a cura di Michele Grillo, Salvatore F. Giannone, Ida Bonagura e Silvia La Selva

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L'agente sottocopertura: legislazione e formazione

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[Prima parte]

Premessa
Il nostro vigente Codice Rocco prevede tra le cause di non punibilità (cause di giustificazione) quella di cui all’art. 51 in virtù del quale non è punibile chi abbia commesso il reato nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità. La norma de qua, per costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, scrimina le condotte dell’agente provocatore solo se l’intervento di quest’ultimo sia indiretto e marginale nell’ideazione e nella esecuzione del fatto, se cioè costituisca prevalentemente attività di controllo, di osservazione e di contenimento dell’altrui illecita condotta.
Di conseguenza, è punibile l’agente a titolo di concorso nel reato se, invece, la condotta si inserisca con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato, nel senso che l’evento delittuoso sia riferibile anche alla condotta dell’agente provocatore (Corte di Cassazione, sent. 14 gennaio 2008, n. 10695).
Nel 1990 il legislatore nazionale, recependo la direttiva della Convenzione di Vienna sulla necessità di prevedere nell’ordinamento giuridico interno le consegne sorvegliate e le consegne controllate per il contrasto al traffico di stupefacenti, aveva inserito nel TU delle leggi in materia di stupefacenti (dpr n. 309/1990) il ritardo od omissione di atti (di cattura, di arresto o di sequestro, art. 98) e l’acquisto simulato di droga (art. 97).
Oltre l’Italia, anche altri Paesi europei avevano adeguato la loro legislazione alla suddetta esigenza, prevedendo la possibilità di intervento dell’agente provocatore in forme e con modalità diverse ed anche per indagini riguardanti settori diversi da quello del traffico di stupefacenti. Peraltro, è da osservare che il nostro giudice di legittimità, aderendo a quanto più volte la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva avuto occasione di affermare, con una recente decisione del 28 maggio 2008, n. 38488, ha distinto la figura dell’agente infiltrato da quella dell’agente provocatore in senso stretto ed ha affermato che le cause di giustificazione speciali che disciplinano le attività sotto copertura scriminano solo le condotte espressamente dichiarate non punibili, con esclusione dell’attività di provocazione vera e propria, di quella cioè che si concretizzi in un incitamento o in una induzione al crimine del soggetto indagato, che non perde il suo carattere illecito perché diversa da quella dichiarata non punibile.

1. L’attività sottocopertura in Europa
Sotto il profilo internazionale, l’istituto delle operazioni sottocopertura presenta una serie di problematiche comuni a più ordinamenti: dai modelli processuali differenti e lontani dei sistemi di common law, caratterizzati dal maggior credito accordato dal legislatore all’esigenza di difesa sociale, ai Paesi continentali, ove ci si deve raffrontare con rigorosi vincoli costituzionali che impongono, innanzitutto, il rispetto del principio di legalità nello svolgimento delle funzioni amministrative e giurisdizionali (civil law). Non è un caso allora che siano state proprio le indagini relative ai reati di criminalità organizzata – da sempre settore di strappi eccezionali ed emergenziali alle ordinarie regole – la sede naturale di verifica delle più marcate tendenze in materia di operazioni undercover.
Come dire, che ad alimentare questo fenomeno d’innovazione normativa è stata la convinzione, progressivamente raggiunta, che esistono dimensioni criminali in relazione alle quali la ricerca della prova esige la penetrazione informativa in strutture organizzate altrimenti impermeabili: da questo punto di vista, il credito legislativo alle operazioni d’infiltrazione cresce parallelamente a quello delle istanze di tutela e di premio per le condotte di collaborazione processuale.
Per di più, può dirsi che mentre il sistema premiale e oggi oggetto di profonde riflessioni e tentativi di ridimensionamento dell’area di operatività della protezione, in ragione di evidenti distorsioni e abusi perpetratisi nella prassi applicativa, lo strumento dell’indagine sottocopertura tende a estendersi anche in aree non necessariamente governate da strutture criminali organizzate, ma caratterizzate dalla particolare complessità dell’accertamento e dalle esigenze di repressione connesse all’allarme sociale che ne deriva.
Si tratta di un’evoluzione che accomuna i Paesi europei, per cui appare utile verificare le scelte legislative intraprese negli altri stati continentali in ragione anche della sempre crescente esigenza di strumenti investigativi comuni idonei a reprimere le gravi forme di criminalità transnazionale.

