Concetto Mannisi*
Un impegno comune
Città variegata e difficile, Catania è un territorio vasto e complesso da gestire. Ma un intenso contrasto alla criminalità e la vicinanza alla gente garantiscono una sempre maggiore fiducia nella polizia
Da una parte il mare, dall’altra la montagna. Forse basterebbe solo questo per “spiegare” Catania a chi vi si approccia per la prima volta. Perché da queste parti è possibile trovare tutto e il contrario di tutto. Un po’ come quando, in pieno inverno, ci si può imbattere negli sciatori che caricano le proprie auto per raggiungere i versanti innevati dell’Etna mentre al loro fianco c’è qualcun altro che balza in sella a uno scooter, tovaglia nello zaino e costume nascosto dagli abiti, per raggiungere la spiaggetta in sabbia nera di San Giovanni li Cuti, borgo marinaro in cui non di rado, nella stagione “fredda”, è possibile godere del sole e del mare senza allontanarsi dal centro della città.
Già, il centro di Catania. Croce e delizia dei catanesi da sempre refrattari ai mezzi pubblici (“perché non sono puntuali”, è la scusa) e per questo perennemente pronti a farsi carico di interminabili file pur di raggiungere la loro meta alla guida dell’auto. Accade di giorno, principalmente, ma anche nel pomeriggio. Perché questa sembra essere una città che non si riposa mai. Figuriamoci la sera – e in particolar modo nel weekend – quando entrano in funzione i localini all’aperto della zona di piazza Duomo e del suo celeberrimo elefante con l’obelisco in groppa; ciò mentre aprono i battenti anche pub e ristorantini della vicina area in cui sorge il teatro intitolato alla memoria del compositore Vincenzo Bellini oppure della pescheria, meta di turisti nelle ore diurne e di giovani vocianti in quelle notturne. Gli stessi giovani che non disdegnano la via Etnea con il suo barocco patrimonio dell’umanità, la vicina e altrettanto elegante via Umberto e poi anche la zona del Castello Ursino, quella in cui sorge il suggestivo maniero edificato da Federico II di Svevia nel lontano 1239 su un promontorio di roccia sul mare quando ancora il mare lambiva quella parte di città.
Insomma, un territorio da controllare vasto e, se volete, variegato. Là dove i rappresentanti delle forze dell’ordine debbono mettere a frutto esperienza e professionalità per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica, nonché per prevenire e contrastare quei reati predatori che, inevitabilmente nelle città in cui più che altrove si avvertono la crisi e la carenza di lavoro, ci si trova costretti a registrare. Anche se, a onor del vero, le statistiche “raccontano” di una situazione in miglioramento, con una flessione costante di furti, scippi e rapine (pari al 7%) e, quasi di conseguenza ci verrebbe da dire, con un incremento delle presenze turistiche. Circa 400mila in più.
«E questo – commenta il questore Marcello Cardona – è il dato che ci inorgoglisce di più. Un dato che non deve farci abbassare la guardia bensì rappresentare uno stimolo per migliorare sempre. Del resto Catania ha tutte le potenzialità per crescere ancora. Io sono arrivato in questa sede assai motivato, ma oggi ritengo di essere stato fortunato ad avere avuto questa assegnazione: questa è una città bella, attiva, vivace e con una questura di prim’ordine. Qui ho trovato persone eccezionali e professionalità straordinarie, per questo oggi dico che ogni funzionario che ha l’ambizione di volere crescere, beh, dovrebbe quasi sperare di passare da Catania e vivere pienamente questa città».
Una città che prova a reagire attraverso la società civile, attraverso la sua parte sana, ma che dà la sensazione di essere zavorrata da chi spera nel “non cambiamento” per continuare a fare affari. Illeciti.
«È una verità, ma non l’unica verità. È indiscutibile che tutti noi ci attendiamo di registrare un cambiamento importante, ma per far sì che ciò accada anche le istituzioni devono metterci qualcosa di loro. Noi, nel nostro piccolo, lo stiamo facendo, cercando di essere vicini alla gente, di far funzionare i servizi che tocca a noi erogare, cercando di contrastare il malaffare ad ogni livello: i risultati dal punto di vista investigativo arrivano da sempre e adesso abbiamo anche intensificato il contrasto alla criminalità organizzata con ingenti sequestri di beni. Insomma, stiamo facendo il possibile per far sì che la gente possa consolidare la fiducia nella Polizia di Stato: l’auspicio è che questi sforzi, che devono diventare quotidianità, ci aiutino a raggiungere l’obiettivo prefissato e che il cittadino capisca che alla crescita deve contribuire in prima persona con comportamenti virtuosi e, quando serve, anche con la denuncia. Abbiamo riscontri positivi anche in tal senso, ma ci auguriamo di registrarne di ulteriori».
