Ida Bonagura* e Silvia La Selva**
La psiche in uniforme
VENTANNI DI PSICOLOGIA DELLA POLIZIA DI STATO: ORA SI GUARDA AL FUTURO
Ricordo gli inizi dell’ingresso di questa disciplina in una istituzione come quella della Polizia di Stato: inizi caratterizzati dalla ricerca, dalla analisi della complessità organizzativa, dal reperimento delle strategie opportune per creare rapporti con le altre operatività e sviluppare sinergie efficaci ed ineludibili per il raggiungimento di obiettivi importanti.
La psicologia era, all’epoca, molto meno conosciuta di oggi e, spesso, legata all’idea della terapia, dell’intervento puramente clinico sulla malattia mentale, sul disagio. Come in altri ambiti di pertinenza della disciplina psicologica anche per quanto riguarda le forze di polizia sono stati allargati i campi di azione e di intervento e si sono strutturati metodi e tecniche altamente specialistici anche nell’ottica delle aperture e dei confronti internazionali.
Gli psicologi della polizia hanno saputo “leggere” attentamente il contesto organizzativo traendone informazioni importanti per far comprendere la direzione da imprimere al lavoro e codificare le necessità che si presentavano alla loro attenzione.
Inizialmente l’attività psicologica era prevalentemente svolta nel settore della selezione, oggi le attività riguardano aspetti molto diversificati e che vanno dalla sanità, alle risorse umane, alla psicologia del lavoro, alle attività svolte presso le questure, la polizia postale, i servizi di protezione ed altro.
Nell’occasione della giornata di celebrazione di questa importante ricorrenza è stato evidente il rilevante apporto degli psicologi in tante e differenziate attività che vengono svolte in stretta collaborazione con il personale impegnato nell’operatività; la capacità di lavorare in team e in sinergia con chi si dedica alla prevenzione del crimine e alla tutela della sicurezza è stata un punto di forza evidente per lo sviluppo della disciplina e per la possibilità di far comprendere quante e quali risorse può offrire.
Nel tempo si è sviluppata negli psicologi della Polizia di Stato non soltanto la capacità di far nascere le “domande”, bensì anche quella di analizzare le situazioni per comprendere le possibili risposte ai problemi e mettere a sistema metodiche avanzate, frutto di un sapiente e continuo confronto con l’esterno a livello nazionale ed internazionale.
L’importante problema della selezione in un contesto così delicato ha confrontato gli psicologici con continue necessità di riflessione e aggiornamento e ha condotto a conoscere tecniche sempre più raffinate, il lavoro sullo sviluppo delle risorse umane è stato reso possibile dall’aggiornamento di competenze specifiche e specialistiche, il sostegno al personale di polizia e l’intervento sulle criticità si è realizzato in situazioni complesse ad elevato potenziale stressogeno e di rischio.
Questo inserto costituisce un momento importante, non soltanto di carattere celebrativo, ma anche di avvio di una riflessione utile e alla base delle nuove prospettive. Nei processi di cambiamento che caratterizzano le società e dunque anche le loro importanti Istituzioni, guardare al passato per trarne utili bilanci non può che prevedere anche la progettazione del futuro; le basi, è molto evidente in questi scritti, sono ottime. Il percorso che la psicologia ha fatto, traccia la strada futura nell’attenzione ai nuovi fenomeni che sempre più richiederanno l’ausilio dello psicologo per essere compresi, ma anche nei fenomeni non nuovi che verranno affrontati con nuove strategie e soluzioni.
La forte integrazione di questa figura professionale nel tessuto della grande famiglia della Polizia di Stato è il presupposto per un lavoro comune, sempre più conosciuto anche all’esterno e apprezzato ogni giorno.
L’occasione offerta dalle celebrazioni è anche quella di fornire la possibilità di esprimere auspici. Ve ne sarebbero molti, i più importanti riguardano la sempre maggiore possibilità di raggiungere gli alti livelli professionali e gli elevati standard perseguiti fino ad oggi; accrescere la visibilità interna ed esterna del loro ruolo, vedersi riconosciuta l’unicità e la altissima specializzazione della loro professione.
Infine, posso dire di conoscere tutti i colleghi alla cui operatività ho fatto riferimento in questa breve introduzione, e posso testimoniare personalmente la loro energia, la capacità, l’interesse e la passione. Con molti di loro ho avuto l’onore di lavorare, di sviluppare progetti, di far nascere idee; ho colto nel tempo la loro crescita professionale e ho avuto modo di constatare quanto i prodotti del loro lavoro siano apprezzati in molte sedi internazionali oltre che nel nostro Paese.
Nell’augurio che il percorso continui e si arricchisca sempre di più, sono certa che il lettore di questo inserto, che ho l’onore di introdurre, potrà cogliere la complessità di un lavoro difficile, spesso arduo, che richiede infinite energie e capacità di gestione di molti livelli comunicativi e che porta in una profonda dimensione emotiva, spesso di sofferenza.
Si tratta di un testo, è facile rendersene conto da subito, che, pur prodotto da diversi autori, conserva una grande unitarietà e coerenza e guida chi legge in un viaggio straordinario in uno dei “luoghi” più misteriosi ed affascinanti: il comportamento umano.
Annamaria Giannini
professore ordinario di Psicologia generale
dell’Università di Roma “La Sapienza”
Nella Polizia di Stato operano quaranta psicologi che svolgono la loro attività in uffici diversi per competenza e dislocazione territoriale.
A 21 anni dal loro inserimento in ruolo nell’ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza, hanno organizzato un convegno nazionale, nel quale hanno ripercorso l’evoluzione delle attività svolte nei vari contesti operativi, misurate sulla base sia delle esigenze istituzionali che dei bisogni individuali.
La convention, nata dall’esigenza di trovare un luogo di incontro che potesse rappresentare uno stimolo per una maggiore conoscenza del ruolo e delle competenze dello psicologo di polizia all’interno ed all’esterno del Dipartimento, è stata occasione di riflessione sul tema del benessere psichico ed organizzativo e, conseguentemente, ha posto l’attenzione sui recenti moduli di formazione rivolti a funzionari e dirigenti, alla salute psicologica ed alla tutela della sicurezza psicologica degli operatori di polizia. Tali strumenti formativi, sempre più orientati ad implementare la già consolidata formazione psicologica finalizzata alla conoscenza di tecniche specifiche (relative ai processi comunicativi, alla capacità di ascolto, alla gestione efficace delle emozioni e delle relazioni), possono rappresentare veri e propri strumenti operativi in aggiunta a quelli già sperimentati.
