Anacleto Flori

Stop all’assedio

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La lotta all’escalation della ’Ndrangheta in Italia, in vista dell’Expo 2015

Stop all’assedio

Nirta, Strangio, Condello, Pesce e Piromalli. Solo per citarne alcuni. Non sono semplici nomi, sono molto di più. Sono ’ndrine, famiglie della ’Ndrangheta calabrese, temute, rispettate o, nel caso delle forze dell’ordine, incessantemente ricercate. Nomi all’ombra dei quali si muovono affari sporchi di ogni tipo: traffici di armi e di sostanze stupefacenti, estorsioni, usura, riciclaggio di denaro sporco, ma anche infiltrazioni capillari all’interno delle istituzioni, della politica e dell’economia. Sono nomi che rappresentano il potere crescente della ’Ndrangheta e l’inarrestabile scalata all’interno della criminalità organizzata. Una scalata che ha portato le cosche calabresi a diventare una vera e propria holding del crimine e a soppiantare per importanza, pericolosità e volume di affari perfino Cosa nostra. In Italia, ma anche nel mondo. Una posizione di primato che consente alla ’Ndrangheta di trattare alla pari con i più potenti cartelli di narcos del Sud America come i Los Zetas, di rendere possibile l’esistenza di un filo diretto tra New York e un piccolo comune come Gioiosa Jonica e che infine spinge il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri ad affermare che oggi la ’Ndrangheta è l’unica organizzazione criminale presente in tutti i cinque continenti. Ma qual è la chiave di volta di tale escalation? A detta degli esperti del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato diretto da Raffale Grassi, uno degli elementi vincenti è da ricercare nella struttura organizzativa della ’Ndrangheta: basandosi sulle ’ndrine, cioè sulle famiglie e quindi su ferrei legami di sangue e di parentela, la ’Ndrangheta non ha quasi conosciuto il fenomeno del pentitismo, che pure ha permesso di infliggere colpi durissimi a Camorra e Cosa nostra. I casi di ’Ndranghetisti pentiti e disposti a collaborare si contano sulle dita di una mano: per tutti basterà citare quelli di Giuseppina Pesce, figlia, sorella e moglie di affiliati all’omonima ‘ndrina, di Rosa Ferrero che ha trovato la forza per testimoniare contro alcuni affiliati della cosca diretta da suo cugino, Salvatore Pesce, ma soprattutto di Lea Garofalo sciolta nell’acido perché colpevole di essere diventata una preziosa collaboratrice di giustizia. Un altro aspetto altrettanto importante, fa notare Nicola Gratteri, è rappresentato dal basso profilo tenuto in questi anni dalle cosche calabresi. «Il fatto è che per decenni la ’Ndrangheta è stata fortemente sottovalutata – afferma il sostituto procuratore – e in passato l’attenzione era tutta concentrata su Cosa nostra, che storicamente si è fatta notare di più, fino al punto di dichiarare addirittura guerra allo Stato, con stragi, attentati e delitti eccellenti. Di contro la ’Ndrangheta in tutto questo tempo ha potuto muoversi quasi sempre sotto traccia, specializzandosi nel traffico internazionale di cocaina, utilizzando i broker che hanno garantito contatti con produttori e grossisti e cogliendo il trend della globalizzazione quando ancora nessuno parlava di internazionalizzazione dei mercati». Fino alla strage di Duisburg, che ha acceso i fari anche a livello internazionale sulla mafia calabrese e per questo considerato dagli investigatori come il primo grande errore commesso dalla ’Ndrangheta, pochissimi erano stati gli episodi che avevano portato alla ribalta delle cronache l’attività criminale delle ’ndrine. Ma i veri punti di forza rimangono senza dubbio il profondo radicamento e il capillare controllo del territorio che si esercitano, come riporta il rapporto del primo semestre del 2013 della Direzione nazionale antimafia, attraverso i tradizionali strumenti delle estorsioni e dell’usura. Sono veri e propri reati spia, che in coincidenza con la grave crisi economica hanno subìto un brusco aumento nel corso dell’ultimo anno, e attraverso i quali le cosche condizionano le attività produttive dell’intera regione e riaffermano, giorno dopo giorno, il proprio potere intimidatorio.

