a cura di Michele Grillo e Salvatore F. Giannone (1^ pt). Di Ida Bonagura e Silvia La Selva (2^ pt)
Undercover
L’agente sottocopertura: legislazione e formazione
Il nostro vigente Codice Rocco prevede tra le cause di non punibilità (cause di giustificazione) quella di cui all’art. 51 in virtù del quale non è punibile chi abbia commesso il reato nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità. La norma de qua, per costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, scrimina le condotte dell’agente provocatore solo se l’intervento di quest’ultimo sia indiretto e marginale nell’ideazione e nella esecuzione del fatto, se cioè costituisca prevalentemente attività di controllo, di osservazione e di contenimento dell’altrui illecita condotta.
Di conseguenza, è punibile l’agente a titolo di concorso nel reato se, invece, la condotta si inserisca con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato, nel senso che l’evento delittuoso sia riferibile anche alla condotta dell’agente provocatore (Corte di Cassazione, sent. 14 gennaio 2008, n. 10695).
Nel 1990 il legislatore nazionale, recependo la direttiva della Convenzione di Vienna sulla necessità di prevedere nell’ordinamento giuridico interno le consegne sorvegliate e le consegne controllate per il contrasto al traffico di stupefacenti, aveva inserito nel TU delle leggi in materia di stupefacenti (dpr n. 309/1990) il ritardo od omissione di atti (di cattura, di arresto o di sequestro, art. 98) e l’acquisto simulato di droga (art. 97).
Oltre l’Italia, anche altri Paesi europei avevano adeguato la loro legislazione alla suddetta esigenza, prevedendo la possibilità di intervento dell’agente provocatore in forme e con modalità diverse ed anche per indagini riguardanti settori diversi da quello del traffico di stupefacenti. Peraltro, è da osservare che il nostro giudice di legittimità, aderendo a quanto più volte la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva avuto occasione di affermare, con una recente decisione del 28 maggio 2008, n. 38488, ha distinto la figura dell’agente infiltrato da quella dell’agente provocatore in senso stretto ed ha affermato che le cause di giustificazione speciali che disciplinano le attività sotto copertura scriminano solo le condotte espressamente dichiarate non punibili, con esclusione dell’attività di provocazione vera e propria, di quella cioè che si concretizzi in un incitamento o in una induzione al crimine del soggetto indagato, che non perde il suo carattere illecito perché diversa da quella dichiarata non punibile.
1. L’attività sottocopertura in Europa
Sotto il profilo internazionale, l’istituto delle operazioni sottocopertura presenta una serie di problematiche comuni a più ordinamenti: dai modelli processuali differenti e lontani dei sistemi di common law, caratterizzati dal maggior credito accordato dal legislatore all’esigenza di difesa sociale, ai Paesi continentali, ove ci si deve raffrontare con rigorosi vincoli costituzionali che impongono, innanzitutto, il rispetto del principio di legalità nello svolgimento delle funzioni amministrative e giurisdizionali (civil law). Non è un caso allora che siano state proprio le indagini relative ai reati di criminalità organizzata – da sempre settore di strappi eccezionali ed emergenziali alle ordinarie regole – la sede naturale di verifica delle più marcate tendenze in materia di operazioni undercover.
Come dire, che ad alimentare questo fenomeno d’innovazione normativa è stata la convinzione, progressivamente raggiunta, che esistono dimensioni criminali in relazione alle quali la ricerca della prova esige la penetrazione informativa in strutture organizzate altrimenti impermeabili: da questo punto di vista, il credito legislativo alle operazioni d’infiltrazione cresce parallelamente a quello delle istanze di tutela e di premio per le condotte di collaborazione processuale.
Per di più, può dirsi che mentre il sistema premiale e oggi oggetto di profonde riflessioni e tentativi di ridimensionamento dell’area di operatività della protezione, in ragione di evidenti distorsioni e abusi perpetratisi nella prassi applicativa, lo strumento dell’indagine sottocopertura tende a estendersi anche in aree non necessariamente governate da strutture criminali organizzate, ma caratterizzate dalla particolare complessità dell’accertamento e dalle esigenze di repressione connesse all’allarme sociale che ne deriva.