Il convegno (i cui atti, in versione integrale,sono disponibili sul sito www.poliziamoderna.it) ha peraltro rappresentato l’occasione per sottolineare la sempre più intensa collaborazione tra uffici investigativi e psicologi. Tale cooperazione potrà però definirsi totalmente esaustiva solo quando si prenderà completamente consapevolezza dell’enorme ventaglio di prestazioni professionali psicologiche che si svolgono e che si potrebbero implementare.
Questo inserto vuole offrire una panoramica sull’evoluzione delle attività degli psicologi di polizia nel Dipartimento e dei contributi proposti, attraverso un processo di integrazione tra il sapere psicologico e il sistema della sicurezza.
Abbiamo cercato di costruire un quadro che possa descrivere i molteplici ambiti applicativi, attraverso i quali abbiamo operato ed operiamo da più di 20 anni.
Auspichiamo che ripercorrere la nostra storia e divulgarla in questo spazio possa stimolare una fertile riflessione su nuove possibili strategie da mettere in campo, per utilizzare al meglio le risorse specifiche e le competenze proprie di questo ruolo.
1. Psicologia di polizia: la storia di un percorsodi individuazione
La psicologia trova una sua prima configurazione professionale in polizia nel 1981 attraverso la cosiddetta “legge di riforma” che segna un passo di straordinaria portata culturale nel processo di modernizzazione della polizia italiana.
Nel nuovo assetto, spogliata delle vesti militari, la polizia italiana apre l’accesso nei ruoli alle donne, con pari dignità e funzioni rispetto agli uomini, e pone le premesse per la creazione di ruoli diversificati per requisiti di accesso, formazione, profilo professionale e ambiti di intervento.
Nell’art.36 della legge 121 del 1/4/1981, viene delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legge per l’ordinamento del personale e, tra questi, rientra la previsione della “istituzione di ruoli per il personale che svolge attività tecnico scientifica o tecnica, nonché di ruoli per il personale che esplica mansioni di carattere professionale attinenti ai servizi di polizia per il cui esercizio occorre la iscrizione in albi professionali”.
Sarà il dpr 337/82, nel regolamentare l’ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico scientifica o tecnica, a istituire i ruoli dei direttori tecnici ingegneri, fisici, chimici, biologi e dei selettori del Centro psicotecnico.
Per i laureati in psicologia, a differenza che per gli altri ruoli tecnici, il 337/82 non prevede la istituzione di un ruolo di psicologi ma di “selettori”.
La scelta di nominare la qualifica con la dizione di selettore del Centro psicotecnico comporta di per sé che la figura dello psicologo in polizia possa e debba operare esclusivamente nell’ambito della selezione del personale.
Ciò ha implicato alcune limitazioni rispetto alla possibilità di intervento in altri settori propri della professione e alla possibilità di assegnazione degli psicologi in altri uffici e o strutture del Dipartimento che non fossero coinvolte nell’attività concorsuale.
In accordo con il dpr 337/82, il dpr 23 dicembre 1983, n. 903, con l’art. 29, nel definire il regolamento per l’accesso ai ruoli di polizia, individua i selettori del Centro psicotecnico come componenti esclusivi delle commissioni per gli accertamenti attitudinali: ”I candidati sono sottoposti alle prove attitudinali da una commissione composta da un funzionario del ruolo dei dirigenti selettori del Centro psicotecnico, che la presiede e da quattro direttori tecnici selettori appartenenti ai ruoli tecnici della Polizia di Stato”.
Di più ampio respiro il contenuto dei decreti attuativi che poco più tardi, nel 1985, descrivono competenze e attività dei selettori del Centro psicotecnico con un raggio d’azione molto più ampio rispetto alla mera attività di selezione del personale.
Infatti il dm 18 Luglio 1985 definisce il contenuto della professionalità attraverso tutti i possibili ambiti di intervento propri della professione di psicologo.
Tuttavia, di fatto i primi psicologi che vengono assunti in polizia, dal ’92 in poi, in accordo con la definizione di “selettori” verranno assegnati tutti a Roma, presso la Direzione centrale per le risorse umane, nel Centro psicotecnico e, in una aliquota minore, presso la Direzione centrale di sanità, Servizio centrale operativo, nell’allora “Centro di neurologia e psicologia medica applicata” come consulenti delle commissioni mediche per l’accertamento della idoneità psico-fisica.
Gli aspetti di poca coerenza e chiarezza che accompagnano dal punto di vista normativo l’introduzione della figura dello psicologo nel Dipartimento della ps possono essere compresi attraverso l’inferenza e l’interferenza di diversi fattori di ordine storico-culturale che hanno animato e anche ostacolato il percorso di individuazione e di affermazione della psicologia come disciplina autonoma in Italia.
In Italia, il percorso di acquisizione di una propria identità indipendente, svincolata dalla professione medica e da connotazioni di genere legate alla filosofia, era stato più lungo e difficile rispetto agli altri paesi occidentali.
Fino al 1971, infatti, lo Stato italiano non riconosceva il titolo accademico di psicologo. Nel 1971 sono stati istituiti i primi due corsi di laurea in psicologia, a Roma e Padova, che però afferivano alla facoltà di magistero.
Si dovrà aspettare il 1981, perché si arrivi ad ottenere il riconoscimento di disciplina scientifica con l’istituzione del primo corso di laurea quinquennale in psicologia.
In quegli stessi anni, gli illustri esponenti e i padri della psicologia italiana come Ossicini, Musatti, Basaglia, Bollea ed altri si battevano in Parlamento per ottenere il riconoscimento della psicologia in Italia come professione scientifica autonoma, attraverso la richiesta di istituzione di un ordine professionale. Si dovrà aspettare la legge n. 56 del 18 febbraio 1989 perché venga istituito l’Ordine degli Psicologi e solo il 13 gennaio 1992, a 21 anni dalla nascita del primo corso di laurea, verrà emanato il decreto ministeriale n. 240 che regolamenterà l’esame di Stato per l’abilitazione professionale e l’iscrizione all’ordine per gli psicologi.
