Annalisa Bucchieri

Dodici mesi da Oscar

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Dalle statuette ricevute al Calendario 2015 della Polizia di Stato, Vittorio Storaro grande maestro della luce, si racconta a Poliziamoderna

Dodici mesi da Oscar

Si chiamano Apocalypse now, Reds e L’ultimo imperatore, i tre corpi abitativi della villa di Vittorio Storaro, a ricordo degli Oscar ricevuti per la direzione fotografica di quei film-capolavori. Entriamo accompagnati da statue mitologiche quali muse ispiratrici al centro del giardino dove sorge uno studio ottagonale in legno, ideato dal maestro Ceroli, libri d’arte e di saggistica ovunque in mezzo a computer e televisori, grandi vetrate per far entrare più luce possibile. Tutto si sovrappone e si stratifica in immagini che mettono in correlazione passato, presente e futuro. Sarà questo il marchio d’autore che vedremo sul calendario 2015, affidato dalla Polizia di Stato alla visionarietà del maestro Storaro al quale abbiamo chiesto i “retroscena” della complessa ideazione che ci accompagnerà per 12 mesi.

Perché ama definirsi “visionario”, maestro Storaro?
Qualcun altro una volta mi ha chiamato così, mi è piaciuto. Uno è un visionario, in qualsiasi professione, quando vede oltre ciò che ha di fronte, quando con l’immaginazione va oltre, verso l’ignoto. Torno a ripetere una frase che ho sempre amato di Albert Einstein “l’immaginazione è più grande della conoscenza”, detta da un grande scienziato che studiava la fisica ed era legato alla necessità della verifica ha ancora più valore. Tra le tante persone che mi hanno indirizzato su questo percorso, voglio ricordare mio padre che mi ha messo sulla spalla il suo sogno. Lui proiezionista della grande società Lux-film degli Anni ‘50 mi ha spinto a essere quello che realizzava un’immagine cinematografica. Così ho studiato per 9 anni fotografia e cinematografia e ho intrapreso la mia professione. Ero felicissimo, pensavo di sapere tutto, ero un piccolo robot, poi un giorno entrando in una chiesa, San Luigi dei Francesi a Roma, ho visto delle persone che guardavano rapite La vocazione di San Matteo di un certo Caravaggio che fino ad allora ignoravo. Nel quadro Caravaggio mette un raggio che lo attraversa in diagonale e squarcia il buio come una lama, comunicandoci con un segno luminoso il discrimine tra passato e futuro, l’umanità e la divinità, l’inconscio e la piena coscienza. Lì ho capito che ero un ignorante: conoscevo la tecnica ma non le arti, ovvero l’abilità di esprimersi nella pittura, nella letteratura, nella musica.

Quindi non esiste vero cinema se non contiene le altre arti?
Se il cinema è appellato la decima musa è perché si nutre di altre nove muse. Ogni volta che ho girato un film ciò mi ha permesso di entrare in un mondo sconosciuto: nella Cina con L’ultimo imperatore, nella Russia di Pietro I per il docu-film della televisione americana, e così via. È stato meraviglioso: ogni volta una scoperta, ogni volta potevo integrare la mia conoscenza come un eterno studente. Credo che ogni film che ho fatto con Bernardo Bertolucci , con Francis Ford Coppola, con Warren Beatty, con Kurosawa mi ha permesso di sperimentare. Non l’ho mai detto a nessuno, perché mi davo sempre un atteggiamento da grande professionista. Certamente conoscevo tante cose ma altrettante le ho imparate sul campo.
Ho scoperto insieme ai filosofi greci, che la materia è formata da quattro elementi fondamentali la terra, il fuoco, l’acqua e l’aria, e solo quando sono uniti insieme in armonia formano l’energia. Esattamente come Isaac Newton scopre che la luce bianca è formata da sette colori, il rosso, l’arancio, il giallo, il verde, il blu, l’indaco e il violetto. E lì ho capito che tutti i momenti della mia vita, tutte le mie conoscenze, tutto me stesso era fatto di tanti granelli e che soltanto cercando un equilibrio tra gli elementi opposti avrei trovato chi era Vittorio Storaro... sono ancora in cammino.

