di Alessandro Baschieri

Senza mai strafare

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Senza mai strafare

Treviso è nata e cresciuta rispettando i tempi e gli spazi, senza “strappare” mai.

Ha sempre conservato la sua misura.

Dall’epoca romana all’epoca medievale, da quella moderna a quella contemporanea, ha mantenuto il suo passo costante rinunciando a sviluppi urbanistici impetuosi.

E’ stata presto sede vescovile (IV secolo) e da allora ha sempre visto il suo puntino sulle carte geografiche, ancora più marcato dalla prima età comunale quando sono state erette le mura (poi rifatte e fortificate in età rinascimentale).

Il cammino attraverso guerre e carestie non l’ha stravolta, piuttosto lentamente cambiata.

Tutto in questa cittadina vissuta all’ombra di Venezia racconta del garbato passo dei secoli e ci trasmette una sensazione di pacatezza.

Il centro, raccolto, lo passeggi da parte a parte in un quarto d’ora tra vicoli in pavé e strade asfaltate che concedono a qualche veicolo di violarne la quiete (il dibattito sulla pedonalizzazione, per ora solo abbozzata, resta un cardine della vita politica amministrativa e continua a dividere i suoi ottantatremila abitanti).

Il resto sono canali, scorci, borgate, piazze e piazzette che al di là delle feste comandate e di qualche raro evento culturale non trovi mai affollate.

In qualche zona anche un po’ svuotate.

È il caso dell’area di Madonna Granda, lato Est, quella fino a cinque anni fa caratterizzata dalla presenza della questura.

Lo spostamento fuori mura degli uffici, unito alla crisi del commercio, ha finito per creare un effetto domino sui negozi di vicinato e oggi cartelli vendesi e affittasi non si contano.

Treviso ha una nuova e meravigliosa questura nella moderna Cittadella delle Istituzioni, a cinquecento metri dalle mura, ma prima di parlarne dobbiamo fare un passo indietro per spiegarvi come si è arrivati a costruire il complesso monumentale nella quale ha trovato posto.

Una cittadella che rappresenta forse la più grande novità urbanistica dell’ultimo secolo e la prima vera deroga all’identità e alle misura di questa cittadina.

Dobbiamo tornare indietro di 25 anni, all’epoca pre crisi.

Siamo negli anni Novanta, le periferie di Treviso si sono allargate e insieme ai colossi dell’imprenditoria come Benetton e de’ Longhi prosperano piccole e medie aziende.

La solidità del tessuto economico e l’offerta di lavoro diventano calamita per l’immigrazione che cresce a velocità doppia e tripla rispetto alla media del Paese.

Emergono le prime contraddizioni, le prime ambiguità: da un lato gli imprenditori incoraggiano gli arrivi, hanno bisogno di manodopera e soprattutto hanno bisogno di abbassare il costo del lavoro, dall’altro mal sopportano la diversità degli usi e dei costumi.

Treviso in linea d’aria dista meno di venti chilometri da Venezia ma non ne ha in fondo mai condiviso la millenaria storia di scambi e rapporti con mondi altri, conserva nell’inconscio collettivo dei suoi abitanti l’inclinazione all’autosufficienza e una certa maldisposizione verso i “foresti”.

Cresce politicamente la Lega che cavalca l’ideologia identitaria e si propone di difendere Treviso come uno scrigno.

Sulla scena arriva il sindaco Giancarlo Gentilini, straordinario capocantiere, che predica ordine e pulizia lanciandosi in invettive che gli porteranno in dote anche qualche de

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04/03/2016