Mauro Valeri

A caccia dei bit jihadisti

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Non solo in strada ma anche sul Web si combatte il terrorismo. La parola a Roberto Di Legami, direttore del Servizio polizia postale e delle comunicazioni

A caccia dei bit jihadisti

Tutti i grandi del mondo riuniti in Turchia per il G20 si sono trovati d’accordo sulla necessità di contrastare la propaganda terroristica, effettuata anche attraverso Internet, e su quella di impedire ai terroristi di sfruttare la tecnologia per il reclutamento e l’incitazione a compiere atti criminali. Gli esperti della polizia delle comunicazioni sono da tempo impegnati in questa attività. Ne abbiamo parlato con il loro responsabile, Roberto Di Legami.

Il ministro dell’Interno belga ha dichiarato che gli attentatori di Parigi hanno usato delle Playstation 4 per comunicare tra loro. Come avvengono tali comunicazioni e, soprattutto, sono più difficili da tracciare?
L’evoluzione della tecnologia consente a chiunque di potersi connettere alla Rete e utilizzare canali telematici criptati attraverso i quali veicolare le proprie comunicazioni. Il passaggio dai sistemi analogici (i telefoni classici) ai sistemi digitali (comunicazioni cosiddette Voip) ha reso possibile l’utilizzo di sistemi di cifratura.
Questi sistemi, se ben configurati, risultano per la loro stessa natura, particolarmente difficili, se non impossibili, da decriptare. Il sistema Voip utilizzato dalla Playstation è tra quelli più difficili da intercettare, per il protocollo di cifratura utilizzato.
In linea di principio, i terroristi potrebbero inviarsi messaggi di testo all’interno di una chat creata nell’ambito di una sessione collettiva di gioco on line senza dire o digitare una sola parola. In questi giorni ho letto che un giornalista ha ipotizzato che, nell’ambito di una sessione di gioco on line, i terroristi potrebbero addirittura comunicare un breve messaggio componendo le parole con i buchi dei proiettili virtuali esplosi contro un muro o una parete del gioco. Si pensi a comuni videogiochi di guerra

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01/12/2015