Intanto, in tema di servizi, la questura di Catania qualcosa ha proposto. Dopo l’arrivo del questore Cardona, infatti, è stato creato il filo diretto con i pronto soccorsi degli ospedali cittadini, non di rado scenario di episodi poco gratificanti con aggressioni al personale medico ed infermieristico. Si tratta di linee dedicate, collegate con la centrale operativa del 113, attraverso cui l’emergenza può essere comunicata in tempo reale e in tempo reale affrontata: «Non è la panacea di tutti i mali – rileva il questore – ma nel complesso la situazione è migliorata e per chi lavora nei nosocomi c’è certamente più serenità. Con conseguenti vantaggi per l’utenza».
C’è stata anche quella sorta di rivoluzione legata al progetto “Passaporto subito”: chi si trova nelle condizioni previste dal protocollo, può ottenere il documento per viaggiare anche in ventiquattro ore. «Questa sì che è stata una sorta di rivoluzione – si inorgoglisce Cardona – e tante volte è accaduto che i cittadini che venivano chiamati a ritirare il passaporto negli uffici dell’Amministrativa si stupivano per la celerità e ci chiedevano di pazientare qualche giorno ancora perché avrebbero ritirato il documento successivamente. Ecco, queste sono le cose che funzionano e che ci devono gratificare, senza contare che creando questa corsia preferenziale si alleggeriscono le altre, con ricadute positive sulle pratiche dei cittadini costretti a seguire l’iter normale». Cardona non lo dice, ma mettendo a frutto i suo quarant’anni di esperienza trascorsi anche in settori investigativi particolarmente delicati (quindici anni alla Criminalpol, sei all’Antiterrorismo), ha saputo anche razionalizzare le risorse e ottenere il risultato che tutti i questori, nelle loro sedi, vorrebbero ottenere. Ancor di più in una città come Catania in cui la questura è “distribuita” fra tanti, troppi uffici e in cui il personale è costretto a mansioni diverse da quelle operative: più poliziotti in strada e più sicurezza nella città. Una città in cui vivono circa 8 mila individui sottoposti a misure di detenzione alternativa: dagli arresti domiciliari alla sorveglianza speciale. Non di rado sono proprio questi coloro i quali vengono sorpresi a delinquere. «È vero – conferma il questore – proprio per questo motivo noi cerchiamo di non fare venire meno i controlli in questo settore. È necessario un contrasto materiale e significativo, perché tali soggetti condizionano negativamente la sicurezza in città». Di recente, causa un gravissimo fatto di cronaca (il duplice omicidio in villa di due anziani, con modalità particolarmente efferate, da parte di un profugo ivoriano), è tornata alla ribalta anche l’emergenza legata al Cara di Mineo, il Centro accoglienza richiedenti asilo più grande d’Europa. «Di sicuro una struttura enorme – rileva Cardona – con una popolazione di oltre tremila migranti non semplice da gestire. In realtà gli ospiti del Cara non hanno mai creato particolari problemi, se non quelli strettamente legati ad alcuni episodi di spaccio di sostanze stupefacenti e a qualche furto di biciclette, mezzi che loro stessi utilizzano per coprire la distanza fra Mineo e Catania o fra Mineo e gli altri centri del Calatino. Niente di particolarmente inquietante, quindi, anche perché i controlli al Cara – e lo dimostra l’arresto dello stesso ivoriano nell’imminenza del duplice omicidio – funzionano, eccome. Ovvio che a fronte di un numero tanto consistente di ospiti può sempre accadere di trovare qualche mela marcia, ma non è questo l’elemento che deve allarmare di più quando pensiamo alla questione sicurezza in questa città».
Catania e la mafia, Catania e la criminalità organizzata. I colpi di maglio inferti ai clan dalle forze dell’ordine e, in particolar modo, dalla Squadra mobile, non si contano più. Eppure esiste ancora questa sorta di cappa che frena lo sviluppo della città. Forse non a caso l’ex procuratore Giovanni Salvi, prima di lasciare questa sede per Roma, ha lanciato un appello agli imprenditori catanesi affinché cerchino di essere meno “rapaci”, rispettando così la collettività: «Se un magistrato di valore come Salvi, col quale ho avuto l’onore di lavorare in grande sintonia e che ringrazio per il plauso a noi rivolto quando ha lasciato Catania, ha dichiarato quelle cose, vuol dire che aveva elementi per poterlo fare. A noi tocca lavorare e far sì che questa cappa cui si faceva prima riferimento si dissolva. Gli arresti, i blitz, non si contano più e la Squadra mobile di Catania è indiscutibilmente fra le migliori d’Italia per mole e quantità di lavoro svolto. Sono certo che tutto questo, alla lunga, porterà a risultati importanti per questa città. La Polizia di Stato il cambiamento sta provando a propiziarlo, adesso serve che anche i cittadini facciano la loro parte, perché lo sviluppo sociale e il benessere personale non possono che passare dall’affermazione della legalità».
