Cristiano Morabito

Il drone con la divisa

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Multicotteri o ala fissa: un viaggio nel mondo degli aeromobili a pilotaggio remoto, con uno sguardo ai possibili impieghi per i servizi di polizia

Il drone con la divisa

Forse ai più il nome di Giuseppe Corbella non dirà nulla, ma andando a cercare più in fondo, nei meandri della Rete, si scopre che quel signore della prima metà del ventesimo secolo è diventato una delle figure di riferimento per tutti gli appassionati del “volo senza pilota”. Nel 1917 il signor Corbella, infatti, a Milano sperimentò il primo volo di un monoplano senza pilota. Certo, non è conosciuto come i fratelli Wright, però anche il suo aereo volò ma, per la prima volta, senza un pilota alla cloche.
Dunque, una sorta di vate per tutti coloro che oggi, per professione e per puro diletto, si cimentano nel pilotare quelli che in gergo aeronautico sono definiti “APR” (Aeromobili a pilotaggio remoto) o più semplicemente “droni”.
Ed è proprio nella parola “droni” che risiede un’ulteriore curiosità e per svelarla dobbiamo fare qualche passo in avanti nel tempo rispetto all’impresa di Corbella. L’origine della parola è un misto tra il militare e l’entomologico. Negli Anni ’30 la marina inglese sviluppò un bersaglio telecomandato per le esercitazioni di tiro modificando un biplano cui venne dato il nome di DH 82 “Queen Bee” (ossia “Ape Regina”). In onore al predecessore la marina statunitense costruì a sua volta un altro bersaglio automatizzato battezzandolo con il nome “Drone” (ossia “Fuco”, il maschio dell’ape regina). Un nome che si è tramandato fino ai giorni nostri e che è entrato nel lessico comune per identificare i velivoli senza pilota o, per usare un altro termine aeronautico, gli “UAV – Unmanned Air Veichle” (ossia, “velivoli privi di essere umano”).
Tornando ai giorni nostri, con la parola “drone” si identifichano i ben noti velivoli militari, come il “Predator”, utilizzati dagli americani (ma anche dall’Aeronautica militare italiana) negli ultimi raid contro il terrorismo islamico. Ma dietro il termine droni esiste un vero e proprio mondo del tutto eterogeneo composto da appassionati, professionisti, costruttori più o meno amatoriali, ingegneri, piloti, informatici, “smanettoni”, multinazionali e semplici curiosi intrigati dal poter provare il brivido del volo stando comodamente seduti in poltrona.
Ebbene sì, basta veramente poco se si vuole entrarne a far parte. Il “biglietto d’ingresso” può costare poco più di 400 euro e, se si possiede un tablet o uno smartphone con il wifi, il gioco è fatto. L’alternativa sta nell’acquisto di un kit di montaggio o, addirittura, nel fai-da-te più o meno artigianale e, di conseguenza, più o meno dispendioso economicamente: una stampante 3D, una scheda “Arduino”, un computer, capacità di programmazione e un telecomando. Ma non mancano i “creativi” che, con i pezzi di una finestra in alluminio e materiale di risulta, sono riusciti a coronare il sogno di Icaro.
Un fenomeno, dunque, che negli ultimi anni ha registrato una crescita esponenziale, sia nel campo puramente ludico, sia nelle applicazioni professionali, dalla semplice fotografia aerea alle riprese televisive, fino ad arrivare al controllo di vaste aree dall’alto e all’irrorazione selettiva delle piante in campo agricolo. La dimostrazione di questa crescita è stata l’affluenza numerosa, e forse inaspettata, al primo “Roma drone show&expo”, al quale appassionati e professionisti si sono dati appuntamento lo scorso maggio per confrontare tecnologie e discutere di norme. Sì, proprio di leggi, perché quello dell’“affollamento dei cieli” è iniziato ad essere un problema da gestire, perché un conto è il divertimento dell’aeromodellista che fa librare il suo quadricottero nel giardino di casa o in un parco, altra cosa è, invece, il professionista che con una macchina più sofisticata riesce a raggiungere altitudini ben più consistenti e che potrebbero creare più di un problema.
Per disciplinare e fare chiarezza in un ambito in cui fino a poco fa vigeva una sorta di “deregulation” è dovuto intervenire d’autorità l’Enac (Ente nazionale aviazione civile), che lo scorso 30 aprile ha diramato un regolamento proprio dedicato agli aeromobili a pilotaggio remoto (vedi box sotto): da quel giorno tutti coloro che sono in possesso di un drone, esso sia un multicottero (ossia, un mezzo più simile ad un elicottero ma con più rotori) o un’ala fissa (che ricorda la foggia di un aereo e che necessita di una pista o di una catapulta per il decollo), per farne un uso professionale, devono attenersi strettamente alle regole fissate dall’Ente, tra le quali quelle di essere in possesso di una licenza e che il drone sia certificato, senza non pochi malumori tra i “dronisti”.
