di Anacleto Flori

Irresistibile Gigi

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50 anni di spettacolo e non sentirli. Gigi Proietti, di nuovo protagonista di una fiction su Rai 1, in onda dal 27 Ottobre, parla del suo lavoro e del sogno nel cassetto di girare un film tutto suo

Irresistibile Gigi

Tutto quello che un artista potrebbe fare nel mondo dello spettacolo, lui l’ha fatto e l’ha fatto da vero istrione. Attore, regista, cantante, ballerino e doppiatore, da 50 anni Gigi Proietti conquista il pubblico di ogni età con i suoi personaggi e i suoi spettacoli teatrali. Poliziamoderna lo ha incontrato alla vigilia della messa in onda su Rai 1 della fiction Una pallottola nel cuore che lo vede nei panni di un anziano ma sempre agguerrito giornalista impegnato a fare luce su vecchi casi di cronaca nera.
Con il maresciallo Rocca prima, l’avvocato Porta poi e ora con il giornalista di cronaca nera Bruno Palmieri si può dire che hai affrontato il crimine sotto ogni punto di vista. Ma che personaggio è questo Palmieri?
Bruno Palmieri è un cronista che nel corso della sua lunga carriera ha seguito centinaia di casi criminali. Anche ora, sebbene sia alle soglie della pensione, gli capita di appassionarsi a qualche delitto che presenta dei lati oscuri . E allora ecco che, assieme alla sua giovane collega (Francesca Inaudi) e al fedele fotografo del giornale (Marco Marzocca), si mette a indagare per conto suo, lasciandosi guidare dal fiuto del vecchio giornalista. È soprattutto l’amore per la verità che lo spinge a mettersi in gioco, nonostante gli acciacchi. Nel primo episodio che abbiamo girato, ad esempio, Bruno si intestardisce a riaprire il caso di un uomo che pur dichiarandosi innocente, ha scontato quasi vent’anni di carcere per l’omicidio della moglie. E in effetti... ma non diciamo come va a finire altrimenti che gusto c’è...
Parlando di acciacchi, il tuo personaggio, come suggerisce il titolo della fiction, continua il suo lavoro al giornale nonostante abbia una pallottola piantata a un soffio dal cuore…Cosa gli è successo?
La pallottola è il ricordo di un attentato di cui è stato vittima anni prima. Forse qualcuno a cui ha pestato i piedi o qualche criminale infastidito dalle sue inchieste e dai suoi articoli. Però, nonostante le indagini, non si è mai saputo chi sia stato a sparargli e visto che sarebbe troppo rischioso tentare di estrarre il proiettile, Bruno si è rassegnato a portare con sé quel pericoloso ricordino... Per questo il figlio, che è anche il suo cardiologo, gli impone una dieta ferrea fatta di piatti in bianco e minestrine, e così lui che è un vero e proprio “amatricianologo” non appena può si abbuffa di nascosto.
Allora oltre ai colpevoli da smascherare c’è anche spazio per qualche risata?
Come spesso accade in questo tipo di fiction, accanto alla parte più drammatica e seria c’è n’è una più leggera e divertente. C’è il giallo ma anche la commedia e quindi l’aspetto umano. Sono gli stessi ingredienti che hanno decretato il successo del maresciallo Rocca, del quale veniva raccontato l’aspetto di uomo delle forze dell’ordine, ma che poi veniva seguito anche fuori della caserma per raccontarne la vita tutti i giorni, quella cioè di un uomo come tanti altri, con gli stessi problemi familiari e affettivi che abbiamo più o meno tutti quanti.
Per quasi 10 anni, dal 1996 al 2005, hai vestito i panni del maresciallo Rocca. Nonostante il grandisssimo successo non hai avuto paura di restare prigioniero del personaggio?
No, per niente, anzi sarei pronto a interpretarlo ancora, perché l’ho fatto divertendomi molto. Sul set c’era un’atmosfera rilassata, poi strada facendo c’è stata via via sempre più attenzione nel “girare” i vari episodi perché ci siamo resi conto della responsabilità che ci stavamo assumendo andando in onda con un programma che faceva oltre 15 milioni di spettatori a puntata. Sono grato al maresciallo Rocca perché è stato un grande successo, però non ho mai avuto il problema della cosiddetta “identificazione”. Il boom di un personaggio in effetti può condizionare la carriera di un giovane attore che muove i primi passi nel mondo dello spettacolo, io grazie al cielo ho interpretato Rocca in un momento della carriera in cui ero già conosciuto da tutti...
Oddio grazie al cielo mica tanto, perché questo significa che ero già vecchio allora...
Conosciuto da tutti anche grazie al successo straordinario di A me occhi please. Ti senti un po’ il capostipite di tutti quanti gli altri “one man show”?
