di Cristina Di Lucente
Alla fiera delle meraviglie
Alla prestigiosa rassegna internazionale del libro di Torino, uno stand dedicato ai poliziotti scrittori e la presentazione del volume che raccoglie i racconti vincitori del concorso di Poliziamoderna
Quest’anno al Salone internazionale del libro di Torino è andata in scena la meraviglia, tema della più importante kermesse letteraria italiana nel campo dell’editoria. A dare un tocco di solennità all’edizione 2015 la presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha inaugurato l’evento sottolineando l’importanza della cultura attraverso la lettura, per reagire alla “solitudine di massa”. Contro il rischio dell’individualismo che disgrega le reti di comunità, la lettura, parafrasando il presidente, è una possibile reazione: «I libri sono un bene comune, che non è destinato solo al singolo individuo; sono una ricchezza per la società, oltre a rappresentare l’ossigeno per le coscienze». Anche la Polizia di Stato ha interpretato questa necessità: la presenza dell’Istituzione è infatti ormai una costante al Centro congressi del Lingotto sede storica della manifestazione, con uno stand curato dalla questura di Torino e dedicato proprio ai poliziotti scrittori, una folta schiera da cui Poliziamoderna seleziona i migliori, che hanno l’opportunità di presentare le proprie opere presso la prestigiosa vetrina internazionale.
Appuntamento con la scrittura
Anche la nostra rivista, in linea con l’idea del capo dello Stato, ha trasformato questo importante evento in un’occasione per creare una rete sociale, un ponte di dialogo tra poliziotti e ragazzi. Tra le numerose presentazioni di autori, letterati e personaggi appartenenti al mondo della cultura, molti dei quali noti al grande pubblico, ha fatto il suo ingresso ufficiale “C’era un ragazzo che come me”, il volume che raccoglie i racconti vincitori del concorso letterario Narratori in divisa indetto dalla rivista Poliziamoderna e giunto alla IV edizione. Una sfida a colpi di penna e di creatività che volgeva al termine proprio lo scorso anno, di questi tempi, per assegnare il premio “critica giovani” in questa prestigiosa sede. La prosecuzione logica del concorso, aperto per la prima volta anche a loro, sia nella veste di scrittori che di critici, è stata raccoglierne il frutto proprio qui, tornando al punto di partenza, quando la sua realizzazione era ancora solo un’idea. Così, a un anno di distanza, eccoci al Salone a presentare questo libro che incrocia le voci e le storie dei ragazzi e dei poliziotti confuse e sovrapposte in pagine che raccontano una realtà complessa e contraddittoria di scontri e di incomprensioni generazionali e sociali. Ma anche di incontri inattesi e di speranze belle da coltivare. Per questo, credendo nell’universalità del linguaggio della scrittura in grado di parlare a tutti, abbiamo organizzato questo appuntamento rivolgendoci ancora una volta ai ragazzi (presenti alla Sala incontri gli studenti dei licei Cattaneo e Volta di Torino), fianco a fianco con tanti uomini in divisa, confluiti in platea proprio per dialogare, confrontarsi e rispondere alle domande degli studenti. Sul palco, due degli autori dei racconti che testimoniano con la loro presenza, il senso del progetto: Wilhelm Longo, romano, sovrintendente in servizio allo Sco (Servizio centrale operativo) e Antonio Bottari, studente siciliano del liceo scientifico. A moderare il dibattito, per evitare l’autoreferenzialità, la scelta è ricaduta su due persone super partes, l’ex Iena Marco Berry, e il giornalista dell’agenzia di stampa Ansa Alessandro Galavotti, responsabile per il Piemonte. E naturalmente, a rappresentare l’autorità, il questore della città sabauda, Salvatore Longo, che ha espresso grande soddisfazione per la presenza della Polizia di Stato alla manifestazione internazionale con uno spazio espositivo, quasi una tradizione che si rinnova da 14 anni, e ha manifestato entusiasmo per «un progetto che è a tutti gli effetti un’iniziativa di prossimità, capace di catalizzare l’attenzione dell’universo giovanile attraverso la scrittura avvicinandolo a chi, per professione, difende la libertà e la democrazia della nazione».