*giornalista del quotidiano La Sicilia
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In cerca di asilo
di Marilina Giaquinta*
Siamo scesi dal pullman. Non so dove mi trovo. So che sono arrivato. Non so dove. Mi dicono di scendere. Per cominciare ad esistere. Uniformi blu. Come il mare che non finiva mai, che non aveva orizzonte, salato, crespo, cupo. Ma non sono soldati. Hanno armi chiuse in foderi bianchi e divise sformate e facce stanche. E vite uguali. Il viaggio è stato piacevole. Ho dormito. Il paesaggio che correva dietro il finestrino, dissolvendo, mi ha assonnato lo sguardo, mi ha reclinato le palpebre. E ho sognato. Avevo un lungo debito di sogni. Il mare non me li permetteva. Notti e notti senza sogni e adesso arrivavano tutti, uno dietro l’altro, uno sopra l’altro. Si mischiavano, mi confondevano. Ho aperto gli occhi, ho lasciato i miei sogni al mare e sono sceso dal pullman. Alcuni dietro. E altri avanti. Il caldo ancora sulla mia pelle delle nostre vite chiuse, le stesse facce senza destino, in fila davanti a un prefabbricato bianco. E intorno la notte. Mi sono seduto e mi hanno dato un sacchetto bianco che odorava di cibo. L’ho aperto. E ho pensato a mia madre. Per la prima volta da quell’addio, dal suo silenzio senza abbracci, affinché il ricordo non faccia male. Ho pensato a mia madre. All’odore della minestra calda, alla veste colorata piena di onde che le si torceva intorno ai seni grandi, che le sfiorava i piedi fermi, ho visto il groviglio dei suoi capelli neri e forti, e i miei fratelli che le giravano intorno ululanti, urtandosi e tirandosi per avere il primo piatto.
Ho aperto il sacchetto e ho mangiato i filetti di sgombro in scatola. Il resto l’ho conservato, come sono abituato a fare, perché non so se ne avrò ancora, non so se ce ne sarà abbastanza. Quando é il mio turno mi alzo ed entro in un’altra stanza. Il mio nome. Già, il mio nome. Non esisto se non ho un nome. Un nome. Un nome qualunque, non ho documenti, non gli interessa. Basta un nome, anche quello che ho sempre voluto e non é mai stato mio, un nome e un’età.. Per esistere. Mi chiamo... già … mi chiamo Yassine... quasi l’avevo dimenticato. Troppi giorni in mare, troppo vento, troppa paura, troppa colpa, il mio nome non importava neanche a me in quel viaggio senza nome, tutti i miei compagni senza nome e senza età. Mi fanno una foto, e mi prendono le impronte. Le mie mani sono la mia identità. Quelle sono solo mie. Quelle mi daranno da vivere, mi daranno un destino e una casa. Le mie mani sono la mia possibilità. Mi spiegano che adesso posso stare lì, avrò soldi, un posto dove dormire e vivere in attesa di raccontare la mia storia a una commissione. Che deciderà potrà credermi o meno. Verificare se mento, pur di restare. Se il mio Paese merita di essere giudicato povero e crudele o allagato o bombardato o sfruttato e depredato di ciò che è suo ma che altri non hanno e se lo vengono a prendere, che sono solo scuse le mie per venire qui e prendere il lavoro degli altri. Posso stare qui, ad aspettare il giudizio di chi è chiamato ad appurare se merito asilo o se sono fuggito solo perché nella mia terra non ero capace di trovare lavoro. Qualcuno col camice bianco e una croce rossa mi chiede se sto bene, mi visita. Non sa che il mare non lascia segni addosso, ti si infila dentro. Per sempre. Il mio cuore è sano, lo so. Chilometri e chilometri a piedi per andare a prendere l’acqua per la minestra di mamma. Il mio cuore e le mie gambe sono forti. E non conoscono la fatica di questa strada. Domani più tardi, andrò via. Ora sono stanco. Ora sono Yassine 1467 con la mia faccia a colori stampata accanto. Ora rimango perché ci sarà un pasto caldo. Ora dormo nei loro letti comodi tra mura solide e mute. Ora la notte non fa più rumore. Ora voglio questa pace di pensieri e di morte. Più tardi, fra qualche tempo, fra un po’, andrò via. Fra un poco, riprenderò il mio viaggio in questa terra fatta di strade nere e di luci di case e di gente che il lavoro non lo cerca dalla parte opposta del mondo.
Per ora, no. Giaccio su questo letto e penso al racconto della mia vita, cerco di ricordarne ogni momento. Cerco di capire perché sono qui, di spiegare che il mio Paese non ha scelta, che sta morendo lentamente di fame e violenza, che c’é spreco di vite senza valore, che il cielo é infinito perché infinito é il dolore, che non so scrivere la mia storia e che non la so raccontare. Che parlo un dialetto aspro, di suoni oscuri che mi fanno lontano. Che mi chiamo e sono Yassine e che cerco un lavoro. Che mi chiamo e sono Yassine e che merito asilo.
*dirigente Divisione di polizia amministrativa e sociale e dell’immigrazione