Questo lungo processo che ha caratterizzato l’affermarsi dell’identità della professione di psicologo nel nostro Paese ha sicuramente giocato un ruolo importante nell’attribuzione di una identità professionale autonoma per gli psicologi di Polizia che, solo nel 2000, verranno “liberati” dal vincolo della mera attività di selezione del personale ottenendo la definizione di direttori tecnici psicologi.
è infatti nel decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, recante il “Riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato, a norma dell’articolo 5, comma 1, della legge 31 marzo 2000, n. 78”, che la denominazione di ruolo dei selettori del Centro psicotecnico viene sostituita con quella del ruolo degli psicologi.
Questa apertura stimolerà nuovi sviluppi della professione favorendo tutta una serie di iniziative pionieristiche e sperimentali, la maggior parte delle quali oggi sono divenute attività standardizzate della psicologia di polizia.
La psicologia di polizia per la selezione del personale: metodologia e strumenti
per la valutazione delle risorse umane nel Dipartimento della ps
L’accesso ai ruoli della Polizia di Stato rappresenta una fase delicata del lavoro degli psicologi di polizia anche in vista del valore di investimento sociale implicato nella scelta degli uomini e delle donne adatti a svolgere le complesse funzioni proprie dei vari ruoli.
L’iter concorsuale che parte dalla domanda preliminare e da un successivo test di cultura generale, prosegue con l’accertamento dei vari requisiti richiesti e differenziati per i vari ruoli.
Tre distinte commissioni esaminatrici deputate ad individuare nel candidato i requisiti di efficienza fisica, quelli relativi all’ottenimento dell’ idoneità psicofisica e dell’idoneità psicoattitudinale.
Per l’accertamento dei disturbi mentali, la commissione medica designata si avvale della consulenza degli psicologi del Centro di neurologia e psicologia medica del Servizio operativo centrale di sanità.
Tra le patologie che possono essere diagnosticate nel corso degli esami di valutazione psichica, per esempio, può essere rilevato un disturbo di natura depressiva che determina uno dei possibili casi di non idoneità psichica per l’accesso ai ruoli di polizia.
In generale, le persone che soffrono di depressione presentano una notevole inibizione psicomotoria e povertà di ideazione, rallentamento nei tempi di risposta, nella formulazione dei concetti, nell’ esposizione dei fatti.
L’atteggiamento è sofferto, angosciato, dimesso e c’è comunque una certa lentezza di movimenti spontanei come se ci fosse qualcosa che li impedisse. Anche la mimica è rallentata, cupa, triste e spesso è presente indecisione, che può arrivare allo stupore e all’immobilità.
Per ciò che concerne l’umore, il depresso vive in un’emotività totalmente congelata, senza vivacità, immerso in un profondo vissuto di dolore. Si può parlare in molti casi di tristezza vitale che si manifesta con una continua retrospezione del passato, dolorosa, piena di rimpianti, rimorsi, sensi di colpa e di incapacità.
Nelle forme più gravi si arriva a veri e propri deliri di autoaccusa, di colpa, di inadeguatezza sociale e lavorativa, di rovina, di miseria, di impoverimento e d’ipocondria.
Bisogna comunque tenere presente che spesso le depressioni, specialmente quelle nevrotiche, giungono mascherate e mimetizzate da varie altre sintomatologie ai colloqui di selezione del personale. Vi sono casi poi in cui la depressione è più lieve o circoscritta ad un solo ambito, è situazionale e non strutturata. Parliamo allora di depressione reattiva che in qualche modo è legata ad una situazione scatenante, ad un evento che sia stato in grado di provocarla.
In questo caso compito dello psicologo è quello di valutare e distinguere se tale depressione reattiva sia ormai stata ben elaborata e superata o se, viceversa, il suo grado di gravità rischi di inglobarla in una sintomatologia acuta o cronica fino all’insorgenza di un vero e proprio disturbo depressivo connotato da profonda disperazione.
La valutazione psicologica, permette di stimare la salute psichica e la sua compatibilità con l’attività di polizia e in questa fase di valutazione il medico e lo psicologo lavorano sinergicamente.
L’accertamento dei requisiti psichici e l’esclusione di psicopatologie, vede impiegati gli psicologi del Centro anche in relazione alle riammissioni in servizio del personale della Polizia di Stato.
Superata la fase di selezione psicofisica, l’iter concorsuale approda all’ultimo step, che deve accertare l’idoneità attitudinale o psico- attitudinale, come dir si voglia. L’attitudine è definibile come quell’insieme di abilità, innate o acquisite, durevoli o modificabili, capacità, atteggiamenti, tratti di personalità, comportamenti che rendono predittivo un adeguato inserimento di un individuo in un dato contesto lavorativo.
Il Centro psicotecnico, all’interno della Direzione centrale per le risorse umane, ove opera un gruppo di psicologi di polizia, è l’ufficio deputato a tale attività.
L’idoneità attitudinale viene accertata attraverso metodologie e strumenti propri della psicologia del lavoro e la commissione presieduta e composta da psicologi.
È l’ultimo filtro selettivo sul quale grava un’importante responsabilità: valutare la rispondenza delle caratteristiche della persona con il suo eventuale futuro impiego.
Per tutti i ruoli, i requisiti richiesti per l’idoneità attitudinale fanno capo ad aspetti legati all’evoluzione della personalità, alla capacità di gestione delle emozioni, alle caratteristiche intellettive e alle capacità sociali.
I requisiti di idoneità attitudinale, in linea con le disposizioni vigenti, sono compresi in quattro in macro-aree: processi cognitivi, socialità e dinamiche relazionali, livello evolutivo e gestione delle emozioni.
Si definiscono soft skills le competenze trasversali o personali; sono tra gli elementi esaminati nel corso della valutazione attitudinale e si riferiscono ad aspetti quali l’estroversione, la capacità di problem solving, le competenze di relazione, l’adattabilità, la flessibilità, le competenze comunicative, la leadership, l’autocontrollo emotivo, con gradi di intensità variabile a seconda di quale sia il ruolo da ricoprire.
Il processo selettivo si basa su un’attività di studio preliminare, mirato alla costruzione della cosiddetta person specification ovvero delle caratteristiche necessarie allo svolgimento dell’attività nel profilo professionale richiesto.