La mappa del potere
Si tratta di una pressione costante che si esercita in ogni angolo della Calabria, provincia per provincia, città per città, addirittura quartiere per quartiere, come dimostra il caso di Reggio Calabria, dove batte il cuore pulsante della ’Ndrangheta. Qui tre mandamenti mafiosi si sono spartiti le strade del centro città e tutto l’esteso territorio della provincia che arriva da una costa all’altra. Confini invisibili, ma al tempo stesso invalicabili, tracciano una mappa del potere che si è venuta a definire anno dopo anno, faida dopo faida. Il primo, che non a caso si chiama centro, gravita proprio sulla città e in modo particolare sul quartiere di Archi, una delle zone chiave di Reggio in cui convivono e si dividono gli affari le storiche famiglie De Stefano, Condello, Libri e Tegano, che mantengono una posizione dominante rispetto ad altre cosche cui è stata comunque lasciata una certa autonomia di controllo sui singoli “locali” (vere e proprie succursali extraregionali delle cosche mafiose). Nel mandamento tirrenico tra le famiglie dominanti ci sono sicuramente i Piromalli, il cui regno rimane la Piana di Gioia Tauro, con l’importante scalo portuale, vero e proprio crocevia di traffici illeciti di ogni merce, i Pesce-Bellocco, presenti nella zona di Rosarno, i Longo-Versace che confermano la loro tradizionale egemonia a Polistena e gli Alvaro. Nel terzo e ultimo mandamento reggino, quello jonico, operano le famiglie dei Barbaro-Trimboli, ma soprattutto dei Nirta-Strangio e dei Pelle-Vottari: cosche particolarmente potenti e temute in quanto radicate da sempre nel comune di San Luca, a ridosso dell’Aspromonte, dove si trova il Santuario dellla Madonna di Polsi, uno dei luoghi simbolo della ’Ndrangheta. Nel resto della Calabria, nelle province di Crotone, Catanzaro e Vibo Valentia, ma a un livello più basso rispetto a quelle reggine, ci sono altre famiglie che pure rappresentano la spina dorsale della ’Ndrangheta: dai Ferrazzo ai Grande-Aracri, dagli Arena ai Nicoscia, dai Mancuso agli Iannazzo, fino ai Giampà e ai Torcasio.