Prove di dialogo poliziotti–ragazzi
«È un piacere e un onore poter capire qualcosa in più di due racconti meravigliosi, quando ho finito di leggerli ero commosso», così ha esordito Berry nell’introdurre al pubblico gli autori, con la loro capacità di emozionare in poche righe. In quello del poliziotto, ambientato nella periferia romana e incentrato su un’interazione tra alcuni ragazzi che giocano a pallone e degli agenti in servizio su una volante, c’è una sorta di continuità autobiografica, un’identificazione che si riscontra non soltanto con la figura in divisa ma anche con un bambino in bicicletta. «Questo concorso mi ha permesso di raccontare qualcosa di me, della mia infanzia in un quartiere popolare e della mia esperienza in volante», ha spiegato Wilhelm Longo, che ha incentrato la narrazione sull’approccio ai giovani e sul tentativo di abbattere il muro di naturale diffidenza che provano nei confronti della divisa, cercando di recuperare con loro un rapporto che fosse il più possibile autentico. Il racconto di Antonio Bottari, lo “scrittore in erba”, come lo ha definito Galavotti, ricalca appieno la sua vita: il protagonista di “figghiu ‘i sbirru” è uno studente alle prese con l’occupazione della scuola e in conflitto con il padre, “sbirro” (dettaglio non casuale, visto che suo padre di professione fa il poliziotto). «A Messina, la mia città – racconta Antonio – si usa l’espressione “fare u sbirru” con un’accezione negativa, quasi fosse una macchia, perché vuol dire fare la spia».Nel racconto emerge però tutto l’orgoglio e l’ammirazione nei confronti di un padre che svolge con passione questo difficile mestiere. Entrare in contatto con i ragazzi non è dunque un’impresa semplice, specie se si indossa una divisa, lo ha ammesso anche Berry, che con loro si è spesso trovato a interagire, avendo condotto trasmissioni nelle quali sono al centro del dibattito, come quelle sull’abuso di alcool e sulle possibilità di prevenzione. «Nei servizi di pattugliamento ho sempre cercato di spogliarmi della divisa senza togliermela mai – ha affermato Wilhelm – che significa spendere qualche minuto in piu del servizio per parlare con le persone in strada e cercare con loro un contatto». L’ispirazione del suo racconto nasce dall’ammirazione profonda nei confronti del poliziotto di borgata dell’infanzia, che era una sorta di eroe ai suoi occhi di bambino, per il coraggio che mostrava anche quando si trovava ad affrontare interventi difficili; in qualche modo si tratta di quella stessa ammirazione che si percepisce nel tributo letterario di Antonio Bottari verso il padre.
L’esperimento a nostro parere può dirsi riuscito, specie nell’intento di avere catturato l’attenzione di una platea di adolescenti, nell’averli portati a riflettere su chi siano davvero i poliziotti e sull’umanità che una divisa non deve mai occultare. Tutto questo è stato possibile attraverso il valore della testimonianza, portata da uno strumento trasversale come la scrittura e raccontata dalla viva voce degli autori, da quell’interiorità che a volte l’attività operativa non rende immediatamente visibile.
La presentazione del nostro volume ha dato anche l’opportunità ai ragazzi di conoscere più da vicino i poliziotti scrittori selezionati per il salone del libro.
Ecco nel dettaglio chi sono e quali tematiche hanno affrontato nei loro libri.
Eroi senza nome
di Maurizio Lorenzi
Ci sono eroi quotidiani che non vengono narrati, ma che in realtà hanno compiuto azioni incredibili. È per loro che Maurizio Lorenzi, assistente capo in servizio all’Ufficio immigrazione della questura di Bergamo, ha scritto questo libro, per quegli eroi senza nome per i quali si è documentato, toccando con mano la realtà che si nasconde dietro le loro vite, prima di poterle raccontare. Così, per parlare di Antonio Montinaro, caposcorta del giudice Falcone, si è recato a Palermo, colloquiando con sua moglie, Concetta Martinez, che ha deciso di non far dimenticare questa tragedia attraverso l’associazione Quarto Savona 15, dal nome della sigla di scorta che veniva utilizzata. «Sono stato a Capaci, dove ho ripercorso i luoghi della strage, salendo per quella stessa collina dove è salito il mafioso Giovanni Brusca prima di premere il pulsante del telecomando che ha provocato la strage. È stato come essere dentro un film, il 23 maggio deve essere un’occasione per continuare a indignarci», ha dichiarato il poliziotto. Lo stesso iter ha seguito per ricostruire la storia di Emanuela Loi, recandosi a Sestu, il suo paese di origine, e parlando con la sorella che con l’agente in servizio di scorta a Paolo Borsellino condivideva la vita e i sogni. «La mia sorpresa è stata grande quando recandomi nella casa di Emanuela, i familiari mi hanno mostrato la stanza della ragazza che è rimasta esattamente com’era l’ultimo giorno in cui lei è stata lì. Anche in quel caso, entrare nella stanza è stato un modo per rivivere le sensazioni di ciò che è accaduto, rendendo il ricordo nitidamente vivo nella memoria», ha commentato Lorenzi. Il suo approccio alle storie è molto emotivo, prosciugante, con l’obiettivo di far percepire lo stesso pathos che lui stesso ha provato, perché lo considera un modo per avvicinarsi nella maniera più autentica alle storie raccontate. Filtrare i racconti attraverso i suoi occhi, portare il lettore nel momento esatto in cui la narrazione si è verificata: in questo modo il ricordo si rinnova e acquista significato.