Secondo lei si potrebbe insegnare molto di più la cultura umanistica e il dialogo fra le arti anche nelle scuole di cinematografia e di fotografia?
Assolutamente sì. Nei tanti seminari che tengo in tutto il mondo in istituti e accademie noto che insegnano soltanto la tecnica. Questa è stata la ragione per cui insieme a Gabriele Lucci abbiamo fondato l’Accademia delle immagini all’Aquila, perché volevamo insegnare anche la conoscenza delle arti, quindi della letteratura, dell’architettura, della pittura e della musica. Perché in realtà il cinema è arte multipla non singola. Noi abbiamo bisogno di armonizzare tutta una serie di competenze che vengono guidate da un unico regista esattamente come un direttore d’orchestra fa con i suoi strumentisti. Oltre a dover conoscere le varie arti quindi bisogna essere abili nell’esprimersi e riconoscere anche chi ci ha preceduto. Oggi sono riuscito a realizzare uno stile di grande classicità, una struttura epica sia grazie a grandi registi, collaboratori, insegnanti che ho incontrato nella mia vita sia a chi mi ha preceduto, cioè tutti i grandi autori della fotografia cinematografica che, dal primo film realizzato a fine ’800 fino ad oggi, attraverso le loro immagini mi hanno ispirato, educato ed emozionato.
Per questo debito verso il passato abbiamo pubblicato insieme a Luciano Flori, che è un caro amico e collega, e a due scrittori, uno americano Bob Fisher e uno italiano, Lorenzo Codelli, il libro L’Arte della Cinematografia che raccoglie i profili di 150 autori che secondo noi hanno fatto i più grandi capolavori della storia del grande schermo. Non siamo storici, non siamo critici, ma siamo delle persone che hanno tentato di esprimersi tramite la luce e abbiamo fatto un omaggio a chi ci ha aiutato. È una panoramica su un secolo di cinema visto attraverso gli occhi di chi l’ha illuminato. Perché ai giovani bisogna insegnare che tramite la conoscenza del passato possiamo capire meglio il nostro presente e, forse, prevedere quale sarà il nostro futuro.

I momenti più felici della sua carriera coincidono con l’Oscar?
Non si dovrebbe pensare mai “se faccio bene questo lavoro sarò premiato”, è un grande errore e credo che in genere le persone oneste pensano solo a realizzare bene un’opera e mai al riconoscimento, che quando arriva – inutile negarlo – ci gratifica enormemente. Ricevere l’Oscar per me significa che i circa 6.000 membri dell’Accademia delle Arti e delle Scienze di Los Angeles hanno visto il nostro film e ne hanno percepito il valore. Ecco, quella è una grande soddisfazione: il fatto di essere stato in grado di trasmettere un concetto, un’idea che qualcuno ha voluto valorizzare. Quello è il punto di gratificazione che si raggiunge tramite l’Oscar, che come tutti i premi è un simbolo.
A prescindere dagli Oscar, i momenti più emozionanti sono stati quelli in cui la mia creatività è entrata in gioco trovando l’idea nuova, insolita, suggestiva. Ecco, in quei frangenti, quando la ricerca artistica è febbrile e trova la risposta, tutte le nostre conoscenze e competenze sembrano finalmente trovare l’espressione giusta: sono momenti magici. Confesso che anche la paura, il timore di non farcela, mi procura una grande emozione. Ancora oggi ad ogni nuovo film, ne ho fatti circa 60, provo apprensione e mi chiedo se sarò in grado di farlo come credo che vada fatto. Nonostante l’esperienza, l’emozione del primo giorno di ripresa è uguale al primo giorno del primo film. Questo vuol dire che c’è ancora l’emozione della scoperta, lo spirito di Ulisse di non fermarsi mai a ciò che si conosce ma di scoprire sempre lo sconosciuto.
Tra le scoperte più misteriose c’è quella che pertiene al subconscio e al superconscio, cioè quando riusciamo ad andare oltre la coscienza del presente e vedere ciò che normalmente non vediamo, fino ad avere anche delle visioni.