Questa attività coinvolge lo studio delle caratteristiche e delle funzioni lavorative o job analysis e implica: la costruzione di un profilo oggettivo relativo alle competenze professionali; l’analisi delle abilità cognitive, emotive e personali necessarie ad agire determinate competenze; la costruzione di un profilo soggettivo comprensivo degli aspetti attitudinali; lo studio e la scelta degli strumenti testologici più idonei.
L’attività di selezione attitudinale è diretta anche alla valutazione del personale per l’accesso ai corsi di qualificazione per le specializzazioni della Polizia di Stato e la verifica della permanenza dei requisiti nei casi di riammissione in servizio.
2. L’intervento psicologico legato ai bisogni del personale di polizia: dalla psicologia dell’emergenza alle attività di consulenza e sostegno sul territorio
Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, che non hanno mai inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore, a loro non si è svelata la bellezza della vita. (Boris Pasternak)
Gli psicologi della Polizia di Stato, in servizio presso il Centro di neurologia e psicologia medica – Servizio operativo centrale di sanità – Direzione centrale di sanità, svolgono, dal 2001, attività della psicologia dell’emergenza in occasione di accadimenti tragici che possono coinvolgere gli operatori di polizia come soccorritori o come vittime.
L’evento critico in polizia può essere determinato da un incidente di servizio dove occorre la morte o il ferimento di un collega o da eventi cosi minacciosi per la propria incolumità, da destabilizzare anche se solo per un breve lasso di tempo il suo equilibrio emotivo.
Destinatari degli interventi di supporto psicologico in emergenza debbono essere considerati anche i testimoni diretti di fatti gravemente lesivi che hanno minacciato o compromesso la sopravvivenza di un essere umano; i colleghi, i familiari delle vittime, ed altri, per quanto lontani da un diretto coinvolgimento; i soccorritori, volontari e professionisti, che a qualsiasi titolo abbiano prestato il proprio aiuto alle vittime e ai sopravvissuti.
L’obiettivo primario perseguito dagli psicologi è quello di contenere, monitorare e gestire il normale disagio psicologico immediato per evitare che si trasformi in un disturbo più grave, come il disturbo post-traumatico da stress.
Numerosi sono stati gli interventi sul territorio nazionale, incidenti di servizio, conflitti a fuoco, uccisione di poliziotti che svolgevano la loro ordinaria attività lavorativa, supporto al personale, vittima e soccorritore di altre vittime, in occasione del terremoto dell’Aquila e, ancora, interventi richiesti per fronteggiare lo sconvolgimento emotivo causato dal suicidio di un poliziotto. Quando un poliziotto si uccide, spesso per mezzo dell’arma di ordinanza, gli psicologi lavorano in un ambito delicato che per lungo tempo è rimasto nel silenzio, sostenuto dalla comprensibile riservatezza ma anche da resistenze di vario tipo e che, negli ultimi anni, ha ottenuto una maggiore attenzione, anche nei termini di una più accurata prevenzione. Il sostegno intorno ad un suicidio significa respirare la rabbia ed il pudore, la solitudine, il senso della colpa, lo sbigottimento e l’impotenza di coloro che perdono un collega che decide di porre fine alla propria esistenza. È una missione complicata per gli psicologi, che devono far restituire un senso ed una liceità a quel dolore ma anche fornire una strategia orientata al recupero della normalità. Si pone l’accento sempre più sulla condivisione e sull’urgenza del “non isolamento” che rappresenta un deterrente alla proliferazione di vuoti che spesso scatenano i disagi più difficili da gestire.
L’evento critico costringe a fare i conti con la precarietà e la vulnerabilità della propria condizione umana e quanto più colpisce figure che per il tipo stesso di lavoro che svolgono si percepiscono e vengono percepiti invulnerabili, tanto più tali eventi, inaspettati e minacciosi, distruggono una serie di sicurezze e di convinzioni di potenza, lasciando il poliziotto in balìa di un senso di estraneità ed insicurezza. Consapevoli di ciò, gli psicologi operano in questo settore con l’obiettivo di tutelare il benessere psichico degli operatori di polizia utilizzando metodologie strutturate, protocolli riconosciuti e supportati da solidi modelli teorici di riferimento.
Sempre in relazione all’attività di sostegno sul territorio, gli psicologi in servizio presso le questure svolgono un’opera di prevenzione e supporto ad ampio raggio. In tali strutture l’impegno degli psicologi ha facilitato la vicinanza degli operatori alle tematiche psicologiche, rendendo possibile anche una crescente autoconsapevolezza in riferimento ad eventuali stati di disagio personali, consapevolezza che, con sempre minor ritrosia, sfocia in possibili richieste d’aiuto.
Diversi sono i poliziotti che chiedono consulenze psicologiche. Tra i motivi che li portano a rivolgersi agli psicologi della polizia possono esserci anche bisogni legati all’insorgenza di problematiche di carattere familiare o derivanti dal coinvolgimento in incidenti critici di servizio. Usufruiscono del supporto anche coloro che, colpiti da una grave perdita o chi esponga difficoltà inerenti alla gestione di conflitti e problematiche relazionali. Tutte situazioni che possono produrre, come in ogni attività lavorativa e umana, piccoli segnali di malessere che in parte vengono ammortizzati e contenuti dall’intervento degli psicologi presenti sul territorio.
Presso le questure gli psicologi hanno attivato anche i “centri di ascolto” per i cittadini o per le vittime di reati e, parallelamente, riservano la loro offerta di consulenza anche all’operatore di polizia in difficoltà, con l’obiettivo di facilitare il recupero e il mantenimento del proprio stato di benessere.
3. L’attività di formazione: verso un sapere psicologico diffuso
L’esigenza di un sostegno attivo, che vada oltre il momento di emergenza legato agli eventi traumagenici o alle particolari necessità temporanee e individuali del personale, è stata declinata, da parte di tutti gli psicologi di polizia, negli istituti di formazione e nei reparti, nelle strutture specialistiche e nelle questure, in un impegno diffuso nel promuovere e costruire contributi specifici in linea con i bisogni reali dei poliziotti.
La selezione del personale permette di disporre di una popolazione che possiede requisiti psichici e attitudinali necessari e sufficienti al lavoro da svolgere.
Questo però non garantisce all’infinito che un poliziotto disponga sempre e in qualsiasi situazione delle necessarie capacità di far fronte alle esperienze e alle istanze di natura professionale e umana che andranno a comporre la sua storia di poliziotto.
