Marianna Gianforte*

Parola d’ordine: rinascita

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6 aprile 2009, ore 3,32: L’Aquila cambia per sempre e con lei anche la polizia che opera nel capoluogo abruzzese

Parola d’ordine: rinascita

Nella notte del sisma di cinque anni fa, la polvere delle macerie che si alzava dal centro storico contro la luce della luna piena fece pensare alla nube di un grosso incendio a chi guardava la città dai quartieri più in alto. Poi, anche a chi si trovava a quella distanza arrivò il sapore della polvere sulle labbra e nel giro di pochi minuti si mescolò all’odore del gas. A quel punto fu chiaro che la città era distrutta. E poi il caos, i morti, le grida, i soccorsi. Il terremoto è arrivato come un bisonte che in pochi istanti ha travolto tutto dividendo la storia dell’Aquila in un “prima” e un “dopo” del sisma. L’esistenza della città che ha ospitato il primo Giubileo cristiano, voluto da Papa Celestino V, è attraversata, da quella data, da una netta linea di demarcazione. Quando una catastrofe delle proporzioni di quella del 6 aprile 2009 colpisce una moderna città capoluogo di regione, non distrugge solo palazzi storici, chiese secolari, torri civiche, scuole. Distrugge anche la sua comunità, colpisce le istituzioni e mette in crisi il sistema economico. Nel giro di una manciata di secondi L’Aquila si è trovata senza più il suo centro, i luoghi di culto e di socializzazione, i teatri e le gallerie d’arte, i pub e lo “struscio” e non ha avuto più la sede della prefettura, del tribunale, della provincia, del comune. È rimasta danneggiata persino un’ala dell’ospedale. Anche la questura dell’Aquila ha subìto danni consistenti e i suoi uffici sono stati trasferiti in container. Una situazione di necessità, in spazi angusti, al freddo d’inverno e al caldo d’estate, con disagi a non finire che, però, non hanno scalfito la determinazione della Polizia di Stato che si è trovata a gestire e controllare una città diversa da quella di prima del 2009. Una città in continua trasformazione, imprevedibile, dove oggi mancano all’appello oltre un migliaio di studenti tra elementari, medie e superiori: a conti fatti L’Aquila ha pagato finora al sisma e alla mancata ricostruzione una diaspora di almeno 3.500 persone. I container sono stati dismessi ed il personale della questura è rientrato parzialmente nella sua sede il 30 marzo 2012, dopo tre anni di precarietà. Proprio a ridosso del sisma i reati – furti negli edifici inagibili, in abitazioni e attività commerciali, rapine – sono aumentati, diffondendo un sentimento d’insicurezza e di paura in una città storicamente tranquilla.
Per anni (e il fenomeno ancora non si placa del tutto) gli aquilani e gli abitanti dei paesi limitrofi hanno dovuto fare i conti con il fastidioso fenomeno dello “sciacallaggio”: una nuova violenza per chi aveva perso tutto e non poteva difendere i beni di famiglia. Episodi che si sono intrecciati con le inchieste del post-sisma aumentando la sfiducia della gente. «L’Aquila è una città complessa, dove i problemi di sicurezza sono diversi rispetto ad altri luoghi – spiega il questore, Vittorio Rizzi – problemi legati a una nuova organizzazione della città, dove ci confrontiamo non più con un centro storico, ma con una serie di new town. A L’Aquila abbiamo una costellazione frammentata d’insediamenti in cui cresce il disagio, che deriva dalla paura della mancanza della civitas e dall’assenza di coesione sociale». Parole, quelle del questore Rizzi, che descrivono una “città-non città”, in cui i problemi veri sono amplificati dal disagio sociale e dal consumo di alcol tra i giovani; c’è, poi, un sottobosco di violenze sulle donne difficile da portare alla luce e che proprio la questura, con il “Camper antiviolenza”, progetto pilota a livello nazionale, ha contribuito a far emergere, fermandosi nelle new town e nei comuni del circondario e raccogliendo denunce e testimonianze di donne vittime di abusi. In due mesi il camper “rosa” ha raccolto 33 denunce ed emesso 16 ammonimenti firmati dal questore contro uomini violenti.