Si tratta di un’evoluzione che accomuna i Paesi europei, per cui appare utile verificare le scelte legislative intraprese negli altri stati continentali in ragione anche della sempre crescente esigenza di strumenti investigativi comuni idonei a reprimere le gravi forme di criminalità transnazionale.
1.1 La Svizzera
La Svizzera dispone di una legislazione specifica con caratteristiche tali da poter essere considerata un modello di bilanciamento tra efficienza ed efficacia dell’attività svolta sotto copertura e garanzie per le persone che vi partecipano e per l’imputato.
La prima normativa è la legge 20 marzo 1975, che ha modificato la legge Betäubungsmittelgesetz del 3 ottobre 1951 e che introduce una scriminante speciale per il funzionario di polizia che “a scopo investigativo accetta in prima persona, o attraverso altri, un’offerta di stupefacenti, ovvero riceve personalmente o attraverso un’altra persona delle sostanze stupefacenti”.
Nel 2003 è stata emanata una legge federale sull’inchiesta mascherata, finalizzata ad infiltrare negli ambienti criminali membri della polizia non riconoscibili come tali e a contribuire al chiarimento di reati particolarmente gravi.
Due i principi generali contenuti nella legge testé citata: uno che prescrive una serie di misure per proteggere l’integrità e l’identità dell’agente infiltrato, mentre l’altro principio generale prevede che la forma e i mezzi utilizzati devono raggiungere lo scopo di accertare i fatti, ma nel contempo garantire il diritto delle persone interessate ad un processo equo, con una serie di prescrizioni a garanzia della legittimità dell’attività undercover.
La legge federale svizzera indica i reati definiti gravi per i quali è consentita tale attività e, inoltre, quali soggetti siano abilitati a compierla, prevedendo la possibilità per la polizia di assumere a titolo provvisorio persone cui sia consentito di svolgerla, pur se prive di specifica formazione professionale.
È prevista la possibilità di assegnare ai soggetti che operano undercover una fittizia identità che viene mantenuta anche nell’ambito del procedimento giudiziario nel quale gli operatori sono chiamati a deporre (come nella legislazione tedesca e, dal 2010, anche in quella italiana).
Sono disciplinati anche i rapporti tra autorità giudiziaria e polizia, distinguendosi tra attività sotto copertura preventiva, cioè avviata ad iniziativa della polizia, e quella disposta nel corso di un procedimento penale. Nell’attività undercover preventiva l’intervento dell’ag è previsto solo quando il rapporto dell’infiltrato riferisca dell’accertamento di un crimine o di un delitto e in tal caso l’Ufficio di polizia presenta una denuncia all’autorità competente; invece, nel secondo caso è dettagliatamente disciplinato l’onere di informativa da parte della polizia all’ag sull’andamento delle operazioni undercover ed è previsto che al termine di esse, l’ag che ha ordinato l’indagine sottocopertura ne informi l’imputato (l’ag può differire la comunicazione o rinunciarvi se possa arrecare grave pregiudizio all’agente infiltrato o esponga a serio pericolo terze persone o sia indispensabile non darne notizia a tutela di interessi pubblici preponderanti).
1.2 La Danimarca
In Danimarca, l’Amministration Justice Act del 1986, limitatamente a certe figure di reato, ha legalizzato la figura generale dell’agente provocatore e ne subordina l’operatività a tre condizioni. In primis è richiesta la sussistenza di un fondato sospetto che il reato stia per essere commesso o ne sia in corso il tentativo. Va da sé, l’impossibilita di attivare l’operazione undercover in virtù di una mera esigenza repressiva, poiché lo strumento si pone come mezzo per prevenire la commissione del crimine stesso. Inoltre, è richiesta l’insufficienza di altri strumenti investigativi alternativi alle operazioni sotto copertura, così da porla come vera e propria estrema ratio, oltre ad una particolare gravità dei reati per cui s’indaga, limitati a quelli per cui è prevista la reclusione non inferiore ai sei anni, ovvero ai delitti di contrabbando di particolare gravità. Successivamente si è precisato che la figura del provocatore può essere intrapresa solo da un funzionario di polizia ed esclusivamente in casi eccezionali.
L’attività dell’agente è subordinata alla decisione motivata dell’ag e, dall’inizio di essa, è necessario dare avviso al difensore, mentre, solo in casi particolari la polizia può ordinare che l’indagine rimanga segreta.