Alla conquista del Bel Paese
Gli stessi nomi, le stesse famiglie le possiamo ritrovare in tutta l’Italia centro-settentrionale. Grazie al loro low profile e al cono d’ombra di cui hanno potuto godere in passato, le ’ndrine, partendo dalla punta, hanno infatti iniziato una progressiva e pervasiva conquista dell’intero Stivale. Come un vero e proprio fiume carsico che scorre sottoterra per poi riaffiorare qua e là a centinaia di chilometri di distanza, la ’Ndrangheta nel corso degli anni ha fiutato lungo tutto il Bel Paese le piste che portavano a ogni tipo di affare, seguendo un solo credo: sfruttare tutte le opportunità per fare soldi. Rifiuti, gioco d’azzardo, cantieri e appalti pubblici e privati in ogni settore della vita economica, ma soprattutto traffico di droga e riciclaggio di denaro sporco. Secondo Nicola Gratteri i primi insediamenti al Nord risalgono a metà degli anni Cinquanta: «Le prime tappe – dice il procuratore aggiunto di Reggio Calabria – sono state Lombardia e Piemonte. Poi gli interessi si sono estesi anche a Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Toscana, Lazio, Emilia-Romagna con presenze in quasi tutte le altre regioni del Centro-Nord. Le più colpite, come appare ovvio, sono le zone più ricche, quelle dove è più facile camuffarsi e dove è possibile investire gli enormi profitti provenienti dal traffico della cocaina. I settori vanno da quelli tradizionali dell’edilizia come il trasporto di inerti e il noleggio di automezzi a quelli immobiliari, passando per il terziario, servizi, nuove tecnologie ed energia alternativa. Un’attività che giorno dopo giorno crea un accumulo di ricchezze enorme, un tesoro che ammonta a decine e decine di miliardi di euro all’anno».
Ma come è avvenuta e avviene in pratica la ’ndranghetizzazione di un territorio al di fuori delle strette zone d’origine delle cosche? Secondo gli esperti dello Sco, quasi sempre la scelta di un territorio o di una città in cui reinvestire i guadagni da parte di una cosca dipende dalla presenza di una struttura mafiosa ben radicata nel tempo in quel territorio e in quella città. L’occasione giusta per l’infiltrazione mafiosa extraregionale è quasi sempre la necessità di reinvestire il denaro guadagnato sul mercato della cocaina. Se una singola famiglia riesce a ricavare decine e decine di milioni di euro dal traffico di 500 kg di droga (come sarebbe effettivamente accaduto se non fosse andata in porto l’operazione New Bridge recentemente condotta dalla Polizia di Stato in collaborazione con l’Fbi) è chiaro che quei soldi non rimarranno fermi un attimo di più. Una parte servirà per acquistare altra cocaina, mentre il resto verrà ripulito, reinvestendolo in tutta una serie di attività produttive come alberghi, ristoranti e pizzerie o nell’acquisto di immobili. È partendo da scenari come questi che, già nel 2009, nel cuore di Roma, nella elegantissima via Veneto si è arrivati al sequestro del Cafè de Paris, uno dei templi della Dolce vita romana, gestito da un prestanome riconducibile agli Alvaro. Risale invece allo scorso novembre l’operazione della Dia che ha portato al sequestro del Gran Hotel Gianicolo, uno degli alberghi più in della Capitale, di proprietà di alcuni imprenditori ritenuti vicini alla cosca dei Gallico. Seguendo la scia lasciata dal traffico di cocaina, dal flusso di denaro sporco e dagli investimenti immobiliari sospetti è quindi possibile disegnare la via lungo la quale le diverse cosche hanno risalito l’Italia e non solo. Per rendere l’idea di come sia avanzato il processo di “delocalizzazione” delle attività criminali delle cosche, è sufficiente ripercorrere tappa dopo tappa, l’itinerario di un virtuale giro d’Italia tracciato dalla ’Ndrangheta che dalla Capitale conduce fino alla Valle d’Aosta. Da Roma infatti, proseguendo verso nord, incontriamo già in Umbria, come risulta dal rapporto 2012 della Dia, le prime presenze di capitali di provenienza illecita, riciclati da affiliati alla cosca GrandeAracri, mentre nella vicina Toscana, nell’aretino, sono stati arrestati, sempre nel 2012, alcuni imprenditori edili legati alla cosca dei Gallico. Sempre i Grande Aracri risultano radicati nell’Emilia-Romagna, in particolar modo a Reggio Emilia e Parma. Meno colpito risulta il Nord-Est, dove la presenza mafiosa calabrese si limita all’individuazione nel veronese e nel vicentino di alcune ditte di costruzioni riconducibili alle cosche cutresi. Avvicinandoci al tradizionale triangolo industriale del settentrione i casi diventano via via più numerosi. È il caso della Liguria, dove, nei mesi scorsi, si è registrato ad Imperia il sequestro di una ditta di costruzioni riconducibile a un imprenditore ritenuto vicino alla cosca dei Gallico. La presenza di “locali” ’ndranghetisti è stata poi pienamente confermata nel corso dell’operazione La svolta del dicembre 2012 che ha portato allo scioglimento per infiltrazione mafiosa del consiglio comunale di Ventimiglia. Ma è in Piemonte e in Lombardia che sono maggiormente evidenti la pervasiva capacità di infiltrazione nel tessuto socio-economico e il ruolo predominante della ’Ndrangheta nel traffico di droga. In particolar modo le indagini messe in campo dalle forze di polizia nel territorio sabaudo hanno portato, attraverso operazioni come Minotauro, Colpo di coda e Pegaso, a smantellare pericolosi “locali” rispettivamente nel vercellese, nel novarese e a Chivasso (TO) e a portare alla luce i contatti con le cosche dei Barbaro, dei Giampà e dei Commisso. Sempre in Piemonte, a Castelnuovo Scrivia (AL), nell’aprile del 2012 gli investigatori della Squadra mobile di Reggio Calabria e dello Sco hanno catturato il pericoloso latitante Sebastiano Strangio elemento di spicco della potente cosca della ’Ndrangheta Nirta-Strangio di San Luca (RC). In Lombardia, il cardine della lotta alla ’Ndrangheta, rimane ancora l’ imponente operazione del 2010, anche in questo caso coordinata dallo Sco, denominata Il crimine, che portò alla cattura dei vertici dei “locali” attivi nelle province di Milano, Como e Monza e al sequestro di beni per un valore di decine di milioni di euro. Tra gli arrestati spiccavano nomi “eccellenti” delle famiglie Commisso, Alvaro, Pesce, Bellocco e Pelle. Un altro durissimo colpo alla mafia calabrese è stato messo a segno proprio nelle scorse settimane a Seveso, nel cuore della Brianza, dagli agenti della Squadra mobile di Milano, diretta da Alessandro Giuliano. Nel corso dell’operazione, è stata scoperta l’esistenza di una vera e propria banca della ’Ndrangheta che riciclava il denaro sporco attraverso il finanziamento a tassi da usura di diversi imprenditori brianzoli. «Già dal 2011 –racconta Alessandro Giuliano – eravamo sulle tracce di alcuni soggetti calabresi presenti qui in Lombardia e attivi nel cosiddetto “movimento terra” (un’attività legata al trasporto di terra connessa a tutti i cantieri edili e alla realizzazione delle grandi opere, ndr), poi ricostruendo con pazienza e tenacia le fila dei diversi contatti siamo arrivati fino a Giuseppe Pensabene, capo del “locale “ di Desio e gestore della banca».
Per comprendere fino in fondo il volume di affari gestito dalle ’ndrine in tutta Italia, ma anche come si sia innalzato il livello dello scontro dal punto di vista della caccia al tesoro della ’Ndrangheta, basta scorrere le tabelle riassuntive dei risultati conseguiti dalla Dia nel I semestre 2013: oltre 250 milioni di beni sequestrati, cui si aggiungono altri 24 milioni di beni confiscati.
In prima linea, in questa guerra senza tregua dichiarata alla criminalità organizzata calabrese, c’è sicuramente, come abbiamo visto, il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato. «Il Servizio nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali – conferma il direttore Raffaele Grassi – svolge, in relazione all’azione di contrasto alla ’Ndrangheta un’attività di coordinamento specifica e di partecipazione diretta alle indagini che interessano tutto il territorio nazionale e internazionale. Un’attività che viene portata avanti attraverso il lavoro delle nostre 26 sezioni criminalità organizzata: si tratta di uffici altamente specializzati nel contrastare ogni tipo di mafia e quindi anche la ’Ndrangheta. E credo che i risultati della nostra attività si siano visti e si stiano vedendo.