La storia racconta che alla fondazione dell’Aquila 99 castelli confederati della conca contribuirono con uomini e risorse alla sua costruzione (ricorre continuamente il numero 99 nell’architettura cittadina: un esempio per tutti, le 99 cannelle della Fontana Rivera). Oggi la storia si è invertita: il sisma ha allontanato dal suo centro la comunità, sparpagliandola nel territorio e di fatto dilatando i confini della città. Sono una ventina le new town del “progetto Case”, in cui vivono circa 12mila persone. Ad esse si aggiungono una decina di Map (i villaggi costituiti da Moduli abitativi provvisori) sorti per lo più nei comuni del comprensorio o nelle frazioni cittadine e decine di Musp, i Moduli a uso scolastico provvisorio che ospitano le scuole ancora inagibili. Nuovi quartieri e case disabitate sono, insieme ai cantieri della ricostruzione e ai luoghi della movida cittadina, le zone dove la polizia concentra principalmente i propri sforzi. «Mentre nel resto d’Italia le risorse sono diminuite a causa del turn over – specifica il questore Rizzi – il Dipartimento della pubblica sicurezza ha prestato attenzione alla situazione dell’Aquila proprio per la nuova conformazione del territorio. E le risorse sono moderatamente aumentate. Le forze di cui dispone la questura al momento sono adeguate». I reati contro il patrimonio e i furti, quelli che fanno più paura, sono in controtendenza rispetto a tutto il territorio nazionale. «Non arriviamo a 30 furti al mese secondo le statistiche – chiarisce il questore Rizzi – ma è comunque un dato importante per una città come L’Aquila, che nel pre-sisma era ancora più tranquilla.
Dopo l’aumento dei reati nel 2011 e 2012, soprattutto a causa degli atti di sciacallaggio, oggi il dato si è abbassato. Non è migliorato, però, il sentimento di sicurezza nei cittadini, perché lo spezzarsi dei legami sociali crea disagio e paura». Come risponde la questura? «Attraverso un efficientamento di tutti i servizi», spiega Rizzi. Quello di cui ha più percezione il cittadino è la Volante sul territorio «e noi lo abbiamo potenziato insieme al servizio di prossimità, che rientra nell’attività di prevenzione, con gli agenti che scendono dalle auto, si fanno vedere fra la gente, ad esempio nei luoghi della movida del centro storico, parlano con i cittadini e i titolari delle attività commerciali e dei pub». C’è, poi, una sicurezza che il cittadino non vede. «È data dall’intensificazione delle misure di prevenzione e dal contrasto all’immigrazione clandestina. E c’è tutto il lavoro svolto dagli organi investigativi, nei quali rientrano anche i commissariati di Avezzano e Sulmona. Un lavoro silenzioso che produce i suoi effetti a una distanza medio-lunga di tempo dai reati che sono stati commessi». La cabina di regia della questura dell’Aquila (che conta complessivamente circa 415 unità fra tutti i ruoli e compresi i commissariati) è la sala operativa, che si è arricchita, insieme ad altre dieci questure d’Italia, della certificazione Iso 9001. La certificazione attesta che tutti gli operatori hanno ricevuto un percorso di formazione che li ha portati ad applicare un protocollo di gestione delle chiamate con maggiore efficienza ed efficacia. Governare una chiamata al 113 non è facile, perché le persone che telefonano spesso sono coinvolte in situazioni pericolose, possono essere vittime di furti o aggressioni e gli operatori, che rispondono sempre con un numero per garantire la trasparenza e tutelare la propria privacy, pongono all’interlocutore una serie di domande che richiamano le famose “cinque W” giornalistiche: chi, dove, quando, come, perché. L’obiettivo è sempre tutelare i cittadini, ma anche gli agenti. I reati contro il patrimonio e i furti sono in diminuzione, ma gli sforzi della questura non si fermano e due volte a settimana le pattuglie escono per un controllo straordinario del territorio. Un modulo operativo che si distingue dall’ordinaria attività quotidiana e che si avvale dei “rinforzi” di un nucleo aggiuntivo di 16 agenti, denominato Udine-Palermo e voluto dal questore Rizzi, i cui agenti vengono concentrati in quadranti per effettuare servizi mirati. L’obiettivo è controllare le zone da cui arrivano segnali d’insicurezza, prevenire i reati, coprire le zone d’ombra dell’Aquila, come le piastre (i garage) delle new town, diventati ormai grandi quartieri dormitorio, ma anche i luoghi disabitati e i cantieri della ricostruzione dove può essere agevole rubare materiale. Anche questi aspetti consegnano una città diversa dal passato, che ora attende di essere ricostruita per tornare a una vita normale. Intanto, a giugno prossimo scade il termine di consegna dei lavori di recupero della parte della questura danneggiata dal sisma: restituirà alla città anche lo storico ingresso su via Strinella, permettendo il rientro del personale sparso in varie sedi cittadine. Una nuova fase per la polizia dell’Aquila: uno stimolo e un simbolo di rinascita anche per tutta la città.
*giornalista de “Il Centro” L’Aquila