Queste prescrizioni – assenti nella disciplina italiana, ma che si devono considerare assorbite attraverso un’interpretazione adeguatrice ai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – dimostrano la sensibilità dell’ordinamento danese alle regole della fairness processuale.
1.3 La Francia
In Francia, la legge 19 dicembre 1991 n. 1264 sul rafforzamento della lotta al traffico degli stupefacenti, novellando il Code de la santé publique e il Code des douanes, ha inserito una clausola generale che esclude la punibilità degli agenti di polizia giudiziaria e degli agenti della dogana che procedono alla sorveglianza (inattiva) della produzione delle sostanze stupefacenti o delle piantagioni classificate come stupefacenti o che acquistino, detengano, trasportino o consegnino tali sostanze ovvero mettano a disposizione degli autori di reati in materia di droga, mezzi di trasporto o di comunicazione, luoghi di deposito di stoccaggio e di conservazione. Nella prima ipotesi è richiesta la previa informazione al procuratore della Repubblica o al giudice istruttore, mentre nel secondo caso e necessaria la loro autorizzazione scritta.
Nella formulazione della legge si è tenuto conto della prassi investigativa francese in materia di stupefacenti nell’ambito della quale sono stati elaborati tre distinti modelli di attivita sottocopertura.
In prima analisi, vi sono le livraisons surveillées, consistenti nell’attività puramente passiva degli agenti doganali o di polizia giudiziaria che si limitano a seguire e documentare, senza intervenire, le transazioni illecite del gruppo criminale posto sotto indagine.
Nella seconda categoria, definita livraisons controlées, vi rientrano le condotte attive dei pubblici ufficiali che intervengono nei diversi passaggi della merce (acquisto, trasporto, detenzione, vendita) anche assumendo personalmente incarichi di conservazione e di smistamento, cosi compiendo “in servizio comandato” atti costituenti reato.
L’ultimo modello di riferimento è l’infiltration che prevede l’inserimento del pubblico ufficiale nel gruppo criminale con il ruolo di trafficante nell’ambito del quale, ovviamente, l’agente infiltrato non solo deve detenere, acquistare, trasportare le sostanze stupefacenti, ma potrà essere costretto ad assumere iniziative di coordinamento o d’incentivazione dell’attività criminosa altrui.
Sia in dottrina sia in giurisprudenza è stata elaborata una nozione ristretta di agente sottocopertura, per cui non potrà mai esserlo un qualunque cittadino: deve trattarsi di un soggetto qualificato, ufficiale di polizia giudiziaria o agente di una specifica amministrazione a cui risponde del proprio operato e da cui riceve precise indicazioni sul modus operandi. La stessa dottrina, conformandosi alla giurisprudenza maggioritaria, ha dato una descrizione che permette di inquadrare con maggiore chiarezza l’ambito di operatività dell’istituto: “riguardo a certi delitti che, per varie ragioni, è difficile scoprire […] si è affermato nella polizia giudiziaria l’uso di tendere delle trappole. Un’occasione di delitto artificiosamente suscitato è un modo di arrestare chi si suppone commetta abitualmente il delitto e di consegnarlo alla giustizia”.
La provocazione poliziesca può perciò essere definita come un mezzo per chiarire un reato difficilmente accertabile con metodi ordinari, attuata di regola nei confronti di chi è sospettato di compiere abitualmente il delitto. Concludendo, la pur sommaria descrizione appena richiamata consente di mettere in luce le peculiarità del sistema francese, capaci di distinguerlo nettamente da quello italiano e tedesco.
1.4 La Germania
Nell’ordinamento tedesco, la legge OrgKG del 15 luglio 1992, di lotta al traffico illegale di stupefacenti e alle altre forme di manifestazione della criminalità organizzata, ha previsto la figura dell’investigatore coperto o segreto – Verdeckte Ermittler – con facoltà di operare nei settori criminali del traffico di stupefacenti e di armi, della falsificazione di monete o di titoli, nonché nei reati contro la personalità dello Stato. Si è trattato, in sostanza, di un accorpamento sotto una disciplina organica delle più specifiche figure già delineatesi nell’ordinamento tedesco sotto la spinta della legislazione dell’emergenza degli Anni ’80.
