costretti a uno sdoppiamento della personalità che ci porta a digitare e pensare atrocità che riguardano innocenti bambini. Siamo quotidianamente sottoposti ad una pressione non comune ma cerchiamo di essere molto equilibrati per arrivare con successo all’identificazione del soggetto abusante o della vittima. È necessario avere la professionalità e la concentrazione sempre a pieno regime. Personalmente non ho mai conosciuto nessuno che ha smesso di fare questo lavoro. La forma di tutela maggiore per noi è quella del funzionamento della squadra: il nostro team si autocontrolla a vicenda. Ogni elemento conosce molto bene l’altro e sa se qualcuno sta andando oltre o se c’è uno stress maggiore che fa evidenziare un comportamento anomalo. Al nucleo antipedofilia ci pensano le psicologhe della Polizia di Stato che lavorano in tandem con gli operatori. Patrizia Torretta e Cristina Bonucchi fanno parte dell’Unità di analisi dei crimini informatici, l’Uaci, incardinato nel Cncpo. Con loro non facciamo delle sedute vere e proprie ma una sorta di defaticamento mentale: raccontiamo la nostra attività e le nostre sensazioni confrontandoci, magari, davanti ad un caffè. A volte già da questo tipo di colloquio informale la loro professionalità intuisce se ci sono determinati segnali di ansia o depressione. Spesso ci somministrano questionari anonimi per capire i nostri stati d’animo. Le psicologhe hanno la straordinaria capacità di cogliere al volo se abbiamo dei momenti di rabbia da sfogare o semplice sconforto. Se ci sono problemi alla fine li esorcizziamo parlandone.

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Scatti rubati
di Cristina Bonucchi*

Marco 14 anni: «Dai mandamene una sola, sto morendo dalla voglia di vederti... nessuno lo saprà. La mandi, la vedo e la cancello, fidati». Chiara 13 anni: «Solo per te, per amore! sono bella? Foto inviata...» È fatto di migliaia di messaggi come questi il sexting (da sex e text, scambiarsi messaggi che parlano di amore, sentimenti e sesso). I ragazzi non lo chiamano così ma lo fanno, lo fanno spesso quando si piacciono, quando si sentono attratti, quando vogliono capire se c’è davvero feeling tra di loro. Parlano di sesso, si fanno domande via whatsapp, si scambiano messaggi d’amore sulle chat dei Social, fotografano corpi che sbocciano, filmano attimi privatissimi, affidandoli alla Rete. Credono di essere più protetti, è per loro più facile l’esposizione via Web perché il messaggio è istantaneo, fulmineo come l’eccitazione che sentono. Ma la presenza fisica dell’altro è lontana e il ripensamento possibile se la foto viene cancellata, almeno loro credono sia così.
A 13, 14 anni lo sviluppo cognitivo dei ragazzi rende spesso difficile prefigurare accuratamente le conseguenze di un gesto compiuto o subìto. La polizia del Web assiste da tre anni a questa parte a un crescendo nel numero di casi penalmente rilevanti in cui sono implicati minorenni, anche di età inferiore ai 14 anni, in cui non vi sono abusanti adulti, scaltri e pericolosi, a minacciare l’equilibrio psichico di ragazzi ma coetanei poco consapevoli e spesso stupiti della gravità delle conseguenze delle loro azioni on line. Sono solo 6 nel 2013 i minori denunciati all’autorità giudiziaria perché hanno diffuso in Rete foto e filmati di sesso e nudo di coetanei, mentre nel 2014 diventano 27 e 28 nel 2015. La massiccia e recente diffusione degli smartphone ha consegnato nelle mani di poco più che bambini uno strumento che mette in connessione con il mondo, che trasmette immagini, che gira video in pochi secondi aumentando di fatto il rischio che certi comportamenti naturali e comprensibili in adolescenza possano diventare reati, prepotenze e persecuzioni.
Le immagini sessuali, però, spesso sfuggono al controllo di chi le ha create e diventano virali: in un batter d’occhio la posa sexy, il video privato approdano sui Socialnetwork e si diffondono. Cento click, mille touch sul display e una reputazione va in frantumi in mezza giornata. E gli adulti, in imbarazzo per quel che vedono, in difficoltà perché “immigrati digitali”, sorpresi dalla novità del sexting, impensabile ai loro tempi, non sanno cosa fare e quando farlo, peggiorando situazioni magari risolvibili con qualche rapido gesto di tastiera. Quali sono le soluzioni possibili? Non è la tecnologia a costituire un pericolo ma sicuramente bisognerà avviare un dialogo familiare fatto di riflessioni congiunte tra giovani e meno giovani, dove ogni individuo potrà portare la sua esperienza di vita in grado di completare il punto di vista dell’altro. Regole chiare e coerenti, un controllo condiviso, un dialogo aperto e disponibile ad accogliere domande scottanti possono essere considerate misure utili a ridurre i rischi. Rimane tuttavia salda l’indicazione che, soprattutto quando si tratta di Internet, la tempestività di segnalazioni o denunce, sia l’elemento che maggiormente aumenta la probabilità di rimediare a un errore di valutazione personale o di altri. È importante ricordare che per tutti i reati di questo tipo (pedopornografia, adescamento, ecc...) di cui sono vittime minori, la legge italiana (l. 172/2012) prevede l’obbligo per la polizia Giudiziaria di ascoltare le piccole vittime con l’ausilio di un esperto di psicologia infantile che possa garantire l’assistenza con la massima delicatezza e attenzione. Si tratta di una misura importante che garantisce una sempre maggior tutela per le vittime e per le loro famiglie, riducendo di fatto il rischio che dalla denuncia possano scaturire traumi ulteriori.

*direttore tecnico capo psicologo della Polizia di Stato dell’Uaci, Unità di analisi dei crimini informatici

 

04/04/2016