Sono dunque molteplici le problematiche legate a queste particolari macchine volanti, dall’invasione degli spazi aerei alle questioni legate all’assicurazione di mezzi che, essendo di un peso abbastanza rilevante, potrebbero creare non pochi problemi a cose e persone nel caso in cui dovessero precipitare. Ma altrettanti, se non di più, sono gli ambiti in cui i droni possono essere impiegati se equipaggiati con apparecchiature di ogni genere e in grado di svolgere operazioni più o meno complesse. Tra queste, le prime che vengono in mente sono quelle in cui l’uomo potrebbe rischiare la vita: si pensi, ad esempio, al dover verificare la presenza di gas letali all’interno di una struttura. In questo caso un drone mandato in avanscoperta con a bordo un rilevatore di fumi tossici eviterebbe al vigile del fuoco di entrare in un ambiente potenzialmente pericoloso per la salute. O ancora, un drone equipaggiato con un dispositivo “ARVA” (acronimo di Apparecchio per ricerca in valanga) potrebbe sorvolare il fronte di una valanga, ancora pericoloso per i soccorritori o non sorvolabile per un normale elicottero, e rilevare la presenza o meno di persone sepolte sotto il manto nevoso. Ma ci sono ambiti in cui i droni sono già operativi da tempo, come nella fotografia aerea applicata alle indagini per scoprire da dove si sia propagato un incendio che ha distrutto una vasta area, oppure nella ricerca scientifica. Quest’ultimo è il caso legato agli scienziati dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che grazie all’aiuto di un APR, interamente costruito nei laboratori dell’Istituto con una stampante 3D, sono riusciti a prelevare campioni di terreno da un lago di fango bollente la cui analisi ha permesso di arrivare ad importanti scoperte in campo geologico (vedi box pag. 16).
Un mondo affascinante, quindi, le cui applicazioni sono molteplici e in ogni campo, anche in quello della sicurezza. Sono molti i film di fantascienza, in cui i poliziotti del futuro fanno largo uso dei droni per le proprie indagini, ma non c’è bisogno di andare fino al Tom Cruise di “Minority report” per parlare di un futuro che, anche per la polizia italiana, è quanto mai prossimo. Non è “fantapolizia” parlare di droni che potrebbero sorvolare la folla durante una manifestazione o che potrebbero controllare lunghi tratti autostradali o, ancora, andare in avanscoperta per tutelare la vita degli agenti. È infatti allo studio l’impiego di queste macchine, ma è necessario che vengano individuati gli strumenti giusti adatti al tipo di indagine che si intende svolgere e che, soprattutto, garantiscano la sicurezza e l’incolumità delle persone.
«Parlando di cose che volano – ci ha detto Saverio Urso, direttore del Servizio aereo della Polizia di Stato – vale il detto “è più sicuro ciò che è vecchio”, non come materiali ovviamente, ma di concezione. Una macchina che vola ha tutta una serie di problematiche che posso venire alla luce solo con il tempo e che nel tempo vengono studiate e risolte. E stiamo parlando di aziende che costruiscono aeromobili da sempre e che, quindi, hanno un background professionale di tutto rispetto, a differenza di imprese “familiari” che potrebbero costruire ad esempio un drone nel garage di casa. La domanda che ci si deve porre è, appunto, “quante di queste aziende hanno capacità concettuali e progettuali?”. Ricordiamoci che un drone, con le dovute differenze rispetto ad un aereo o un elicottero, è pur sempre una macchina che vola e può provocare anche danni seri alle persone e alle cose se il “pilota” ne dovesse perdere il controllo».
Infatti il regolamento Enac divide gli APR in due categorie, una al di sotto dei 25 kg e un’altra dai 25 kg in su, ciò vuol dire che in commercio ci sono macchine di dimensioni abbastanza “importanti” che possono finire in mano a piloti non particolarmente qualificati. Viene da sé che un drone anche di pochi kg che cade giù a piombo sulla testa di qualcuno può fare davvero male.
Dunque, il problema principale sembra essere quello della sicurezza: «La differenza con un aereo o un elicottero – continua Urso – è grande soprattutto perché questi ultimi sono costruiti in base al concetto della “ridondanza” dei sistemi, ossia se si dovesse verificare un’avaria ad un apparato, ce n’è un altro gemello che può permettere al velivolo di tornare a casa sano e salvo, cosa che negli attuali UAV non è ancora previsto. Ad onor del vero, bisogna dire che molte aziende si stanno adeguando, prevedendo sistemi di salvataggio, come airbag o paracadute, che possano garantire la sicurezza di chi sta a terra, anche perché l’utilizzo maggiore che si fa attualmente dei droni è soprattutto scenografico (ad esempio riprese televisive in stadi, etc) e in luoghi particolarmente affollati».