Per molto tempo, una sorta di “pensiero magico” comune ha ruotato intorno al concetto di idoneità psico-attitudinale dei poliziotti; questa idea riguardava il presupposto per cui se un poliziotto avesse superato le selezioni avrebbe dovuto conservare intatta la capacità di sopportare il suo lavoro, qualsiasi esso fosse.
Purtroppo e per fortuna nessuno è la fotografia di sé stesso e se, nel tempo, muta la nostra immagine e può mutare la nostra salute fisica, questo accade anche per i processi di funzionamento psichico.
Attenderci che un poliziotto debba saper essere in grado di affrontare qualsiasi compito professionale senza esitazioni o cadute significa pensare allo stesso modo che un operatore di polizia, idoneo nella selezione fisica, rimanga tale nel corso degli anni.
Nel percorso di crescita personale e lavorativa le componenti legate allo stress, alle problematiche organizzative, alle richieste di nuove competenze professionali possono depauperare i fattori interni di resilienza, ossia quei componenti che permettono ad un individuo di proteggersi nella esposizione ai fattori di rischio e di far fronte alle istanze poste dall’esterno.
Inoltre, il contesto sociale attuale in cui operano i poliziotti ha subito e subirà veloci e notevoli mutamenti e questo comporta la richiesta di nuove e più sofisticate competenze tecnico-professionali. Questa evoluzione rapida di per sé rappresenta un elemento di grande pressione sociale e psicologica che mette continuamente in discussione il proprio “saper fare” e quindi il proprio “saper essere”.
Infine, la polizia italiana, se da una parte risponde ai bisogni legati alla sicurezza attraverso una sempre maggiore complessità nelle strategie di risposta, dall’altra risente di un impoverimento delle risorse economiche e strutturali e di un invecchiamento complessivo della popolazione che la compone e questo può inficiare la percezione di senso del proprio agire, arginando i motivi del proprio impegno e della volontà di fare.
Per questa serie di ragioni, oggi più che mai, la formazione di taglio psicologico vuole essere innanzitutto uno strumento di prevenzione primaria rispetto ai molteplici fattori di esposizione al rischio che possono indebolire il grado di resilienza di tutti gli operatori, in particolar modo di quelli che operano sul territorio.
L’offerta formativa è indirizzata alla cura del benessere psicologico attraverso l’approfondimento di conoscenze e competenze specifiche; mira ad aumentare il senso di autoefficacia percepita e a facilitare la capacità di analisi del proprio vissuto professionale; favorisce l’acquisizione di nuove strategie di coping ossia le capacità di affrontare e superare le difficoltà e stimola la crescita motivazionale.
I moduli di approfondimento utilizzano metodologie misurate sull’analisi del contesto e dei contenuti del lavoro e offrono strumenti differenziati e tagliati per le varie realtà ed esigenze operative.
La metodologia di trasferimento delle competenze e del sapere psicologico comprende sistematicamente l’utilizzo di strumenti tecnici come i focus group e l’analisi della domanda.
L’obiettivo è sempre quello di assicurare prodotti formativi di qualità aderenti ai bisogni operativi e alle nuove richieste che la realtà sociale attuale impone a chi si occupa di gestione della sicurezza.
Il modello formativo della Scuola di Pescara
Le voci dei poliziotti che rispondono al 113 sono quelle di uomini e donne che entrano per primi nel luogo di una lite, di uno scippo, di una rapina, di un malore, di un incidente, ma i loro occhi possono vedere solo nelle parole di chi chiede aiuto.
Presso la Scuola per il controllo del territorio di Pescara già dal 2010, proprio in una prospettiva legata ai bisogni concreti degli operatori, sono state elaborate le nuove procedure di formazione, che, dopo un lavoro preliminare di analisi del contesto e dei contenuti del lavoro, sono attive nel programma di formazione degli operatori impegnati nelle sale operative delle questure.
La metodologia privilegia un lavoro di auto-osservazione e di sperimentazione delle proprio stile di funzionamento comunicativo in una realtà operativa che viene riprodotta “virtualmente” e, con l’ausilio di video-registrazioni, vengono analizzati i processi psichici e le trappole comunicative che possono ostacolare la gestione delle richieste di aiuto in sala operativa.
La novità di questo modello di formazione sta sicuramente nella metodologia che non si esaurisce nell’utilizzo di strumenti e psico-tecnologie virtuali ma si avvale anche di una modalità nuova per la gestione del supporto formativo. In un tandem guidato dallo psicologo di polizia e dal funzionario del ruolo ordinario di sala operativa, le competenze tecnico-comunicative e quelle tecnico-operative sono trasferite agli operatori simultaneamente, così come nella realtà lavorativa del 113 dovranno essere espresse.
4. La psicologia investigativa in polizia
La psicologia possiede una sorta di strutturale competenza investigativa, poiché le procedure che essa ha sviluppato possono essere applicate a qualunque tipo di comportamento, incluso quello criminale.
Il suo contributo alle indagini giudiziarie, in questi anni, lì dove gli psicologi di polizia sono divenuti parte integrante delle realtà investigative della Polizia di Stato, ha prodotto un ausilio sistematico in grado di offrire strumenti e metodologie specialistiche nella ricerca di nuovi orientamenti per le strategie di indagine e ciò ha rappresentato un modello di esperienza fondamentale per strutturare nuove forme di collaborazione che apportino competenze e conoscenze sempre più utili e sofisticate, per la comprensione analitica e multidisciplinare dei fatti che devono essere valutati, interpretati e motivati.
Il reato “è una realtà relazionale che coinvolge perlomeno autore e vittima” (Pisapia, 1998) ed è anche “una realtà comunicazionale” (De Leo, 1999).
Le dinamiche sottostanti l’azione criminale, in una prospettiva psicologica, non necessariamente sono legate ad aspetti psicopatologici e possono essere ricondotte a quelle che indirizzano il comportamento della persona in altre più “normali” circostanze.
L’esperienza nella polizia scientifica
L’esigenza di trovare approcci esplicativi più complessi e di taglio più propriamente scientifico nell’analisi dei casi investigativi era stata percepita dalla Polizia di Stato già nel 1994, quando venne creata l’Unità di analisi del crimine violento (Uacv), una sezione dedicata ad attività di analisi criminale in relazione a reati di omicidio senza apparente movente e/o di particolare efferatezza, omicidi seriali, violenze sessuali e rapine in ambienti video sorvegliati presso l’allora Direzione della polizia criminale.