L’Expo che fa gola
Oggi però l’emergenza ’Ndrangheta ha un solo nome Expo 2015.
È qui che si stanno concentrando le attenzioni delle cosche, ma anche il lavoro di prevenzione delle forze dell’ordine. «È indubbio che l’Expo – afferma il procuratore Nicola Gratteri – suscita grandi appetiti. Per questo è necessario alzare il livello di guardia e in Lombardia ci sono magistrati in grado di farlo. La creazione di black list delle aziende colluse può essere una delle strade da seguire. Di certo bisogna vigilare e seguire l’iter dei vari appalti». Proprio quello che sta facendo la prefettura di Milano, guidata da Francesco Paolo Tronca, cui spetta la competenza al rilascio delle certificazioni antimafia per tutta la filiera, a prescindere dalla sede della società e dal valore degli appalti. L’obiettivo è di effettuare, attraverso il lavoro del Gruppo ispettivo antimafia (Gia) appositamente istituito in prefettura, tutte le verifiche e gli accertamenti necessari per evidenziare l’eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società e delle imprese operanti nella provincia di Milano. E la strada seguita dalle cosche è quella di puntare non tanto al controllo del sito espositivo, quanto a quello delle opere connesse all’Expo, come le infrastrutture stradali, caratterizzate da cantieri non circoscrivibili e quindi più difficilmente controllabili. Opere come la tangenziale esterna milanese, la nuova linea 5 della metro e l’autostrada pedemontana lombarda rappresentano delle ghiotte occasioni per i “locali” ’ndranghetisti e i provvedimenti già adottati non mancano. Alla data del 28 febbraio sono state adottate 31 informative interdittive e 10 informazioni antimafia atipiche nei confronti di imprese dedicate a lavorazioni Expo, nonché 7 dinieghi di iscrizione nelle white list e un provvedimento di cancellazione dalla stessa lista. Solo nell’ultimo semestre i provvedimenti interdittivi sono stati 6, pari al 20% del totale emesso nel corso dell’ultimo biennio.
Allora se l’Expo si avvicina e l’appetito delle cosche diventa via via più famelico, è ancora più importante l’appello contro le mafie lanciato dal procuratore Gratteri: «C’è bisogno della collaborazione di tutti, ovviamente della polizia giudiziaria italiana, che rappresenta una sorta di élite a livello internazionale, ma soprattutto delle banche, degli istituti finanziari e della gente. L’omertà non è un problema ambientale e culturale, legato al Sud. Molti subiscono e tacciono anche nel Centro e nel Nord».