A me gli occhi please è stata una novità assoluta, e forse neanche in seguito c’è più stato uno spettacolo come quello. Aveva alle spalle una motivazione e una ricerca linguistica davvero particolari: mettere a confronto vari stili e diversi moduli espressivi teatrali, presentandoli tutti insieme senza soluzione di continuità. Con l’ulteriore e importante novità dell’andare in scena in un posto creato dal nulla, come il teatro tenda di piazza Mancini a Roma: nelle tende c’erano sempre stati i circhi, ma non i teatri. Soltanto Gassman vent’anni prima aveva tentato un esperimento simile mettendo in scena l’Adelchi in un tenda talmente gigantesca che decisero di non proseguire gli spettacoli a causa dei costi elevatissimi. Anche con A me gli occhi please abbiamo dovuto affrontare enormi difficoltà logistiche, basti pensare alla necessità di riscaldare uno spazio così dispersivo o al fatto che sotto i miei piedi non c’erano assi di legno o altre pedane, recitavo praticamente sull’asfalto... Però è stata un’avventura meravigliosa.
Cosa è cambiato nel tuo modo di fare teatro?
Anche oggi i miei spettacoli sono più o meno così: c’è la stessa ricerca, lo stesso impegno, la stessa voglia di dare al pubblico uno spettacolo da ricordare. Magari mi capita di aggiungere qua e là qualche attore, per lo più ex studenti del mio laboratorio teatrale.
Un laboratorio teatrale che ha rappresentato un’altra novità per il teatro italiano, ma soprattutto un investimento sui giovani talenti. E poi come è andata a finire?
Anche in questo siamo stati dei pionieri. Si trattava di un laboratorio regionale e l’abbiamo tenuto in piedi per 16 anni. A un certo punto mi sarebbe piaciuto farlo diventare pubblico, cioè trasformarlo in una sorta di scuola gratuita per i giovani studenti. E invece la Regione lo chiuse senza un vero motivo. Mi piacerebbe rifarlo, ma non ci sono più le condizioni per ripetere quell’esperienza; non è più il tempo delle cantine e degli scantinati pieni d’umidità, ci vorrebbero degli spazi pubblici idonei, ma oggi è tutto in mano al privato e allora...Nuovi spazi teatrali non ce ne sono e molti di quelli vecchi chiudono o sono in crisi come il Valle o l’Eliseo. Cosa servirebbe al teatro italiano per uscire da questo momento di difficoltà?
Quest’anno faccio 50 anni di teatro ed è da quando ho iniziato a recitare che sento parlare di crisi e di cosa fare per risollevare le sorti del teatro italiano. Qualche idea al riguardo ce l’avrei, ma siccome sono sempre stato un cane sciolto, molto più sciolto che cane (e abbozza uno dei suoi famosi sorrisi, ndr), alla fine mi sono limitato a curare gli interessi di singole realtà teatrali. Il fatto è che gestire un teatro ha dei costi altissimi: io a Roma ho aperto 3 teatri e vi assicuro che non è affatto una cosa semplice. È più facile aprire una farmacia, almeno con le farmacie si guadagna. Comunque una possibile via d’uscita potrebbe essere rappresentata da una sinergia pubblico-privato in grado di sostenere e finanziare progetti di qualità, una gestione mista regolata da norme certe. Solo che a noi italiani le regole stanno sempre un po’ strette. Ci piacciono solo quelle che devono rispettare gli altri, se invece si tratta di noi...
A proposito di norme e regole da rispettare, come cittadino qual è la tua percezione di sicurezza?
Non frequentando più la città come una volta non so bene come sia la situazione, però posso raccontare quello che succede a casa mia: da quando ci abito sono già alla 5^ visita da parte dei ladri.
Roma, ormai, ha le caratteristiche della grande metropoli con tutti i problemi che questo comporta. Sul teatro posso dire la mia, ma sulla sicurezza non è facile dare giudizi o consigli. È vero che ho fatto il maresciallo per tanti anni ma quello era finto, non conta…
Cinema, radio, televisione, teatro, nella tua vita d’artista hai fatto praticamente tutto tranne che dirigere un film tutto tuo per il grande schermo. Come mai questa “casella vuota”?
Hai ragione. La regia cinematografica mi manca. Un po’ di anni fa ho diretto un film che si intitolava Un nero per casa che ha avuto anche un buon successo, però era per la televisione. Invece vorrei tanto girare un film destinato alle sale cinematografiche, perché è proprio quello che mi interessa di più in questo momento.
Questo è uno scoop. Gigi Proietti sta lavorando al suo primo film da regista...
No, no (scuote la testa ridendo, ndr) ho detto solo che mi piacerebbe farlo. Per come la vedo io, ogni mestiere ha bisogno di acquisire quella routine che ti permette di essere agile e sciolto nel lavoro. A me manca l’organizzazione mentale di chi abitualmente dirige dei film. Nel mio caso mettere in piedi un film significherebbe stare fermo un anno e più. Certo, avevo diverse storie da raccontare chiuse nel cassetto, ma forse saranno un po’ invecchiate e dovrei pensarne altre. Sono storie particolari, a volte paradossali, non so se diventeranno mai dei film. Però, visto che la mia autobiografia Tutto sommato qualcosa mi ricordo pubblicata nel 2013 è andata bene e che scrivere mi diverte molto potrei sempre raccoglierle in un volume.
Magari con il titolo Potevano essere dei film.

01/10/2014