È infatti già a partire dal ’94 e fino al 2013, nelle procedure investigative della polizia scientifica viene introdotta, assieme a tutte le altre, la metodologia di intervento dello psicologo investigativo attraverso l’inserimento di uno psicologo di polizia.
Diversi sono i campi di indagine nei quali gli psicologi di polizia hanno lavorato insieme alle altre professionalità della polizia scientifica: l’analisi della scena del crimine, l’autopsia psicologica, il profiling offender e l’analisi della testimonianza.
Nell’analisi della scena del crimine lo psicologo di polizia è intervenuto, negli ultimi venti anni, attraverso una metodologia volta ad individuare e a ricostruire nel delitto le tracce tipicamente psicologiche e cognitive del suo autore, offrendo metodi e strumenti collaudati in sede scientifica e utilizzabili in ambito giudiziario.
L’analisi della scena del crimine è una indagine che utilizza parametri psicologici per la ricerca di elementi significativi dal punto di vista dello studio del comportamento sulla scena del crimine, dando loro una sequenzialità (nello spazio in cui sono stati agiti e nel tempo in cui sono avvenuti e nella modalità in cui sono stati espressi), connotandoli di senso e traducendoli in una significazione compiuta; lo psicologo-investigatore analizza, descrive, racconta, ed infine spiega i percorsi seguiti dall’autore del reato.
Anche la vittima non sopravvissuta può dare involontariamente un contributo di tipo psicologico alle indagini investigative; ciò può avvenire attraverso la ricostruzione retrospettiva della sua vita, della sua personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con l’autore del reato e del ruolo che essa ha assunto nella criminogenesi e nella criminodinamica del delitto. Questa ricostruzione viene definita tecnicamente autopsia psicologica.
La vittima è di frequente anche l’unico testimone muto dell’azione violenta dell’altro, ne porta i segni e si pone come elemento comunicativo della scena del crimine: l’attività dello psicologo viene ad esplicarsi, in questi casi, nell’osservazione della posizione del corpo della vittima, delle ferite inferte, di tutte quelle azioni necessarie e non a uccidere e che possono comunicare eventuali aspetti psicopatologici riferibili all’autore, che narrano il suo percorso “logico-simbolico”, gli effetti che intendeva produrre col suo agire e quelli che gli sono “sfuggiti al controllo”, “alla pianificazione”, alla “volontà consapevole”.
La scena del crimine diventa leggibile come “narrazione dell’evento” e come “relazione tra autore e vittima”. La vittima, in questo senso, è l’esito delle azioni del suo aggressore. L’azione deviante dal punto di vista psicologico è realtà relazionale e comunicativa.
Il profiling offender è l’esito della valutazione delle caratteristiche di personalità e socio-demografiche dell’autore sconosciuto di un reato e si basa essenzialmente sulla raccolta, analisi e valutazione di informazioni riguardanti le tipologie e modalità di comportamento che l’autore del reato ha messo in atto sulla scena del crimine.
Oltre che a questi aspetti, l’intervento degli psicologi di polizia, che hanno operato fino al 2013 presso la Dac, è stato indirizzato anche nella direzione di portare un contributo di taglio psicologico all’analisi della testimonianza.
I dati dei resoconti dei testimoni sono fondamentali per le indagini di polizia giudiziaria, ma la loro raccolta spesso necessita di una capacità tecnica che va dalla formulazione delle domande e alla strutturazione del tessuto comunicativo dell’intervista e/o dell’interrogatorio, agli aspetti della gestione della relazione per ottimizzare il processo di collaborazione dei testimoni o delle persone informate sui fatti soprattutto nella prima fase della attività investigativa. Anche la menzogna è un comportamento comunicativo complesso che offre una serie di indizi verbali e non verbali.
La psicologia di polizia, in questo contesto, ha offerto diversi strumenti a supporto delle indagini, anche attraverso l’attività di formazione per il personale della Polizia di Stato.
Realtà psichica e realtà virtuale: l’apporto della psicologia
Il concetto di reale è da sempre, in un approccio esplicativo di taglio psicologico, un concetto complesso nel quale la realtà empirica è manifestazione concreta di una realtà affatto tangibile e, d’altra parte non meno rilevante, che è la realtà psichica. La diffusione delle nuove “psicotecnologie” sta modificando in breve tempo le nostre abitudini e le modalità d’intendere i processi di comunicazione.
I nostri riferimenti spazio-temporali e i nostri modelli culturali mutano continuamente in relazione al costante aggiornamento delle nuove tecnologie e con esse si modifica sempre più il nostro sistema di comunicazione con gli “altri significativi”.
L’utilizzo delle nuove apparecchiature interagisce con il nostro apparato psichico e modifica le nostre capacità di rappresentazione e percezione, il nostro sentire rispetto ai fatti concreti. La realtà virtuale mai come oggi ha assunto l’evidenza dei fatti empirici. L’utilizzo della rete e delle varie applicazioni è in grado di determinare una rilevante estensione nella percezione dei confini del “Sé”.
Le relazioni sociali possono avviarsi ed esistere in assenza di un reale empirico e l’impossibilità di accedere a tutta una serie di messaggi non verbali produce mutamenti sostanziali nell’interazione tra individui e nella significazione del linguaggio.
Nuovi fenomeni evolutivi e nuovi pericoli interessano le piazze sociali di incontro virtuale e, per questo, l’apporto della psicologia può essere rilevante per la gestione della sicurezza in un contesto cibernetico di interazione sociale attraverso il quale è possibile sperimentare emozioni e azioni e, anche, crimini aberranti.
Il lavoro degli psicologi nella polizia postale
Nel campo del contrasto al cybercrime l‘apporto professionale degli psicologi della Polizia di Stato, presenti da 14 anni all‘interno del Servizio della polizia postale e delle comunicazioni, è, oggi, profondamente radicato nella struttura della Specialità con particolare riferimento al contrasto alla pedopornografia.
Il legislatore, già nel 1998, al momento dell‘introduzione in Italia del reato di pedopornografia, assegna in via esclusiva alla polizia postale la possibilità di effettuare indagini sottocopertura, ossia di consentire agli operatori di assumere identità assai diverse dalla propria.