Secondo questa disposizione, l’impiego di un investigatore segreto è consentito esclusivamente al fine di reprimere le suddette tipologie di reati, tutti riconducibili a forme di manifestazione della criminalità organizzata, con il limite di potervi ricorrere solo in via sussidiaria nei casi in cui l’accertamento con altri strumenti risulterebbe vano o sensibilmente più difficile.
Sotto l’aspetto strettamente procedimentale, il legislatore tedesco senza formulazioni equivoche ha assoggettato l’utilizzo dello strumento undercover al preventivo intervento dell’autorità giudiziaria.
È, difatti, richiesta l’autorizzazione scritta del pubblico ministero, ancorché sia prevista una procedura ex abrupto per cui la polizia giudiziaria può intraprendere l’attività sotto copertura, ma la stessa deve immediatamente essere interrotta se non perviene l’autorizzazione scritta entro tre giorni dal suo inizio. La conseguenza naturale dovrebbe essere l’assoluta impossibilità di utilizzare gli elementi di prova raccolti in mancanza di una ratifica da parte dell’autorità giudiziaria.
Nell’ordinamento tedesco, soprattutto negli anni più recenti, la problematica ha avuto un sorprendente sviluppo sul piano processuale. Ancorché in Germania sia il legislatore, sia la stessa dottrina, non abbia mai tralasciato di occuparsi – almeno periodicamente – della figura dell’agente undercover, questa svolta nell’evoluzione procedimentale si è avuta principalmente grazie alla giurisprudenza.
Il Bundesgerichtshof si e molto occupato della prassi relativa alla provocazione di polizia, tuttavia la gran parte delle decisioni si concentrano sulla punibilità del provocato e non sulla responsabilità dell’agente provocatore.
In particolare, si dubita seriamente della conformità ai principi dello Stato di diritto dell’impiego, a meri fini processuali ed investigativi, di soggetti – per lo più pubblici ufficiali – che, anziché prevenire, provocano la commissione di reati da parte di terzi. Il discorso si sposta, quindi, su di un piano strettamente processuale: l’illegittimità costituzionale della tattica poliziesca, ancorché preceduta dall’autorizzazione del pubblico ministero, si riverserebbe sul processo escludendo la punibilità del provocato per il reato commesso. Secondo questa ricostruzione, la presenza di un agente provocatore nella dinamica del fatto integrerebbe una sorta di preclusione processuale, vuoi per un diretto vulnus a un principio costituzionale, vuoi perché lo Stato decadrebbe dalla titolarità della pretesa punitiva, per la tacita rinuncia insita nel suo agire contraddittorio – fomentare reati, al fine di prevenirli – in conformità al principio, di derivazione nordamericana, del venire contra factum proprium.
L’evoluzione giurisprudenziale volta a mitigare la rigidità di tali assunti elaborati dai giudici di merito ha portato a una completa esposizione casistica volta, peraltro, a escludere la totale impunità del provocato.
Nei casi maggiormente indicativi si può rinvenire un’evoluzione che sarà fatta propria, in seguito, dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, per cui il parametro di giudizio diviene la verifica dell’assenza di una sorta di “slealtà processuale” tipica dei paradigmi del due process of law, per cui andrà vagliata, caso per caso, la verifica dell’equità dello svolgimento procedimentale. Perciò, è fatto divieto agli agenti di utilizzare quale strumento di acquisizione delle prove mezzi che possono alterare la “volontaria decisione” o la “volontaria condotta”: la sanzione per la trasgressione del divieto è l’inutilizzabilità, contro la volontà dell’imputato stesso, delle conoscenze acquisite attraverso tali mezzi.
Per tali considerazioni, si distingue a seconda che la provocazione sia stata attuata nei confronti di un soggetto già fortemente indiziato, ovvero per effettuare un arresto in flagranza o ancora per verificare una notizia criminis già dotata di un autonomo fondamento, ed il caso in cui si istighi un soggetto che, sino a quel momento era rimasto almeno formalmente insospettato. In quest’ultima fattispecie, ci si troverebbe quindi all’interno di una provocazione inammissibile, le cui risultanze non potrebbero in alcun modo contribuire allo svolgimento di un equo processo.
