Annalisa Bucchieri

I racconti vincitori

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Un azzardo. Non si poteva definire altrimenti la scelta che facemmo quasi un anno fa di dare come tema della quarta edizione del nostro concorso Narratori in divisa il rapporto tra Polizia e universo giovanile. Il rischio era di ricevere una pletora di racconti retorici dove tutto si ricompone nel migliore dei modi, ragazzi naturalmente innocenti e vittime della società, poliziotti-eroi che li salvano dalla strada della perdizione e che li riportano sulla strada della legalità. Certamente qualcuno dei racconti porta il classico finale delle favole “e vissero felice e contenti” che fa riposare le coscienze, ma la maggior parte delle storie che ci sono pervenute (quasi trecento per sezione e da tutte le parti d’Italia in egual misura), narra di scontri generazionali, di incomprensioni tra genitori e figli, di difficoltà a dialogare, di responsabilità individuali dietro gli alibi sociali.
Sono storie che portano ferite, dove non tutti si salvano da un destino sfortunato o da errori fatali, né tra i poliziotti né tra i ragazzi, storie di luoghi dove l’esistenza è una dura contrattazione quotidiana. Però la scrittura, quando funziona, lavora come un unguento sulle ferite e le rimargina lasciando le cicatrici a vista perché passandoci sopra con le dita ci possiamo ricordare di ciò che è stato. Di questa scrittura curativa ma non anestetica né estetica sono fatti i due racconti arrivati primi in graduatoria del nostro concorso e di cui di seguito vi offriamo lettura: Due occhi azzurro cielo di Arianna Anania per la sezione juniores e Star trek e le case popolari di Wilhelm Antonio Longo per la sezione poliziotti.
Arianna ha quattordici anni, frequenta il liceo scientifico a Roma mentre Wilhelm è un sovrintendente che lavora al Servizio centrale operativo. Lei pur giovanissima è una frequentatrice assidua di parole e sta già ultimando un romanzo. Lui è quasi quarantenne e alla prima prova narattiva, per la quale però ha lavorato molto alacremente producendo versioni su versioni sempre più raffinate. In entrambi i casi gli inciampi della vita sono presenti e poco edulcorati, i dolori rimangono dolori, gli spazi inesistenti per i giovani rimangono tali, le scelte sbagliate non trovano giustificazione. Ma le possibilità di una esistenza migliore s’intravedono nel finale e dipendono molto dagli incontri giusti che si fanno nella vita, a volte tra qualcuno che veste la divisa e qualcuno che ha uno zaino pieno di libri.

