Luigi Lucchetti*

Il dovere di soccorrere

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A cinque anni di distanza dal terremoto dell'Aquila, un recente convegno ha raccolto le sensazioni e le emozioni degli operatori di polizia, vittime e soccorritori durante il disastro

Il dovere di soccorrere

Ottobre 2009, sei mesi dopo il terremoto dell’Aquila. In un’aula della Sezione polizia stradale di Roma sta iniziando un seminario sperimentale per i funzionari della specialità che hanno vissuto gravi eventi di servizio nel loro recente passato professionale. L’iniziativa è stata proposta dalla Direzione centrale di sanità della Polizia di Stato e consiste nella creazione di un gruppo di lavoro nel quale ogni partecipante, dopo aver condiviso emotivamente la propria difficile esperienza, possa dare il suo contributo all’approntamento di linee guida su come il funzionario di polizia stradale può gestire al meglio le sue complesse reazioni di fronte alla crisi innescata da un grave evento di servizio, per fornire risposte adeguate sia all’interno che all’esterno dell’istituzione. Intorno a un grande tavolo quadrato sono riuniti una dozzina di funzionari della Stradale, alcuni medici specialisti e psicologi della Polizia di Stato: il professore Roger Solomon, esperto internazionale di psicologia dell’emergenza e psicotraumatologia, consulente della Direzione centrale di sanità, e il suo storico traduttore italiano Silvio Cohen. Il professore Solomon guida i partecipanti verso una progressiva ambientazione al particolare spirito del seminario e dopo la presentazione reciproca e una breve cornice teorica, chiede se qualcuno degli astanti voglia sottoporsi lì davanti a tutti alla tecnica dell’Emdr (indirizzata a far rielaborare e superare i ricordi traumatici con l’ausilio di movimenti oculari alternati). Gli esperti funzionari della Polstrada si guardano sbigottiti. Uno di loro, Alfredo, si offre come “cavia”. Sebbene abbia già superato i cinquant’anni, il suo “battesimo del fuoco” è avvvenuto solo nel 2009 all’Aquila, dove era in servizio in quel terribile sei aprile funestato dal sisma. L’americano gli chiede attraverso l’interprete di concentrarsi sulla scena peggiore di quell’evento. Il funzionario sceglie quella in cui 250 carri funebri escono dal casello autostradale L’Aquila ovest. Inizia a seguire le dita del professore che si muovono davanti ai suoi occhi da destra verso sinistra e viceversa. Dopo ogni serie di movimenti gli viene chiesto di dire “ciò che succede” e lui riferisce di vari fotogrammi del lungo corteo di bare che si muove in un silenzio surreale. Presto però questo filone di ricordi si chiude senza innescare in lui alcuna particolare reazione emotiva. Lo strizzacervelli non demorde e stimola il volontario a concentrarsi su un’altra immagine, fino a quando non emerge la scena veramente peggiore di quel tragico evento: ore 3:32 del 6/4/2009, la scossa di terremoto lo sveglia di soprassalto mentre dorme nell’alloggio di servizio. Le pareti della stanza tremano, si aprono come una scatola di cartone e fanno per richiudersi sul suo letto. I mobili ballano sul pavimento come impazziti. La sua sensazione è di essere in punto di morte. Anzi, già morto e sepolto dalle macerie. Sotto gli abili movimenti delle dita del terapeuta quel film ripropone il suo orrore man mano che si snoda… Pian piano però comincia a intravedersi la luce in fondo al tunnel che sta velocemente percorrendo. Il viso accenna a rilassarsi e il torace si muove in modo più lento e profondo. La corsa in quel passato rimasto pietrificato nella sua mente, che è durata circa dieci minuti, sta per finire con il pieno ritorno nel “qui e ora”. I presenti sono scossi: il forte coinvolgimento ha fatto riverberare nei loro cuori e nei loro corpi le emozioni provate dal collega e ha permesso loro di immedesimarsi con lui. Subito dopo la scossa, la divisa lo aveva riportato immediatamente ai suoi doveri e compiti istituzionali. Nei giorni che seguirono fino al luglio successivo in cui si svolse il G8 dell’Aquila non ci fu il tempo per fermarsi a pensare, ma solo quello per agire in condizioni eroiche. Terminata questa fase, la parte della mente che quella notte aveva subito il trauma estremo della presentificazione della morte prese il sopravvento: tutto era fermo a quel momento; il sentimento di non appartenere più al flusso della vita era angosciante, nulla era ormai importante, né sul lavoro né a casa, le relazioni con la famiglia scivolavano via dolorosamente appiattite, le immagini del terremoto lo inseguivano senza lasciarlo mai in nessun momento del giorno e della notte. Dopo di lui, gli altri funzionari presenti al seminario si sono sentiti di condividere profondamente le difficili esperienze vissute in contesti peculiari per poi trasfonderle lucidamente in linee guida per i colleghi della specialità che si troveranno a vivere e affrontare eventi critici simili, e vederle pubblicate in un piccolo volume dal titolo: Fare fronte.