1.1 La Svizzera
La Svizzera dispone di una legislazione specifica con caratteristiche tali da poter essere considerata un modello di bilanciamento tra efficienza ed efficacia dell’attività svolta sotto copertura e garanzie per le persone che vi partecipano e per l’imputato.
La prima normativa è la legge 20 marzo 1975, che ha modificato la legge Betäubungsmittelgesetz del 3 ottobre 1951 e che introduce una scriminante speciale per il funzionario di polizia che “a scopo investigativo accetta in prima persona, o attraverso altri, un’offerta di stupefacenti, ovvero riceve personalmente o attraverso un’altra persona delle sostanze stupefacenti”.
Nel 2003 è stata emanata una legge federale sull’inchiesta mascherata, finalizzata ad infiltrare negli ambienti criminali membri della polizia non riconoscibili come tali e a contribuire al chiarimento di reati particolarmente gravi.
Due i principi generali contenuti nella legge testé citata: uno che prescrive una serie di misure per proteggere l’integrità e l’identità dell’agente infiltrato, mentre l’altro principio generale prevede che la forma e i mezzi utilizzati devono raggiungere lo scopo di accertare i fatti, ma nel contempo garantire il diritto delle persone interessate ad un processo equo, con una serie di prescrizioni a garanzia della legittimità dell’attività undercover.
La legge federale svizzera indica i reati definiti gravi per i quali è consentita tale attività e, inoltre, quali soggetti siano abilitati a compierla, prevedendo la possibilità per la polizia di assumere a titolo provvisorio persone cui sia consentito di svolgerla, pur se prive di specifica formazione professionale.
È prevista la possibilità di assegnare ai soggetti che operano undercover una fittizia identità che viene mantenuta anche nell’ambito del procedimento giudiziario nel quale gli operatori sono chiamati a deporre (come nella legislazione tedesca e, dal 2010, anche in quella italiana).
Sono disciplinati anche i rapporti tra autorità giudiziaria e polizia, distinguendosi tra attività sotto copertura preventiva, cioè avviata ad iniziativa della polizia, e quella disposta nel corso di un procedimento penale. Nell’attività undercover preventiva l’intervento dell’ag è previsto solo quando il rapporto dell’infiltrato riferisca dell’accertamento di un crimine o di un delitto e in tal caso l’Ufficio di polizia presenta una denuncia all’autorità competente; invece, nel secondo caso è dettagliatamente disciplinato l’onere di informativa da parte della polizia all’ag sull’andamento delle operazioni undercover ed è previsto che al termine di esse, l’ag che ha ordinato l’indagine sottocopertura ne informi l’imputato (l’ag può differire la comunicazione o rinunciarvi se possa arrecare grave pregiudizio all’agente infiltrato o esponga a serio pericolo terze persone o sia indispensabile non darne notizia a tutela di interessi pubblici preponderanti).