La parola chiave, dunque, sembra essere “affidabilità”: «C’è molto entusiasmo e creatività nel mondo dei dronisti – ha proseguito il direttore del Servizio aereo – che non è necessariamente un aspetto negativo, anzi è un fattore importante per lo sviluppo futuro di queste particolari macchine, ma, appunto perché il bacino degli utenti si è allargato a macchia d’olio, è necessaria una guida che monitori e regolamenti. E questo, soprattutto, a tutela di chi intende usare un drone per motivi professionali. Ma proprio per la legge dei grandi numeri, allargandosi l’utenza automaticamente cresce la probabilità che si verifichino incidenti più o meno gravi. L’esigenza, dunque, è quella di tutelare non solo chi sta a terra ma anche chi pilota un drone, soprattutto per motivi professionali, obbligandolo a stipulare un’assicurazione, così come avviene per le automobili».
Il problema principale sembra essere dovuto al fatto che i droni, quelli attuali, non sono nati in ambiente aeronautico e quindi chi li ha costruiti non ha mai avuto a che fare con le leggi che regolamentano il volo: «Si è verificato l’effetto contrario – continua Urso – di solito l’industria o il settore militare inventano, studiano e producono un qualcosa per scopi militari che poi viene in seguito prodotto per scopi civili e privati, un po’ come succede nel mondo automobilistico con le nuove tecnologie sviluppate dalla Formula 1 e poi applicate ai mezzi che girano nelle nostre città. Con i droni è stato il contrario».
I vantaggi dell’impiego di aeromobili a pilotaggio remoto nei servizi di polizia potrebbero essere molteplici e non da ultimo quello economico: «Questa potrebbe essere l’occasione per svolgere alcuni tipi di servizi che attualmente risultano essere particolarmente gravosi finanziariamente per la nostra Amministrazione, con un costo altamente ridotto – osserva Urso – proviamo ad ipotizzare la differenza di costo tra il far alzare in volo un elicottero con tre persone a bordo e il far decollare un drone. Penso che la risposta sia scontata».
Dunque, i tempi per l’acquisizione di queste macchine volanti sembrano essere maturi, ma esistendo in commercio modelli di ogni genere e per ogni scopo, la scelta deve essere ben ponderata: «Siamo in contatto con l’Enac – prosegue il direttore – da un paio d’anni per poter scegliere un tipo di drone che risponda alle nostre esigenze. La scelta si era orientata su APR a dirigibile con un pallone a “bilanciamento negativo” ossia in grado di scendere ad una velocità tale da non creare danni alle persone in caso di incidente, proprio perché macchine multicottero o ad ala fissa in caso di avaria cadono “a piombo”».
Ma, come detto, l’impiego dei droni non comporterebbe solo vantaggi dal punto di vista economico per l’Amministrazione: «Il drone – conclude il direttore del Servizio aereo – può fare soprattutto due cose: la prima estendere il numero di operatori, con un vantaggio anche sulla velocità di intervento. Infatti, non essendo i Reparti volo presenti in ogni città (ad esempio Piemonte, Valle d’Aosta o Liguria che sono servite dai reparti di Milano o Firenze), un operatore UAV di una qualsiasi questura potrebbe effettuare un primo sopralluogo con un drone, se non l’intero servizio, con un conseguente risparmio di risorse umane ed economiche. La seconda, non meno importante, l’abbattimento dei costi di gestione: i prezzi di droni che potrebbero fare al caso nostro partono dagli 800-1.000 euro, una cifra irrisoria se confrontata con le migliaia di euro del costo di una singola ora di volo di un nostro elicottero. Paradossalmente si può dire che anche perdendo un drone ad ogni missione, la nostra Amministrazione risparmierebbe rispetto al far alzare in volo un elicottero. Sono dunque convinto che valga la pena investire su questo tipo di tecnologia, ma va fatto uno studio di fattibilità approfondito, nel quale ogni specialità o reparto che volesse dotarsi di un APR per i suoi servizi, indichi il tipo di servizio per il quale potrebbe essere utile. Chiaramente andranno individuate diverse tipologie di macchine proprio in base alle diverse esigenze dei reparti. Starà a noi dei reparti volo dare il parere tecnico sulle tipologie dei velivoli da impiegare. Ad esempio per l’ordine pubblico potrebbe essere utile un multicottero, capace di volare a bassa quota e di rimanere fermo in aria per effettuare riprese durante una manifestazione. Invece, sempre ipotizzando, un drone ad ala fissa potrebbe essere utile alla Stradale per effettuare ciclicamente il controllo aereo su grandi arterie viarie. Quel che immagino è un controllo costante h24 su una strada tipo il Grande raccordo anulare di Roma con due droni programmati per restare sempre in volo a monitorare il flusso delle automobili e rilevare tempestivamente gli accadimenti. Uno degli handicap principali, ancora, per queste macchine è quello dell’autonomia di volo, soprattutto per i multicotteri, dovuta alla durata delle batterie. Però, vista la veloce evoluzione della tecnologia, ritengo che nel tempo anche questo problema verrà risolto».