Proprio con riferimento alla fase più strettamente processuale, l’ordinamento tedesco si occupa della tutela degli investigatori coinvolti nell’operazione undercover, prevedendo espressamente la possibilità di evitare la testimonianza dell’agente sottocopertura nel procedimento concernente i fatti da lui accertati. Nel dibattimento la sua escussione diretta può essere sostituita da una testimonianza de relato, la cui fonte, anche negli atti processuali, corrisponderà all’identità fittizia e non a quella reale dell’agente.
1.5 La Spagna
In Spagna, l’ordinamento giuridico in tale ambito presenta profili di notevole interesse e di notevole affinità con il nostro sistema.
L’analisi dell’agente provocatore nella dottrina ispanica si è incentrata, infatti, sia sugli aspetti sostanziali, intesa come una figura dogmatica vincolata alle regole della punizione dell’induzione a commettere un delitto – àmbito de partecipación en el delito – sia sugli aspetti procedimentali, con particolare riferimento alla técnica de investigación encubierta.
Da un lato si è, perciò, discusso del problema della responsabilità penale dell’agente provocatore, dall’altra parte l’analisi si è incentrata sui limiti che si devono imporre all’investigazione sottocopertura, attuata attraverso un funzionario di polizia che si introduce nell’organizzazione criminale con una identità fittizia o, perfino, di un mero confidente.
Il riferimento giuridico è dato dalla Ley Organica 5/1999 del 13 gennaio. Questa norma regola per la prima volta l’attuazione dell’agente encubierto nel processo penale e ha modificato l’art. 263-bis de la Ley de enjuiciamiento criminal sobre la entregada vigilata – decreto reale del 14 settembre 1882 – ampliando anche i presupposti della circulatiòn e dell’entregada vigiladas.
Ancorché non si abbia alcun riferimento statistico che attesti con quale frequenza sia stato utilizzato l’agente encubierto come tecnica di investigazione, le decisioni degli organi giurisprudenziali e, in particolare, la sala segunda del tribunale supremo, el tribunal costituzional y la audiencia nacional riflettono una marcata inclinazione per l’identificazione dell’agente provocatore con l’agente sottocopertura. Prendendo spunto dal dato legislativo, nel panorama penale e processuale spagnolo la figura dell’agente sottocopertura si identifica particolarmente con la figura del funzionario-policia addestrato per agire sotto false generalità per le lotta alla criminalità complessa. Non si tratta dell’unica figura ipotizzabile, posta l’eventualità che come agente sotto copertura agisca un privato cittadino che collabori con gli organi di sicurezza dello Stato: il mero confidente.
In Spagna, in seguito alla regolazione della Ley organica 5/1999 è stata, anche legislativamente, assimilata la figura dell’agente provocador e dell’agente encubierto.
Una tale parificazione si è avuta sulla base dei privilegi in termini di irresponsabilità penale rispetto alla actividad ecubierta e alla sua conseguentia necessaria, così come in relazione ai limiti della sua attività sottocopertura: con la precisazione per cui, no deben provocar el delito y encuadrarse de esta manera dentro del supuesto del art. 373 del código penal, se si tratara de un caso de tràfigo de drogas.
Questa assimilazione, basata sulle conseguenze penali delle due attività, non crea alcuna difficoltà interpretativa rispetto all’agente infiltrato, posto come in quasi tutti i casi l’agente provocatore rientri nella categoria degli agentes ecubiertos, intesi come funzionari di polizia.
Maggiori problemi si hanno quando l’agente sottocopertura si identifica come “confidente” al fine di scoprire il modus operandi delle organizzazioni criminali, infiltrandosi dentro le stesse.
Sulla base del disposto della Ley organica 5/1999 del 13 gennaio, l’agente provocatore – confidente di polizia – deve essere considerato, quindi, fuori dall’ambito di copertura “legale”.
Il confidente che si spinga oltre una attività di osservazione dell’attività illecita altrui si troverebbe, pertanto, esposto ad ipotesi di responsabilità penale come compartecipe nel reato.