L’elemento della romanità sia mitologica che filosofica è molto presente nel calendario, lo sostiene come una spina dorsale. Perché questa scelta?
Quando mi è stato chiesto di realizzare il Calendario della Polizia di Stato mi sono fatto tante domande. Ho voluto conoscere meglio il palazzo del Viminale, il Museo delle auto storiche, visitare le sedi dei vari reparti, la Scuola di polizia, nonché visionare i calendari che erano stati fatti precedentemente. Attraverso quest’ultimi ho capito che le immagini e i messaggi erano tutti basati sull’attualità dell’anno a cui erano dedicati. La comunicazione di ciò che è la Polizia di Stato è stata sempre molto basata sul presente. Mentre guardando le opere realizzate per il Dipartimento della pubblica sicurezza da un grande artista, Mario Ceroli, tra l’altro mio grandissimo amico, ho notato che riusciva a distinguersi riferendosi alla grande civiltà antica greco-romana e rinascimentale che è la struttura portante della cultura italiana. Credo che noi siamo oggi il risultato di tutto ciò che ci ha preceduto. Quindi mi è sembrato che fosse più nelle mie corde tentare di esprimere attraverso dodici immagini che poi sono diventate sedici, completate con alcuni appunti, quello che era il percorso storico della Polizia di Stato. Da dove era partito per capire il suo presente e avere una pre-visione del suo futuro.
Inoltre, proprio ispirandomi alle opere del maestro scultore Ceroli, sono partito dal significato latino della parola “arte”, cioè abilità. Ho pensato: quali sono le abilità della Polizia di Stato, dei vari reparti e specialità? L’arte di agire prontamente, di proteggere, di prevenire, di indagare e così via. Per cui ho cercato di “creare” immagini complesse che esprimessero le varie abilità. Naturalmente essendo immagini dal valore simbolico ho attinto dalle origini, dalla mitologia, dall’epica. Cioè dal tempo in cui queste abilità hanno avuto origine nel pensiero occidentale.
Per il servizio sanitario sono partito da Asclepio che era la divinità greca venuta a Roma che ha fondato la sua attività ospedaliera nell’Isola Tiberina, per la polizia giudiziaria sono partito invece da un grande dipinto di Maccari che è proprio nella sede del Senato che ritrae Cicerone quando accusa Catilina di voler sovvertire l’ordine repubblicano.

Lei ha ritenuto opportuno accompagnare le immagini con didascalie. Perché?
Non mi sono voluto fermare all’origine simbolica delle abilità ma ho cercato anche l’origine dei nomi che designano i nostri mesi e che danno ritmo al nostro tempo. Gennaio, marzo, giugno, ma che significato hanno? Allora sono andato a vedere da dove nascono questi nomi. Gennaio viene da Giano la divinità del divenire che apre le sue porte agli eventi iniziali, Giugno viene da Giunone, Marzo viene da Marte, ognuno aveva un precedente, che mi sembrava bello poter citare, perché noi tutti abbiamo un calendario per poter capire cosa facciamo il venerdì o il sabato o l’11 o il 13 e poi in genere, quando finisce l’anno, lo buttiamo via. Oserei dire che il Calendario 2015 della Polizia di Stato è come un libro, che si può collezionare perché ci sono immagini e scritte che non scadono con l’anno. L’ho concepito pensando al piacere di conservarlo che potrà avere chi lo acquista.
Per esempio l’ultima pagina che ho voluto aggiungere dopo dicembre contiene molte frasi di filosofi e poeti e ha un bellissimo titolo che appartiene alla Polizia di Stato “Esserci sempre”: ho abbinato lo scritto all’immagine del Sacrario dei caduti alla Scuola superiore a Roma (opera di Ceroli), omaggio a ciò che la Polizia di Stato ha pagato nel corso della sua storia in termini di vite umane. Al simbolo del sacrificio ho sovrapposto l’immagine della rinascita, il simbolo della pantera. Non soltanto c’è il rispetto del passato ma anche la presenza pronta e tempestiva dell’agire, del difendere le persone.