 

Enac: ancora dubbi sulle regole
Il 30 aprile scorso l’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) ha emanato un regolamento riguardante l’uso professionale degli aeromobili a pilotaggio remoto, per fare ordine in quella che stava per diventare la “questione droni”. E, come tutte le volte che viene introdotta una nuova legge, c’è sempre chi resta scontento. Per saperne di più, abbiamo incontrato l’ingegner Carmine Cifaldi, direttore regolazione navigabilità dell’Enac, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Perché è stato emanato un regolamento?
Il regolamento è servito a mettere ordine in un campo in cui da tempo vigeva una deregulation e a fissarne le cosiddette “regole del gioco”, perché i droni sono aeromobili utilizzati per scopi professionali. Prima che venissero promulgate queste leggi, valevano le norme del codice della navigazione, il quale stabilisce che per accedere ad uno spazio aereo occorre essere registrati ed avere una certificazione che dimostri l’idoneità. Le regole dell’aria stabiliscono dove e come si può volare. Prima dell’entrata in vigore del regolamento si sarebbero dovute, dunque, seguire queste norme, ma obiettivamente nessuno o quasi lo faceva, rischiando una denuncia, a parte chi lo aveva fatto per “attività sperimentale”. Per svolgere attività professionale bisogna essere in possesso di una certificazione come operatore di lavoro aereo e una licenza. Il regolamento entrato in vigore da poco ha unificato, e dunque semplificato, queste procedure che prima erano particolarmente complesse.
Molti hanno criticato la complessità di queste nuove norme, difficili da interpretare, denunciandone le molte lacune.
Sorge un grande problema di natura culturale sia per la maggior parte delle persone che non proviene dal mondo aeronautico, sia per la non volontà di molti di capire che un ordine andava dato. Una legge non può essere letta in modo superficiale, ma va compresa e letta con attenzione nei minimi particolari. Comunque già stiamo già intervenendo con una circolare esplicativa che aiuti nell’applicazione e spieghi meglio ciò che la legge vuol dire. Inoltre, poiché stiamo iniziando a muovere adesso i primi passi in questo particolare ambito, siamo aperti a tutti i suggerimenti costruttivi da parte degli utenti, che possano aiutarci a migliorare le norme.