DUE OCCHI AZZURRO CIELO
di Arianna Anania

Lo squillo del telefono di casa lacerò il silenzio dell’alba afosa di quel 16 luglio 2006, trafiggendo come una freccia il cuore di tutti noi, che dormivamo ormai da molte ore.
Sentii un trambusto nella camera dei miei genitori.
Mio padre si precipitò nel corridoio adiacente alle camere da letto, trascinandosi dietro una pantofola che nella fretta non era riuscito ad infilarsi completamente; la perse definitamente a metà corridoio ed entrò affannato nel soggiorno mentre mia madre spalancava la porta della camera di mio fratello. Luca non era rientrato a casa.
- Pronto - rispose mio padre, cercando di mantenere un tono composto e di tenere a bada mia madre che si agitava nel tentativo di ascoltare subito il contenuto della telefonata.
- Signor Manfredi? Sono l’ispettore capo Franco Stoppari dalla centrale di polizia di Casal Bertone... devo parlarle di suo figlio Luca.
Mio padre e mia madre si guardarono, poi gli occhi di mia madre si posarono su di me che ero sbucata dalla porta: non li avevo mai visti così terrorizzati.
- Torna a letto Vale, papà ed io dobbiamo uscire un momento.
Avevo 14 anni; era la prima volta che rimanevo da sola a casa, e quelle furono le ore più lunghe e cariche di angoscia che avessi mai trascorso nella mia breve vita. Tornai in camera e dalla finestra guardai giù per strada. I miei genitori si affrettavano verso la macchina, mio padre qualche passo avanti a mia madre, che sembrava zoppicare.
Andai verso il letto ma non mi sdraiai; non sarei mai riuscita a riprendere sonno. Mi inginocchiai e pregai, pregai stringendo fra le mani la Madonnina d’argento che avevo ricevuto alla mia prima comunione. Pregai con tutte le forze che a mio fratello Luca non fosse accaduto nulla di brutto.
Ecco, così ebbe inizio la vicenda più triste della nostra famiglia, che cancellò dalla nostra vita, come con un colpo di spugna, la possibilità di essere felici.
Quella sera Luca era uscito dopo cena. Mentre usciva, mamma gli aveva gridato dietro di non fare tardi. Si raccomandava sempre di non fare tardi, a volte aggiungeva anche “stai attento”.
Ma il più delle volte Luca non rispondeva,
neanche con un “va bene”, con nessuna parola che la rassicurasse. Le raccomandazioni di mamma a volte avevano come risposta un grugnito incomprensibile, ma molto più spesso si infrangevano sulla porta di casa ormai sbattuta uscendo, rimanendo ignorate. Alla mamma non restava che cercarlo con lo sguardo dal balcone della cucina per carpire qualcosa della vita di quel suo figlio così taciturno e difficile o per goderselo ancora per qualche attimo. Anche quella sera la scena si era ripetuta più o meno allo stesso modo di sempre. Luca era uscito, sbattendo la porta; noi tre eravamo rimasti a vedere un po’ di televisione e poi eravamo andati a dormire. Il giorno dopo saremmo partiti presto per il mare.
Quando i miei genitori entrarono nella caserma di Casal Bertone, sembravano due uccellini smarriti caduti dal nido.
Un giovane poliziotto li fece subito accomodare nell’ufficio dell’ispettore capo, mentre questi, vedendoli arrivare si avvicinò a loro con premura, come se cercasse di attenuare la dolorosa notizia che stava per dare loro.
- Vostro figlio Luca si trova in ospedale - disse poi senza alcun preambolo.... - è stato travolto da un’automobile - aggiunse subito con voce soffocata... - stava cercando di fuggire durante una retata che abbiamo eseguito questa notte per traffico di droga. Un nostro agente gli è corso dietro lungo la tangenziale e lui ha scavalcato il guard-rail ... proprio in quel momento arrivava un’automobile...il conducente non ha fatto in tempo... è in stato di coma - si fermò un attimo per ingoiare le lacrime che stavano affiorando senza ritegno - Ho un figlio anch’io, della stessa età... Vi accompagno in ospedale...
Quando uscirono era già giorno, in pochi attimi il sole si era alzato nel cielo e cominciava a riscaldare l’aria di quella che sarebbe stata una delle giornate più calde dell’estate. Entrarono tutti e tre nella macchina di servizio senza dire una parola e rimasero in silenzio per tutto l’interminabile tempo del viaggio verso l’ospedale. Anche le lacrime di mia madre scendevano silenziose.
Luca era un ragazzo di 18 anni, li aveva compiuti il 1 luglio.
Quando ne aveva 16 aveva deciso che la scuola non era esattamente quello che faceva per lui. Aveva deciso di lavorare, voleva essere indipendente, come diceva sempre. E per me indipendente lo era davvero. Faceva sempre quello che desiderava. Era bello e spiritoso, aveva cento ragazze che gli andavano dietro, ma a lui piaceva, la mia amica del cuore.
Anche a Veronica piaceva lui. Da quando Luca aveva scherzato un po’ con lei, Veronica si era innamorata e si inventava scuse di ogni tipo per venire a casa nostra. La scuola era finita da un pezzo e noi passavamo giornate intere a raccontarci i nostri sogni e a dipingerci le unghie accovacciate sul mio letto.
Anche quel pomeriggio Veronica era venuta a casa nostra. Luca si era affacciato in camera mia, dopo il sonnellino pomeridiano, era in pantaloncini e torso nudo, attaccato ad una bottiglia di coca cola ghiacciata.
- Chi ne vuole ? - aveva detto distrattamente mentre i suoi occhi si posavano su Veronica. - Vabbè ... sta in frigo...
Poi era uscito. Aveva un appuntamento per un nuovo lavoro.
- Valeeee... - urlò uscendo - dì a mamma che torno a cena.
E quella sera a cena fu l’ultima volta che lo vidi.

Durante la cena era nervoso e rispondeva male a papà che gli chiedeva come fosse andato l’appuntamento di quel pomeriggio.
- Come vuoi che sia andato? gli aveva risposto mio fratello per tagliare corto.
- Non lo so di certo, se non me lo dici, aveva risposto papà, più nervosamente di lui.
-  Di che lavoro si tratta? aveva poi aggiunto incalzando l’interro

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01/06/2014