Verso la fine del silenzio
di Paola Degani e Roberto Della Rocca
Il libro di Roberto Della Rocca, capo della Squadra mobile della questura di Verona, è scritto a quattro mani con la professoressa dell’Università di Padova Paola Degani ed è dedicato alle donne vittime di violenza. Destinato inizialmente alla sola platea universitaria come manuale, è diventato poi un volume trasversale, in grado di parlare a tutti su una tematica di scottante attualità: la necessità di tutelare le donne a 360° contro la violenza per mano maschile. Al di là della parte giuridica, il manuale analizza questo diritto nelle possibilità di prevenzione del reato, rendendo note le dinamiche della violenza, spesso incentrate sull’isolamento e la svalorizzazione. «Prima che si arrivi alla fase della violenza fisica spesso passano molti anni – spiega Della Rocca. Particolarmente importante è agire in quel lasso di tempo, cercando di riconoscere le avvisaglie che portano alla fase esplosiva». Una fase da non trascurare è sicuramente la prevenzione, facendo formazione anche tra i ragazzi fin dall’età della scuola secondaria, considerando l’urgenza segnalata dai dati ufficiali sui femminicidi, che parlano di 1 donna uccisa ogni 3 giorni, anche se il fenomeno non risulta ufficialmente un emergenza perché non si registrano picchi e le cifre si attestano costanti. «Altro fattore di rilievo è quello della protezione – prosegue il capo della Mobile – spesso, a fronte di una legislazione corretta, il problema emerge nelle tempistiche e al momento di intervenire può essere già tardi». Per ovviare a queste situazioni è importante creare una rete multiagency che regoli la collaborazione tra magistrati, poliziotti, centri antiviolenza e ospedali, integrando sinergicamente il lavoro di ciascun settore. Quando si parla di violenza contro le donne si ha a che fare con un fenomeno spesso taciuto e non denunciato, diventa quindi significativo il lavoro delicato del poliziotto, come quello degli altri operatori, nel riuscire a identificare il fenomeno attraverso una prontezza nel saperlo riconoscere e garantendo un rapporto empatico con la vittima, una volta individuata.
Giuseppe Ciotta
di Gerardo Acquaviva
«Non mi reputo uno scrittore, ma un poliziotto», così ha esordito Gerardo Acquaviva, vicario della questura di Cremona nel presentarci il suo libro dedicato a Giuseppe Ciotta, il poliziotto ucciso a Torino dai brigatisti di Prima linea il 12 marzo 1977. Il funzionario apprese la notizia da un telegiornale e ne fu profondamente colpito, a maggior ragione perché si trattava di un suo concittadino, essendo entrambi nativi di Ascoli Satriano, un paesino della provincia di Foggia. L’intento del volume è quello di portare alla luce le vicende di un poliziotto meno noto e il background storico che ruota attorno a quell’episodio, si tratta infatti di una storia che, dal particolare dell’efferato omicidio, allarga lo sguardo sul fenomeno del terrorismo. «La chiave di lettura sta nella parola cambiamento: Giuseppe Ciotta era un poliziotto democratico, aperto, anche se il cambiamento era una caratteristica auspicata nella stessa misura dai suoi assassini», spiega Acquaviva. A fare la differenza sono i metodi utilizzati per realizzarlo: nel caso di Ciotta la forza delle idee che avrebbe portato una rivoluzione democratica, per i terroristi quel mutamento si sarebbe dovuto ottenere ad ogni costo, anche attraverso la violenza. «In quel modo – precisa il vicario – la società che si voleva costruire con quel metodo sbagliato sarebbe stata ancora più ingiusta di quella che si voleva combattere». Il volume, frutto di una minuziosa ricostruzione documentale attinta da archivi e giornali di quel periodo, e corredato da una cronologia degli attentati avvenuti a Torino durante 20 anni di terrorismo, vuole far conoscere “uno spicchio di storia” di un paese del subappennino, un esercizio per ricordare una persona che, svolgendo il suo lavoro quotidiano, ha dato un contributo alla costruzione di una Repubblica più democratica e più libera. Dopo l’attentato di Ciotta, le persone che rispondevano allo slogan “né con lo Stato, né con le Br”, furono portate a prendere una posizione più netta e definitiva.