A fronte della richiesta, a carico dell‘operatore, di una competenza anche psicologica, si è reso subito necessario l‘affiancamento degli psicologi al fine di garantire anche una maggiore efficacia operativa, in termini di relazione sotto copertura.
Il contributo degli psicologi di polizia, inizialmente prestati dalla Direzione centrale di sanità, è stato indirizzato in una estesa attività di indagine sulle caratteristiche psico-sociali del fenomeno in un vasto campione di soggetti denunciati (oltre 1.000) sulle esperienze operative condotte in rete dagli agenti sotto-copertura.
Nel 2001 è stato elaborato un studio denominato O.L.D.PE.PSY. che ha toccato due filoni di ricerca:
un profilo delle caratteristiche ricorrenti del comportamento relazionale on line dei soggetti denunciati, finalizzato allo sviluppo delle tecniche investigative sulla pedofilia on line;
un programma di indagine e valutazione del rischio di abusi intrafamiliari tra i soggetti denunciati per scambio di materiale pedopornografico.
Lo studio del comportamento di una particolare categoria di criminali (i pedofili), effettuato “durante il crimine”, ha offerto molti elementi conoscitivi sulla fase antecedente all’azione e sulla fase del passaggio all’atto e tali conoscenze sono state messe a disposizione degli investigatori.
Ad oggi, presso il Servizio, è attiva l’Unità di analisi del crimine informatico, composta da tre psicologi della Polizia di Stato che offrono un ausilio sistematico per una più efficace azione di prevenzione e repressione dei reati informatici attraverso l’integrazione del sapere clinico e criminologico alle indagini e sono parte integrante dell’équipe investigativa che si occupa di combattere l’hi-tech crime.
Tale integrazione si sostanzia in un complessivo approfondimento della conoscenza dei fenomeni della devianza informatica, che diventa patrimonio conoscitivo a disposizione della Specialità.
Rilevante in tal senso è l’attività di studio e analisi sistematica dei “cyber psicologi” sui dati provenienti dall’attività di contrasto al fenomeno attraverso l’uso di avanzati programmi di raccolta e analisi.
Nell’ultimo anno l’attività dell’Unità si è concentrata maggiormente su un progetto di ricerca-intervento: il digital-profiling che, attraverso un’analisi dettagliata dei comportamenti on line, delle abitudini di navigazione, delle conversazioni in chat e social network tra autori dei reati di sfruttamento sessuale dei minori a mezzo internet, elabora modelli comportamentali e fornisce strumenti di valutazione della pericolosità sociale rispetto alla popolazione italiana di “pedofili on line”.
Infine, la particolare delicatezza delle indagini svolte nel settore della pedopornografia on line e le implicazioni di ordine emotivo che tale attività, soprattutto per il monitoraggio dei video pedofili dal contenuto maggiormente aberrante, come ad esempio gli snuff movies, comporta a carico degli investigatori, hanno indirizzato il lavoro degli psicologi di polizia sulle attività di selezione e formazione del personale, supporto e sostegno continuo degli operatori impegnati in queste attività In particolare dal 2010, l’équipe di psicologi è impegnata in una attività di studio e prevenzione dello stress lavorativo specifico che possa garantire strategie protettive maggiormente efficaci per la tutela emotiva e psicologica del personale quotidianamente impegnato nel contrasto alla pedofilia on line.
5. Il contributo degli psicologi di polizia per gli organismi interforze
L’attività degli psicologi di polizia per i collaboratori di giustizia e le loro famiglie
La storia di tutte le persone che entrano a far parte del sistema di protezione di giustizia è sempre uguale e sempre diversa: la vita di ognuno di loro è divisa dallo stesso muro divisorio del prima e del dopo anche se profondamente diversi sono i motivi che hanno sostenuto la decisione di collaborare con la giustizia. Per alcuni è stato il caso che, in un giorno qualsiasi del loro vivere quotidiano, li ha resi testimoni di un fatto grave e ha cambiato la loro vita; per altri cambiare vita è stata l’unica via per fermare un quotidiano non più sostenibile. La protezione dello Stato per tutti erige un muro senza porte nel passato, un’arca di Noè che li salva lasciando le cime dei legami sociali, culturali e affettivi nella terra di ieri.
L’approdo è in un’altra storia di vita, in un’altra terra, in un’altra identità.
Per alcuni il passato sorveglia il presente con la paura o con l’insidia del dubbio di una scelta; per altri, significa la solitudine nostalgica dei profughi.
Il cammino di adattamento e integrazione, al di là del muro che ha spezzato irrevocabilmente la loro storia di vita tra passato e futuro, è un percorso in cui è facile perdere sé stessi.
Compito degli psicologi di polizia è quello di accompagnare questo viaggio nel dopo, sostenendo la morsa della paura e della rabbia, la stretta di una memoria di sé cieca e muta agli altri perché il futuro possa essere uno specchio nel quale riconoscersi.
L’intervento degli psicologi di polizia per la Dcsa
Indossare i panni di un criminale significa ingessare la paura nel coraggio di una missione davvero ardua. Muoversi dentro quest’abito con l’abilità di non farsi riconoscere contiene il pericolo di non riconoscere sé stessi.
L’attività richiesta agli operatori con funzioni undercover è tra le più articolate e complesse nel panorama delle operazioni di natura investigativa.
Pericolo e percezione del rischio non sono legati solo a fattori di ordine empirico esterno, ma soprattutto a componenti di natura intrapsichica e di funzionamento sociale. L’isolamento relazionale e affettivo durante le missioni undercover, la frequentazione assidua per lunghi periodi con esponenti della malavita organizzata o l’esposizione prolungata a modelli valoriali in contrasto con i propri e la necessità di aderire alla propria identità fittizia, possono facilitare processi di disintegrazione e frammentazione della propria identità e della propria storia reale.
Per questa ragione l’offerta formativa, strettamente legata alla selezione e all’attività di osservazione e studio delle operazioni, è stata costruita su moduli specifici per grado di esperienza.
Gli psicologi lavorano con metodologie di approccio esperienziale sulle problematiche psichiche emergenti coinvolte nella gestione della identità di “copertura” e dei processi legati allo “slittamento” del senso di identità; sui processi di identificazione e di coinvolgimento emotivo con il target; sulla gestione della paura e dell’isolamento.