Otto novembre 2014, aula magna dell’Università dell’Aquila. Sta per aprirsi il Convegno patrocinato dalla Polizia di Stato, dal Dipartimento della protezione civile e dalla Cri dal titolo: “Reagire propria-mente. Il terremoto dell’Aquila: la resilienza delle vittime in dovere di soccorrere”. L’Associazione Aigesfos (Associazione italiana per la gestione dello stress nelle Forze dell’ordine e del soccorso), l’Università dell’Aquila e la Croce rossa italiana hanno avuto l’idea di organizzare, a distanza di oltre cinque anni da quella notte, un convegno per raccontare e valorizzare le esperienze di coloro che, a vario titolo “vittime” del disastro, erano o si sono sentiti in dovere di soccorrere. L’evento infatti è stato progettato in modo da riuscire a parlare sia alla mente che al cuore dei partecipanti, attraverso l’alternanza di interventi di “testimoni” di quella notte e di quei giorni e di relatori accademici. Dopo la lettura del messaggio augurale del prefetto Franco Gabrielli, capo dipartimento della protezione civile e al tempo prefetto dell’Aquila, e i saluti del questore, si apre il convegno. I testimoni hanno avuto tutti un ruolo chiave nelle attività di soccorso svolte nell’ambito del disastro. La prima a prendere la parola e, a rompere il ghiaccio, è Roberta nella sua bella divisa rossa della Cri. Con Gino, direttore allora e oggi del Servizio 118 di Emergenza sanitaria dell’ASL dell’Aquila, il racconto si fa palpitante di immagini di sofferenza e tocca il suo acme di fronte alla memoria di una madre con il figlioletto già morto che glielo mette nelle braccia implorandolo di fare tutto il possibile per salvarlo. Lui stesso controlla a stento le profonde emozioni che questa scena gli riattiva, mentre i partecipanti, per metà studenti universitari aquilani e per il resto operatori delle Forze dell’ordine e del soccorso, cominciano a entrare in uno stato psicoemotivo che non avevano certo previsto. Stanno facendo l’eccezionale esperienza di assistere come osservatori a una particolare forma di “debriefing psicologico”, cioè di quel momento in cui i soccorritori, normalmente a breve distanza di tempo dall’evento tragico, riattraversano quanto vissuto con l’aiuto di un professionista della salute mentale, per condividerne le forti emozioni, metabolizzarle e integrarle, o porre le basi per sostenerne l’impatto che altrimenti potrebbe rivelarsi per alcuni molto negativo per il proprio benessere psichico. Con l’intervento di Fabrizio, attualmente generale “a due botte” e al tempo comandante della Scuola ispettori e sovrintendenti della Guardia di Finanza dell’Aquila il silenzio si fa assoluto e la concentrazione dell’uditorio sul suo racconto diventa massima. L’emozione di Fabrizio diventa così forte, di fronte al ricordo di un suo allievo che si strappa dal collo il crocifisso d’oro e lo dona a una madre che stringe disperatamente a sé la salma del figlio, da contagiare molti dei presenti. Tra un testimone e l’altro si alternano i relatori e i loro interventi, sui temi della resilienza e della crescita post-traumatica, finiscono per svolgere il ruolo di intermezzi per riprendere il fiato prima di tuffarsi nell’ascolto del successivo racconto di prima mano. Ora tocca a Gabriele, responsabile della squadra alpina speleo-fluviale del Comando dei vigili del fuoco dell’Aquila che illustra la drammatica durezza del “triage” effettuato nei primi momenti sugli edifici crollati, per cui si era costretti ad attribuire il colore nero e a passare oltre di fronte a quelli dove non era ipotizzabile la possibilità di trovare sopravvissuti. Il ricordo va poi alla “casa dello studente”, alla dignità dei genitori di quei ragazzi, alla difficile decisione condivisa con loro di abbattere a un certo punto un’ala dell’edificio per recuperare le loro salme di fronte alla struggente consapevolezza che non potevano esserci più superstiti. Alfredo nella divisa azzurra e blu della Polizia di Stato, è l’ultimo dei testimoni della giornata, e si rivela quello che era riemerso più vulnerato dai torbidi gorghi dell’esperienza della propria quasi-morte oltre che della scomparsa di tanti altri, colleghi compresi. Il convegno volge alle battute finali, il presidente di Aigesfos anche a nome degli altri organizzatori abbozza la chiusura di un’esperienza congressuale sui generis che ha superato qualunque aspettativa e dato voce al doppio dramma che vive chi subisce le conseguenze di un disastro e al tempo stesso è chiamato a farsi carico del dramma degli altri. A Roberta, Gino, Fabrizio, Gabriele e Alfredo il nostro grazie e quello di tutti gli aquilani per ciò che hanno fatto, insieme a tanti altri soccorritori che erano con loro, e come loro contemporaneamente anche vittime del terremoto. Il nostro “grazie” anche per aver testimoniato senza pudori le profonde emozioni e reazioni che hanno vissuto e pagato a caro prezzo sulla loro pelle. Agli organizzatori del convegno rimane la speranza di aver loro offerto finalmente la possibilità di un momento per confrontarsi e condividere insieme i loro straordinari ricordi, oltre alla certezza che la durissima esperienza attraversata li ha resi persone più forti ed umane per il bene di tutti noi.
* dirigente superiore medico-psicologo della Polizia di Stato

01/04/2015