Perciò è un po’ restrittivo parlare di “immagini” del calendario perché ogni mese è in realtà un “racconto visivo”, come si conviene a uno come Lei che fa cinema...
I quadri che ho creato per ogni mese sono il risultato di immagini stratificate: ci sono strati dal passato fino al presente e al futuro, oltre a sovrapposizioni e dissolvenze che sono tipiche della mia tecnica. È giusto parlare di una stratificazione del tempo, cioè queste immagini raccontano un viaggio dalle radici verso il futuro e anche una creazione di nessi fra le varie arti e pensieri... Il tentativo è stato di ampliare la percezione immediata delle immagini nonché la percezione dello scorrere del tempo... Del resto io non sono un fotografo e quindi riesco a vedere solo le immagini “in movimento”.

C’è un’abilità tra le dodici illustrate che reputa più significativa?
Sicuramente “la prevenzione”, cioè la capacità che la polizia ha di essere presente non solamente quando il delitto è già avvenuto o lo scontro è già in atto, ma prima, in una fase socio-educativa e di creazione di una cultura della legalità e della sicurezza.
Mi auguro che il Calendario 2015 aiuti a far conoscere meglio e diffondere queste importanti abilità e capacità sia all’interno della polizia stessa che tra la cittadinanza.

L’elemento simbolico nel calendario è predominante. Lei crede che i simboli nella Polizia di Stato servano ancora e che vadano usati per l’aspetto identitario?
Credo che non a caso esistano da sempre. Una volta creato un simbolo rimane eterno. Perché se io vedo il disegno astratto della pantera, penso subito alla prontezza e alla tempestività della Polizia di Stato. Non c’è verso che si possa sbagliare. Ci si esprime per simboli, si sogna per simboli. Me lo ha insegnato il regista Bernardo Bertolucci, il quale ha fatto tanti anni di psicoanalisi. Lui nel lavoro non si esprimeva mai in un modo diretto, esplicito, didascalico, ma sottolineava, suggeriva, ampliava i concetti. Lavorando con lui ho imparato anche io a fare un uso simbolico e psicologico dell’illuminazione, giocando molto sui binomi luce uguale conoscenza, ombra uguale inconscio.

In questa filosofia estetica che dà importanza ai simboli come al passato rientra anche la scelta di utilizzare il vecchio logo della Polizia di Stato?
A dire la verità, all’inizio usavo in un modo un po’ immediato, emotivo queste immagini fotografate alla Scuola superiore e nei vari reparti o che avevo visto sulla vostra rivista. Poi, mettendole insieme è venuta fuori l’idea del percorso storico e di cambiamenti che la Polizia ha intrapreso per arrivare oggi ad essere ciò che è. Quindi anche i simboli nati anni prima non vanno dimenticati perché fanno parte delle nostre radici e della nostra storia. Qualcuno potrebbe rimanere sorpreso di trovare nel Calendario un simbolo che non è più quello di oggi, ma un simbolo di dieci anni fa è come un’auto del museo che ha fatto la storia del pronto intervento ed è l’antesignana della volante attuale. Proprio questo “essere nel tempo” è importante. Ho usato anche spesso un tipo di figura del poliziotto, con un certo basco e profilo, forse ne ho fatto uso in eccesso, però ciò mostrava e dimostrava che non era indispensabile essere così specifici rappresentando il berretto o la divisa di una specialità o l’appartenenza allo specifico posto ma che le figure dei poliziotti, le divise, sono presenti nel tempo dall’inizio ad oggi. Esserci sempre, come dice il vostro claim… questa è la cosa fondamentale.

01/11/2014