Sergio Rossi*

La qualità di Arezzo

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Nonostante la crisi economica abbia colpito il tessuto sociale, nel capoluogo toscano continua il rapporto di fiducia tra cittadini e forze dell'ordine

La qualità di Arezzo

Strana città Arezzo, perfino coerente nelle sue scelte. Di solito è sempre stata dalla parte dei perdenti, ai tempi della guerra civile di Roma, nel primo secolo avanti Cristo, fra Mario e Silla indovinate con chi si schierò? Con Mario, naturalmente. E vinse Silla. Tredici secoli e rotti più tardi, Arezzo si ritrovò ghibellina ma la storia correva verso la parte guelfa, il mondo del mercato e dei mercati prevaleva su quello del potere assoluto dell’imperatore. Infatti Arezzo perse, sconfitta dai fiorentini nella piana di Campaldino nel sabato di San Barnaba dell’anno domini 1289. Per molti storici cominciò da lì il declino della città che però solo molto più tardi sarebbe entrata nell’orbita della Firenze dei Medici non prima di aver trascorsa un’epoca feconda sotto i Tarlati: un segno importante a ben vedere, il segno di una città che, come l’araba fenice sa risorgere dalle sue generi e proiettarsi in una nuova vita.
Tante sconfitte, ma questa è appunto una terra fertile. Terra feconda di intelligenze e di cervelli. È la terra di Piero della Francesca e di Giorgio Vasari, di Paolo Uccello e di Masaccio, di Michelangelo e di Luca Signorelli. Terra baciata dall’arte e dalla geografia che la pone proprio in mezzo allo stivale, baricentrica fra nord e sud. Ed è stata questa, nel dopoguerra, la fortuna su cui Arezzo ha costruito il suo decollo economico, favorita pure dall’aver dato i natali (a Pieve Santo Stefano) al potentissimo Amintore Fanfani cui si deve la celebre gobba che deviò l’autostrada del Sole dal suo tracciato originario per farla passare appunto dalle nostre parti. Quasi un regalo della Provvidenza, la marcia in più per dare l’accelerazione definitiva alla cosiddetta generazione dei pionieri che dagli anni Cinquanta in poi trasformò la città da realtà rurale a locomotiva industriale. 
L’ oro, ma non soltanto. Anche il tessile, anche la Lebole, anche le tante aziende che con i filati accompagnarono uno sviluppo vertiginoso che ha però sempre visto (e vede tutt’ora) nella lavorazione del metallo pregiato il suo asset principale, quasi un distintivo che

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01/04/2015