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Un dolore vero
di Bruno Vespa

Un tempo avrei scritto con animo lieve queste righe su L’Aquila per Poliziamoderna, una rivista a me assai cara perché mi ricorda i miei esordi di cronista tanti anni fa. A cinque anni dal terremoto lo faccio con sentimenti contrastanti. Alla gratitudine per quanto ha fatto per noi aquilani la polizia – insieme con gli altri corpi dello Stato – nei giorni e nei mesi successivi al 6 aprile 2009, si affianca il dolore – dolore vero, in certi momenti perfino fisico – per gli incredibili ritardi che stanno accompagnando la ricostruzione. Prima di quella tragica notte di cinque anni fa pochi italiani sapevano che L’Aquila ha (aveva) uno dei centri storici più grandi e più belli d’Italia, con migliaia di edifici vincolati dalla Soprintendenza. Oggi a chi è assente dalla mia città da tanti anni e mi chiede se è il caso che torni a visitarla, suggerisco di aspettare. Mi duole che la veda ancora ridotta così, con le piazze, le strade, i vicoli del centro abitati da fantasmi che si nascondono di giorno e compaiono dopo il tramonto. L’Aquila oggi è come una bella donna sfregiata e violentata: aspettiamo che torni (quasi) com’era. Accadrà? Io spero di sì. Il nuovo ministro della Cultura Dario Franceschini, andato a L’Aquila subito dopo l’insediamento, è rimasto sconvolto. «È un problema del Paese», mi ha detto. Spero che lo sia davvero. Spero che lo Stato non faccia mancare i soldi e aiuti le fragili autorità aquilane a tenere la barra dritta e ad approfittare del disastro (si può ancora) per fare perfino più belle le poche cose che erano brutte. Dopo il terremoto, ho sognato che L’Aquila diventasse la Berlino italiana: restauro di quel che si può, grande architettura moderna lì dove l’antico è perduto. Non vorrei che assomigliasse al Belice. Non possiamo permetterlo. Noi aquilani per primi.

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Quella notte…
di Patrizio Cardelli*