L’impegno è quello di garantire, attraverso tecniche e strategie misurate sui bisogni, a vari livelli di esperienze nella funzione, l’acquisizione di modelli di protezione psichica dai fattori di rischio.
6. Un modello di intervento per la prevenzione della vittimizzazione secondaria
Chi subisce una violenza sperimenta una serie di emozioni legate non solo al dolore delle ferite fisiche o al danno materiale. Il senso dell’integrità fisica violata può attivare rabbia, impotenza, umiliazione, vergogna. La richiesta di giustizia passa attraverso le porte degli uffici delle questure e dei tribunali, in cui quello che è accaduto, anche se è di drammatica evidenza va provato e anche se è di indicibile violenza, va raccontato. Così le persone si trovano a percorrere una strada nella quale sono vittime, testimoni e accusatori. è un difficile cammino in che va accompagnato perché al dolore del reato non si aggiunga il dolore della ricerca di giustizia
Nelle questure, lì dove sono presenti, gli psicologi di polizia accompagnano e sostengono questo cammino per evitare che i salvatori delle vittime non siano percepiti essi stessi come carnefici.
7. Lo studio e la ricerca: un percorso nella direzione del futuro
La violenza, fenomeno dalle innumerevoli sfaccettature, si presenta nei suoi molteplici aspetti accucciata dentro ai più disparati angoli della nostra vita. Analizzarne il suo contenuto, verificare la sua “zona” d’ombra o di provenienza, fotografare tratti e profili degli attori che la generano o che la subiscono, comprendere le dinamiche che si intrecciano e si confondono, contribuendo così a riproporla e a rinforzarla, scoprire strategie utili a confinarla smorzando i riflettori che troppo spesso la nutrono, considerare tutte le opzioni probabili che possano facilitare il compito di chi sia deputato ad incastrarla e, possibilmente, a vanificarla, tutto questo, è pane quotidiano per chi lavora come psicologo in polizia. L’ambito della ricerca finalizzata all’analisi psicologica dei fattori di rischio dei fenomeni violenti ha visto attivo l’intervento degli psicologi in diversi contesti applicativi.
L’esperienza nell’Osservatorio nazionale
sulle manifestazioni sportive
Il contributo degli psicologi di polizia all’analisi del fenomeno della violenza negli stadi, rappresenta uno di quei contesti che negli ultimi anni ha consolidato la partnership tra psicologia ed esperti di settore del ruolo ordinario.
L’attività di ricerca psicologica per l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive è stata avviata nel 2007, anno della morte dell’ispettore Filippo Raciti e prodotto due diverse tipologie di progetti: il primo orientato al fenomeno dello studio della violenza negli stadi e alla sua percezione da parte dei giovani, l’altro, più recente, focalizzato sui processi di cambiamento del fenomeno stesso. La prima ricerca ha condotto un’indagine su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo 1.704 studenti degli istituti superiori. Era orientata a comprendere quali fossero le componenti dinamiche tra i vari attori, i fattori di rischio, la rappresentazione percettiva degli eventi, dei comportamenti pro-sociali, e dei comportamenti antisociali e quindi aggressivi e del disimpegno morale che sovente accompagna tali comportamenti.
La seconda ricerca, intitolata “C’era una volta l’ultrà” era finalizzata alla creazione di nuove strategie di prevenzione mirate e rappresenta un lavoro di indagine psico-sociale condotto per l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive da psicologi di polizia e dalla cattedra della facoltà di psicologia della Università di Roma “La Sapienza” e la facoltà di sociologia della “Link Campus” di Roma. È stata la prima ricerca che ha ascoltato la voce dei Reparti mobili: 1.020 ragazzi dei Reparti sparsi su tutto il territorio nazionale sono stati ascoltati su alcuni aspetti specifici e soprattutto sulla percezione che loro avessero del mutamento, del cambiamento di questo fenomeno della violenza. Volevamo verificare quanto e come le mutazioni culturali, organizzative e normative avessero agito sui sistemi rappresentativi degli operatori di reparto. Attualmente, la collaborazione attiva degli psicologi di polizia in questo ambito prosegue, con progetti mirati, nati dall’esigenza di ampliare sempre più la visuale necessaria ad implementare le strategie di contrasto e prevenzione della violenza negli stadi, analizzando in modo capillare gli elementi su cui intervenire. Con la profonda convinzione che la lettura psicologica del fenomeno possa fornire, anche in futuro, importanti suggerimenti per una sempre più ampia ed esaustiva strategia da …mettere in “campo”.
Un’ulteriore qualificata presenza di psicologi di polizia ha contribuito alla realizzazione di progetti di ricerca e formazione ad ampio respiro: iniziative innovative e che hanno consentito opportunità di rinnovamento e collaborazione condivise anche con altre realtà europee. A titolo di esempio è doveroso citare l’impegno profuso da alcuni psicologi di polizia coinvolti attivamente in alcune fasi del progetto AViCri (Attention for Victims of Crime Daphne Programme II 2004-2008), nato dalla collaborazione fra il ministero dell’Interno-Dipartimento della pubblica sicurezza, Università di Roma “La Sapienza”, la Regione Lazio e l’Associazione “Differenza donna”. Obiettivo specifico la creazione e l’elaborazione di pacchetti educativi necessari alla formazione del personale interforze addetto all’accoglienza delle vittime del crimine.
Più di recente gli psicologi hanno offerto un prezioso contributo al progetto di ricerca MuTAVi, durato due anni, co-finanziato dalla Commissione europea, Direzione generale giustizia, nell’ambito del programma Daphne III, nato dal lavoro sinergico di Polizia di Stato, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza, Università di Roma “La Sapienza”, Regione Lazio, Imed-Istituto per il Mediterraneo di Roma, polizia inglese e tedesca. È dedicato alla prevenzione e alla lotta contro la violenza nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne e per proteggere le vittime ed i gruppi a rischio e si dipana attraverso strumenti di formazione per operatori addetti al settore, in grado di attivare capacità di ascolto e empatia, finalizzati all’acquisizione di strategie utili alle vittime per il recupero e la ricostruzione di una vita “normale”.
* direttore del centro psicotecnico, primo dirigente tecnico psicologo
** direttore tecnico capo psicologo - Centro psicotecnico
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