1.2 La Danimarca
In Danimarca, l’Amministration Justice Act del 1986, limitatamente a certe figure di reato, ha legalizzato la figura generale dell’agente provocatore e ne subordina l’operatività a tre condizioni. In primis è richiesta la sussistenza di un fondato sospetto che il reato stia per essere commesso o ne sia in corso il tentativo. Va da sé, l’impossibilita di attivare l’operazione undercover in virtù di una mera esigenza repressiva, poiché lo strumento si pone come mezzo per prevenire la commissione del crimine stesso. Inoltre, è richiesta l’insufficienza di altri strumenti investigativi alternativi alle operazioni sotto copertura, così da porla come vera e propria estrema ratio, oltre ad una particolare gravità dei reati per cui s’indaga, limitati a quelli per cui è prevista la reclusione non inferiore ai sei anni, ovvero ai delitti di contrabbando di particolare gravità. Successivamente si è precisato che la figura del provocatore può essere intrapresa solo da un funzionario di polizia ed esclusivamente in casi eccezionali.
L’attività dell’agente è subordinata alla decisione motivata dell’ag e, dall’inizio di essa, è necessario dare avviso al difensore, mentre, solo in casi particolari la polizia può ordinare che l’indagine rimanga segreta.
Queste prescrizioni – assenti nella disciplina italiana, ma che si devono considerare assorbite attraverso un’interpretazione adeguatrice ai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – dimostrano la sensibilità dell’ordinamento danese alle regole della fairness processuale.

1.3 La Francia
In Francia, la legge 19 dicembre 1991 n. 1264 sul rafforzamento della lotta al traffico degli stupefacenti, novellando il Code de la santé publique e il Code des douanes, ha inserito una clausola generale che esclude la punibilità degli agenti di polizia giudiziaria e degli agenti della dogana che procedono alla sorveglianza (inattiva) della produzione delle sostanze stupefacenti o delle piantagioni classificate come stupefacenti o che acquistino, detengano, trasportino o consegnino tali sostanze ovvero mettano a disposizione degli autori di reati in materia di droga, mezzi di trasporto o di comunicazione, luoghi di deposito di stoccaggio e di conservazione. Nella prima ipotesi è richiesta la previa informazione al procuratore della Repubblica o al giudice istruttore, mentre nel secondo caso e necessaria la loro autorizzazione scritta.
Nella formulazione della legge si è tenuto conto della prassi investigativa francese in materia di stupefacenti nell’ambito della quale sono stati elaborati tre distinti modelli di attivita sottocopertura.
In prima analisi, vi sono le livraisons surveillées, consistenti nell’attività puramente passiva degli agenti doganali o di polizia giudiziaria che si limitano a seguire e documentare, senza intervenire, le transazioni illecite del gruppo criminale posto sotto indagine.
Nella seconda categoria, definita livraisons controlées, vi rientrano le condotte attive dei pubblici ufficiali che intervengono nei diversi passaggi della merce (acquisto, trasporto, detenzione, vendita) anche assumendo personalmente incarichi di conservazione e di smistamento, cosi compiendo “in servizio comandato” atti costituenti reato.
L’ultimo modello di riferimento è l’infiltration che prevede l’inserimento del pubblico ufficiale nel gruppo criminale con il ruolo di trafficante nell’ambito del quale, ovviamente, l’agente infiltrato non solo deve detenere, acquistare, trasportare le sostanze stupefacenti, ma potrà essere costretto ad assumere iniziative di coordinamento o d’incentivazione dell’attività criminosa altrui.
Sia in dottrina sia in giurisprudenza è stata elaborata una nozione ristretta di agente sottocopertura, per cui non potrà mai esserlo un qualunque cittadino: deve trattarsi di un soggetto qualificato, ufficiale di polizia giudiziaria o agente di una specifica amministrazione a cui risponde del proprio operato e da cui riceve precise indicazioni sul modus operandi. La stessa dottrina, conformandosi alla giurisprudenza maggioritaria, ha dato una descrizione che permette di inquadrare con maggiore chiarezza l’ambito di operatività dell’istituto: “riguardo a certi delitti che, per varie ragioni, è difficile scoprire […] si è affermato nella polizia giudiziaria l’uso di tendere delle trappole. Un’occasione di delitto artificiosamente suscitato è un modo di arrestare chi si suppone commetta abitualmente il delitto e di consegnarlo alla giustizia”.
La provocaz

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01/01/2015