Era la sera del 5 aprile 2009 e io avrei dovuto riposare perché mi aspettava il turno di notte come coordinatore delle Volanti: ma alla recita di mia figlia nella domenica che anticipava la Pasqua non potevo mancare, perché lei aveva deciso così. Alle 22,48, una prima scossa innalzò il livello della paura, già alta da più di tre mesi nella nostra città. Normalmente non mi spavento con facilità, ma un tarlo aveva completato il suo lavoro: stasera non è aria! A casa stanotte si dorme tutti in una stanza, con gli indumenti e le scarpe vicini alla porta peraltro chiusa con un solo giro di chiave: lasciavo così gli affetti per andare a lavoro. Poi un’altra scossa: in questura tutti fuori, nel camper, per decidere il da farsi per la notte. Come disposto dal questore abbiamo girato per la città in lungo e largo, frazioni comprese e, assieme agli altri colleghi, contavamo tutte le persone che avevano deciso di passare la notte nelle autovetture parcheggiate. Il risultato era tantissima gente, sintomatica della realtà che da lì a breve si sarebbe prospettata. L’aria era pesante. Ultimo tour fuori città, nelle frazioni in dormiveglia, tra corolle di macchine con i vetri velati di respiro e un anziano insonne con la voglia di vivere ancora. Giravo l’auto nelle piazze del paese e, tra vicoli stretti tanto da strusciare gli specchietti, acceleravo piano per non equivocare sui rumori: le case scorrevano e l’auto sembrava fermarsi, sebbene il motore fosse ad alti regimi. Il boato era ormai alle nostre spalle, i crolli, invece, ancora davanti a noi, come la morte che non ci seguiva, bensì ci anticipava, seppur di poco… Giunto a Porta Napoli, un ologramma di un palazzo m’ingannava visto che una parte era crollata. Ho spento l’auto e con essa tutte le speranze del collega addetto alla sala operativa che tanto agognava compagnia... perché era da solo, lui con i suoi crolli. Dall’alto della Villa Comunale un fiume umano esondava tra urla, sangue e disperazione. Ad Onna non vi erano più profili, né muri in attesa del vento; solo silenzio, scintillio di lacrime ad indicare la strada a poche anime in fuga, tra macerie e corpi al macero. Era quasi l’alba: il mattino si vergognava di dar luce a quel disastro, così il sole che, in collera con la terra, sorgeva all’ombra della morte, quella che, la notte del 6 aprile, alle 3,32, ha distrutto tutto ciò che riteneva dover spazzar via, vite comprese, tranne la speranza di poter costruire un futuro migliore.
*ispettore superiore sups, squadra mobile questura L’Aquila

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Cinema e legalità
di Delfina Di Stefano*

Dopo il terremoto, anche sotto il profilo della sicurezza si è posta l’esigenza di studiare dei progetti “a misura” di una città dove la difficile opera di ricostruzione del centro storico costringe la popolazione aquilana a vivere in tante “new town” disseminate in un territorio molto vasto e dove le donne, i giovani e gli adulti cercano nuovi spazi di aggregazione. Nasce così l’idea di parlare di legalità ai ragazzi in un modo e in un luogo diverso, riunendoli in un auditorium ubicato simbolicamente nel centro storico e proiettando un film, per raggiungere le loro menti passando attraverso le emozioni.
Il Cineforum “Cinema e Legalità” è partito il 25 novembre 2013, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne con la pellicola Ti do i miei occhi, ed è proseguito il 25 gennaio 2014 con la proiezione, alla presenza del capo della Polizia, del film Young Europe, sulla sicurezza stradale, prodotto dalla Polizia di Stato.
Il 27 febbraio è stata la volta del mondo degli stupefacenti e la questura ha scelto di utilizzare Sbirri, nato sulla base del docufilm Cocaina girato con poliziotti veri in servizio alla Sezione antidroga della Squadra mobile di Milano. Ospiti d’eccezione hanno partecipato al dibattito, tra cui uno dei più famosi agenti sotto copertura della polizia italiana, che ha lavorato per molti anni per la Dea (Drug enforcement administration) statunitense, un giornalista d’inchiesta di La Repubblica attivo in una campagna contro la droga, ed il produttore del film.
Gli appuntamenti proseguiranno il 31 marzo, giornata nella quale si dibatterà di criminalità organizzata con illustri relatori, e si concluderà il 6 maggio con il tema dell’integrazione razziale, che tocca anche L’Aquila dove sono presenti nutrite comunità straniere.
Sono 170 i ragazzi delle scuole superiori secondarie aquilane che in ogni appuntamento hanno assistito all’evento, con un grande consenso in termini di impatto ed efficacia comunicativa.
*vice questore aggiunto, vice capo di gabinetto questura L’Aquila
 

01/04/2014