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Le attività illecite delle “famiglie”

Lazio: estorsione, traffici nell’edilizia, esercizi commerciali, riciclaggio, traffico di stupefacenti, usura, gioco d’azzardo.

Liguria: infiltrazioni nella pa, attività imprenditoriale nel settore videogiochi, traffico di cocaina, smaltimento di rifiuti.

PIEMONTE: traffico di stupefacenti, prostituzione, traffico di armi, infiltrazioni
nella pa, riciclaggio, gioco d’azzardo.

LOMBARDIA: traffico di stupefacenti, traffico di armi, infiltrazioni nell’edilizia, locali notturni, usura, infiltrazioni nella pa.

EMILIA ROMAGNA: traffico di stupefacenti, bische clandestine, usura, estorsione, traffico di armi, riciclaggio.

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GlI arresti eccellenti...
Febbraio 2013: Domenico Leotta
A Catanzaro, la Squadra mobile di Reggio Calabria e lo Sco, hanno catturato Domenico Leotta detto u’ Longu, 53 anni, elemento di spicco della cosca Pesce di Rosarno (RC). Con precedenti per omicidio, associazione mafiosa, stupefacenti ed altri gravi reati, era latitante dall’aprile 2010.

Aprile 2013: Sebastiano Strangio
A Castelnuovo Scrivia (AL), la Squadra mobile di Reggio Calabria e lo Sco hanno catturato Sebastiano Strangio, 38enne pregiudicato per omicidio ed associazione mafiosa e irreperibile dal 2007. Fratello di Maria, uccisa nella strage di Natale del 2006, origine della faida fra la cosca Nirta-Strangio di San Luca e delle famiglie Pelle-Vottari, culminata con la “strage di ferragosto” del 2007.