Internet un nuovo mondo. Costruiamolo
di Domenico Geracitano
I libri li costruisce insieme ai ragazzi, Domenico Geracitano, collaboratore tecnico della Polizia di Stato in servizio alla questura di Brescia, che torna a parlare di Internet, come nel precedente volume, per spiegare come la Rete sia la più grande rivoluzione culturale dopo la nascita della scrittura. L’assunto da cui parte il è che le nuove generazioni, quelle dei nativi digitali, non vengono educate né rese consapevoli nel mondo virtuale. «Quando ci si iscrive ad un Social Network si fa un vero e proprio contratto nel quale è compreso tutto quello che comunichiamo – spiega il poliziotto – inoltre, ciò che manca ai ragazzi di fronte agli schermi, è la condivisione con gli adulti, il dialogo». L’invito di questo testo, a tutti gli effetti educativo, è di non lasciare soli i ragazzi davanti allo schermo, che assorbe in maniera iperattiva il cervello, sempre in movimento e con scarso accesso alla possibilità di riflettere e sognare. A fronte di una diminuzione del dialogo reale c’è invece un moltiplicarsi di quello virtuale, dove raramente si è consapevoli degli interlocutori con i quali si “dialoga”. I rischi di Internet vengono analizzati nelle varie declinazioni: la dipendenza dai Social, l’illegalità che nasce dalla libertà virtuale, il narcisismo parossistico e il furto d’identità, aspetti che con un linguaggio semplice, perché nato dalle stesse testimonianze dei ragazzi, parlano non solo a loro ma anche agli adulti, per aumentare la consapevolezza di chi la Rete la conosce da “tardivo digitale”. In ogni caso, lungi dal demonizzare la comunicazione dei nostri tempi, questo efficace volume spiega come il Web possa anche rivelarsi una grande opportunità, se utilizzato nella maniera corretta. «Ne è l’esempio concreto la storia di Gabriele Cirulli, un ragazzo diventato celebre per aver ideato in Rete un gioco creativo che utilizza i numeri, nato da un “no” detto da suo padre rispetto sull’uso del Web». Un esempio virtuoso, considerando che oggi quel ragazzo ha firmato un importante contratto di lavoro.
Impronte digitali
di Andrea Giuliano
Il volume realizzato da Andrea Giuliano, poliziotto in servizio al gabinetto di Polizia scientifica della questura di Torino, specialità nella quale lavora da 25 anni, è un manuale tecnico sullo studio delle impronte digitali. L’impiego eccezionale di questo strumento ai fini del riconoscimento è il fulcro di un lavoro nel quale Giuliano ripercorre la tradizione d’eccellenza che il nostro Paese riveste in questo settore. A una parte prettamente storica, ne affianca una più tecnica sulla ricerca dell’identità nella sostituzione delle persone attraverso gli alias e sul riconoscimento dei cadaveri senza nome. Questo lavoro rappresenta un tributo all’attività della Scientifica e un valido strumento per i professionisti, fornendo anche preziose indicazioni bibliografiche per gli approndimenti. «Ciò che vorrei far emergere è il requisito fondamentale per svolgere questo lavoro: la grande perseveranza e dedizione che richiede l’applicazione di un metodo di studio che, come insegna Salvatore Ottolenghi, -presuppone un grande spirito di sacrificio», conclude Giuliano.