Dunque, si è cercato di tutelare chi fa un uso professionale degli APR?
Una regolamentazione serve anche alla crescita del mondo industriale in questo settore perché fissa delle regole uniche per tutti e indica la direzione in cui ci si deve muovere, altrimenti si rischia di rimanere confinati nell’ambito del semplice artigianato. Si fissano delle regole certe anche nell’acquisto di macchine che siano sicure e certificate, evitando di comprare kit di assemblaggio di dubbia provenienza. Un conto è se si vuol fare dell’aeromodellismo, altro è l’uso professionale di macchine che, ricordiamolo, sono dei veri e propri aeromobili sopra le nostre teste. Bisogna dare garanzie a chi lavora e a chi potrebbe subire danni da una collisione con queste macchine, alcune delle quali sono talmente leggere che basta un soffio di vento per farle arrivare chissà dove e altre che montano, ad esempio, batterie al litio che più di una volta si sono rivelate difettose e sono esplose. Ricordiamolo: bisogna sempre fare i conti con la forza di gravità e anche pochi chilogrammi che cadono da una certa altezza possono provocare gravi danni.

A chi è rivolto questo regolamento?
A tutti coloro che intendono fare un uso professionale degli aeromobili a pilotaggio remoto, mentre per gli aeromodellisti restano in vigore le regole dettate in quell’ambito, una su tutte quella del buonsenso: volare in spazi aperti dove non si possa arrecare alcun pericolo alle persone, ma solo per attività ludica. Se con lo stesso apparecchio intendiamo, ad esempio, effettuare un servizio fotografico a pagamento, allora si sta svolgendo attività professionale e, di conseguenza, ci si deve attenere al regolamento da poco emanato.

Ingv: eccellenza italiana
L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia è uno dei primi enti pubblici che ha iniziato a usare e sviluppare i droni per la ricerca scientifica. Ne abbiamo parlato con Giovanni Romeo, fisico dell’Ingv.

Da quali esigenze è nato l’uso di un drone nel vostro lavoro?
Dobbiamo conoscere bene il territorio in cui operiamo e il modo più immediato è quello di sorvolarlo e farlo con un drone al posto di un aeroplano è sicuramente più economico e più sicuro per gli operatori. Nessun pilota vorrebbe mai sorvolare un vulcano in eruzione con un elicottero, mentre con un drone si può fare più facilmente e, anche se lo perdiamo, costa meno di un’ora in elicottero, senza contare la salvaguardia della vita umana che è ben più importante.

Come costruite i vostri modelli e in quali zone geografiche li avete utilizzati?
Il termine “modello” fa pensare a una riproduzione in scala di un qualcosa di già esistente, ma non è così, anzi queste macchine sono solo dei dispositivi che volano e che spesso non sono il massimo dal punto di vista dell’estetica, anzi. Li compriamo perché è una procedura molto rapida, dato che esiste un ampio mercato “amatoriale”, ma li costruiamo anche per particolari esigenze come l’aumentarne l’autonomia sperimentando materiali sempre più leggeri.

Qual è stato il vostro primo esperimento?
La sorveglianza vulcanica. In particolare un progetto insieme all’Università di Oslo per una grande eruzione di fango in Indonesia. Erano 7 kmq di fango caldo impossibili da esplorare con altri mezzi che non fossero dei droni. Il primo oggetto che abbiamo costruito è stato un telaio di carbonio, realizzato per poter atterrare su specchi d’acqua e campionare il gas proveniente dal fondo. Oggi questo oggetto lo abbiamo appeso nel nostro laboratorio per ricordarci sempre da dove siamo partiti.