Aprile 2013: Domenico Trimboli
Lo Sco, con le Squadre mobili di Reggio Calabria ed Alessandria, insieme all’Interpol, ha coordinato le attività di ricerca di Domenico Trimboli arrestato all’alba del 25 aprile 2012 a Medellin (Colombia). Ricercato per traffico di stupefacenti e associazione finalizzata al traffico, considerato un importante referente della cosca per i trasporti di droga dal Sudamerica, era inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi.

Settembre 2013: Francesco Nirta
Ad Utrecht, una collaborazione tra la polizia olandese e la Squadra mobile di Reggio Calabria ha permesso la cattura di Francesco Nirta, ai vertici della cosca di San Luca (RC). Aveva precedenti per omicidio ed associazione mafiosa, oltre ad altri gravi reati. Anche lui era inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi dal settembre 2007.

luglio 2013: Roberto pannunzi
Era l’anello di congiunzione tra la ‘Ndrangheta e il cartello di Medellin, nonché l’uomo in grado di esportare fino a due tonnellate di cocaina al mese dal Sudamerica. Ricercato dal 2010, al momento della cattura, in un centro commerciale di Bogotà, Pannunzi era in possesso di una carta d’identità venezuelana. Il suo arresto è frutto di un’operazione congiunta della polizia colombiana e della Drug enforcement agency (Dea) statunitense e della Direzione centrale per i servizi antidroga in Italia e in Colombia.

Novembre 2013: Antonino Lo Giudice
A Vito (RC) gli investigatori dello Sco e della Squadra mobile di Reggio Calabria hanno catturato Antonino Lo Giudice, ricercato dal giugno scorso, poiché sul suo capo pendevano alcuni provvedimenti restrittivi per associazione di tipo mafioso ed alti reati aggravati dalle finalità mafiose. Nell’aprile 2011, dopo il suo arresto per gli attentati ai magistrati reggini Di Landro e Pignatone, aveva iniziato un rapporto di collaborazione con la procura della Repubblica di Reggio Calabria. La scorsa estate era evaso dagli arresti domiciliari che stava scontando a Macerata.
Valentina Pistillo

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... e le operazioni passate alla storia
Nell’arco di quasi 4 anni due imponenti operazioni hanno scoperchiato i traffici illeciti delle cosche calabresi in Italia e nel mondo. E in mezzo decine e decine di operazioni condotte dalla Polizia di Stato che ha inferto colpi durissimi alla ’Ndrangheta.

Luglio 2010: “Crimine” e “Infinito”
Gigantesca operazione contro la ‘ndrangheta calabrese e le collegate cosche milanesi, portata a termine dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, in collaborazione con il Servizio centrale operativo, le Squadre mobili territoriali e i Carabinieri tutti coordinati dalle Direzioni distrettuali antimafia dei tribunali di Reggio Calabria e Milano con l’arresto, e successiva condanna, di 258 persone, colpevoli di reati quali omicidio, traffico di sostanze stupefacenti, ostacolo del libero esercizio del voto, riciclaggio di denaro proveniente dalle attività illecite quali corruzione, estorsione ed usura. Essendo il coordinamento tra le due Dda il punto di forza principale per il successo dell’operazione, è opportuno parlare di operazione “Crimine-Infinito” come unione dei due filoni d’indagine “Crimine” a Reggio Calabria e “Infinito” a Milano. Risalenti fino al 2003, si compongono in gran parte di intercettazioni e filmati da parte di Polizia e Carabinieri: importantissimo quello ripreso al Santuario della Madonna di Polsi il 2 settembre 2009 ed al summit del 31 ottobre 2009 presso il circolo “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi autorevoli esponenti della ’Ndrangheta delle famiglie Commisso, Aquino e Mazzaferro, Alvaro, Longo, Pesce-Bellocco, Pelle. Le indagini hanno permesso di individuare infiltrazioni della ’ndrine in Canada e in Australia.

Febbraio 2014: “New Bridge”
In provincia di Reggio Calabria, Benevento, Caserta, Torino ed a New York, il Servizio centrale operativo, la Squadra mobile di Reggio Calabria e l’Fbi hanno eseguito una congiunta ed imponente operazione di polizia, denominata New Bridge, nei rispettivi versanti, con la cattura di diversi soggetti responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, associazione mafiosa, riciclaggio di proventi illeciti ed altri gravi reati. L’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e l’Attorney eastern district di New York, vede 44 indagati, 26 dei quali destinatari di provvedimenti restrittivi, per spaccio e traffico di droga, fra Italia, Stati Uniti, Canada, Centro e Sudamerica (tra di essi elementi di spicco della cosca Ursino, egemone nel versante ionio-reggino e della famiglia mafiosa Gambino a New York). Le indagini si sono svolte anche grazie ad agenti sottocopertura della Polizia di Stato e dell’Fbi che hanno effettuato significativi sequestri di droga. L’inchiesta ha, tra le altre cose, disvelato una rete di contatti tra esponenti delle famiglie Gambino ed Ursino, impegnate nel tentativo di realizzare una imponente importazione di cocaina in Italia, da comprare presso i potenti cartelli narcos del Centro-America, con basi logistiche in Sud America (Guyana) e Italia (versante ionico-reggino e porto di Gioia Tauro).
Valentina Pistillo

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ANCHE LA FICTION SCOPRE LA ’NDRANGHETA
Le trasposizioni televisive e cinematografiche aventi, come tema principale, storie criminali, sono aumentate in modo esponenziale negli ultimi tempi, sebbene il genere abbia origine già negli Anni ’30, con il lancio di pellicole importanti come Piccolo Cesare e Scarface. Il fenomeno assume una rilevanza mondiale con l’uscita de Il Padrino (1972), la storica saga della famiglia Corleone. Ultimamente, i recenti fatti di cronaca hanno attirato l’attenzione degli autori italiani di cinema e tv sulla ’ndrangheta: dai primi documentari e dalle docu-ricostruzioni di programmi come Blu Notte alle recenti fiction, passano circa dieci anni. La Tao2 di Pietro Valsecchi ha da poco lanciato la serie Tv Le mani dentro la città, con Simona Cavallari, nei panni di una funzionaria di polizia, opposta a una famiglia ’ndranghetista nascosta dietro un’impresa di ristorazione in un piccolo centro industriale del nord. Il film per la tv L’assalto, andato in onda lo scorso 3 febbraio e prodotto da Rai Fiction e da Iter Film per la regia Ricky Tognazzi e con la collaborazione della Polizia di Stato, ha affrontato il problema con una forte impronta realistica, ponendo l’attenzione sulla capacità di subdola infiltrazione nel tessuto economico e sociale che la ’ndrangheta ha dimostrato. Protagonista è Diego Abatantuono, nei panni di Giancarlo Ferraris, un imprenditore vecchio stampo che, pur di salvare dal fallimento la sua azienda, finisce nelle mani delle organizzazioni criminali. Il regista si è mostrato davvero soddisfatto del progetto: «Ci sono storie che chiedono di essere raccontate, fatti di attualità troppo importanti per restare nell’ombra. La Rai, nell’occasione, si è presa l’onere e l’onore di offrire lo spazio necessario e noi, abbiamo fatto del nostro meglio per pedinare la realtà, come insegnava Cesare Zavattini, e raccontare in modo credibile, realistico, la più organizzata fra le mafie infiltrate al Nord. Dai primi ’ndranghetisti spediti al confino nei primi Anni ‘60, l’organizzazione si è insinuata nel tessuto sociale e le nuove leve conoscono perfettamente le leggi della finanza e dell’economia. Pensando a questo e grazie ad una sceneggiatura credibile, abbiamo cercato di caratterizzare i criminali della storia in base all’età e alla generazione di appartenenza. Il fatto che la Polizia di Stato abbia apprezzato il risultato finale del nostro lavoro di squadra, mi rende orgoglioso».
Nicola Marchetti

01/04/2014