Si parla di una certa intelligenza dei droni, in cosa consiste?
Un multirotore è un oggetto intrinsecamente instabile, basti pensare che se c’è una piccola asimmetria nella rotazione delle eliche (e c’è di sicuro perché nessuna cosa in natura è uguale ad un’altra), l’oggetto si capovolge. L’intelligenza in questione consiste in un sistema di auto stabilizzazione: un drone ha a bordo una serie di sensori, giroscopi, accelerometri, bussole, altimetri, il tutto combinato da un processore, che gli permettono di restare fermo a mezz’aria in modo apparentemente naturale mantenendo un assetto costante. Quando azioniamo una leva su un telecomando o inviamo un’informazione tramite computer al drone, in realtà gli mandiamo una sorta di “consiglio” su cosa fare al processore che si trova a bordo. E questa è la grande differenza rispetto ad un aeromodello il cui pilota è chiamato continuamente ad effettuare correzioni dell’assetto.

Quali sono le vostre prossime missioni?
In questo mese torneremo in Indonesia per esplorare di nuovo il lago di cui abbiamo parlato prima. Abbiamo altra strumentazione da testare e sicuramente scopriremo ancora cose nuove.

Qual è il ritmo di evoluzione dei vostri prototipi?
Riusciamo a migliorare abbastanza la strumentazione di bordo, mentre per quanto riguarda il prototipo ne stiamo migliorando la qualità del telaio allestendo un banco di prova per raggiungere l’efficienza ideale. Per quanto riguarda “l’intelligenza”, esistono già in commercio ottimi strumenti pronti per l’uso.

Migliorare l’efficienza significa anche impiego di materiali nuovi. Quali utilizzate attualmente per la costruzione di un drone?
Tra quelli che abbiamo impiegato finora, sicuramente la fibra di carbonio è il materiale che assicura il migliore rapporto tra resistenza e peso. Il problema resta quello delle batterie, che sono il tallone d’Achille di questi mezzi, sia per il peso che per la scarsa durata.

Le applicazioni future?
Dipende da quel che ci permetterà la legge, perché non ci sono limitazioni nello sviluppo di questi apparecchi. Immagino la consegna di medicinali in caso di emergenza, la ricerca di superstiti di calamità naturali, il soccorso in mare e così via. È un oggetto che può estendere i sensi dell’operatore. Però, sinceramente, non vorrei vedere un drone che mi ronza sulla testa mentre sono stipato in mezzo a una folla…
 

Per divertirsi un po’
“Droni”, è diventato sempre più sinonimo di divertimento per tutti gli appassionati di modellismo. Le alte prestazioni, la facilità di manovra hanno reso questo grazioso oggetto sempre più sogno di molti ragazzi e non.
Il Parrot Bepop Drone (http://www.parrot.com/it/products/bebop-drone/) è di sicuro l’oggetto del desiderio per centinaia di persone. Non ancora disponibile in commercio, già sta riscuotendo notevole attenzione su forum di settore e tra gli appassionati. Protezione del mezzo e sicurezza sono al primo posto, ma anche la possibilità di poter pilotare il proprio drone con uno smartphone piuttosto che con un tablet e vedere in tempo reale ciò che la camera HD a bordo sta riprendendo, fa impazzire di gioia anche i non appassionati.
Altro interessante settore che si sta diffondendo è il settore dei Micro Droni. Elicotteri quadrimotore che stanno nel palmo della mano: integrano un giroscopio e un processore per auto-stabilizzarsi e sono controllati da un telecomando. Costano meno di cento euro ma sono adatti esclusivamente ad ambienti indoor. Il loro peso estremamente ridotto, circa trenta grammi, ne comprometterebbe la stabilità in caso di volo in zone aperte con folate di vento che potrebbero far cadere il nostro gioiellino.
Impossibile parlare di droni senza pensare poi a tutti gli aspetti che appassionati del DIY (fai da te) riescono a creare. Il sito http://www.gameofdrones.biz/ ha pubblicato video in cui questi “poveri” droni sono sottoposti ad ogni tipo di “tortura” per verificarne la loro resistenza, capacità di adattamento al volo, o anche solo per fare una sfida tra droni seguendo la semplice regola: “Se vola… combatte, e solo l’ultimo che volerà sarà il vincitore”.

Claudio Ferrazzi e Daniele Casali

01/06/2014