Entrando nello specifico della norma, va detto come questa sia stata considerata la risposta repressiva del diritto penale, sostanziale e processuale ad un tipo di criminalità non ordinaria, identificata, da alcuni settori della dottrina, come “narco-criminalità”, pur tenendo in considerazione come tale definizione non è certamente comprensiva di tutti i delitti per cui è azionabile l’attività sottocopertura.
Così come è avvenuto per il nostro ordinamento, la fonte di tale disciplina è stata rinvenuta nella Convenzione di Vienna sul traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope.
La norma pone una serie di vincoli di natura oggettiva e soggettiva all’azione undercover, il rispetto dei quali ha dei risvolti fondamentali sia in tema di responsabilità dell’agente encubierto-provocador, sia per quanto attiene all’utilizzabilità probatoria degli elementi raccolti.
Innanzitutto, come si e visto, l’agente sotto copertura deve essere, necessariamente, un funzionario di polizia giudiziaria. Si vuole così restringere la qualità di agente encubierto restringendo il campo ai soli appartenenti ad un corpo specializzato di polizia giudiziaria, che per agire deve necessariamente essere autorizzato dal giudice o dal pubblico ministero, obbligato a sua volta a comunicare tale autorizzazione al giudice. Quest’ultima sarà seguita da un provvedimento che assegna all’agente un’identità ed un lavoro fittizio, previamente indicato dal ministero dell’Interno, validi per sei mesi, prorogabili per periodi di tempo di uguale durata.
L’ambito di operatività dell’agente encubierto è circoscritto da un criterio di politica criminale di lotta contro la criminalità non convenzionale che la Ley organica 5/1999 del 13 gennaio identifica come la criminalidad organizada.
Il legislatore spagnolo, al pari di quello italiano, ha imposto una serie di ipotesi tassative di reati per i quali si può procedere con le azioni sotto copertura creando, tuttavia, un catalogo di fattispecie molto più ampio, che variano dalla classiche forme di espressione del crimine organizzato, quali il traffico di armi e il terrorismo, sino a delitti contro il patrimonio pubblico o storico, la falsificazione di monete ma anche reati quali le violazioni penali dei diritti dei lavoratori.
Inoltre, va detto che l’esenzione da responsabilità penale si estende sino a giustificare la condotta dell’agente che attenga ad una attività sottocopertura como conseguencia necessaria del desarrollo de la investigacion.
Questa attività dovrà essere necessariamente proporzionata con la finalità dell’investigazione e non potrà sfociare in una vera e propria istigazione al delitto.
Si è allora cercato di rompere con la tradizione giuridica introducendo una differenziazione con l’agente provocador come limite alla sua attuazione sottocopertura.
Così, tanto la necessità come la proporzionalità dell’azione undercover, in ogni caso, “sono criteri che a rigore, di fronte al limite materiale della non provocazione del delitto, si pongono come correttori di indole secondaria”.
Si era inizialmente sostenuta l’esistenza di un principio generale per cui la provocazione non incontrerebbe almeno teoricamente alcun limite, posta la speciale qualità del soggetto che agisce come provocatore.
La volontà legislativa in questo caso è volta a limitare soggettivamente la figura dell’agente encubierto, sulla base della sua condizione speciale di agente della polizia giudiziaria, introducendo la distinzione fra delito provocado e la provocación policial. Da una parte, per quanto attiene al delitto provocato la giurisprudenza si è orientata per l’impunita più del provocato che del provocatore, per l’attitudine di questa attività a ledere principi costituzionali posti alla base dello stato sociale democratico di diritto. Qualora l’agente di polizia giudiziaria non crei ex novo la volontà di commettere il delitto, limitandosi a propiziare lo scenario idoneo al compimento del reato in quella determinata circostanza, l’attività deve considerarsi legittima poiché rivolta al reperimento della prova del fatto.
Questo è il limite materiale che l’art. 285-bis della Ley de enjuiciamiento criminal stabilisce per la legittimità delle azioni sottocopertura dell’agente provocatore e per la sua esenzione da responsabilità penale. La proibizione di provocare un delitto per l’agente non è, quindi, un limite assoluto, ma relativo a quanto possa essere considerato apertamente in contrasto con i principi costituzionali e con la libera formazione della volontà del provocato.
Il rispetto di tali limiti, non solo si riflette direttamente sull’esenzione da responsabilità del provocatore, ma è fondamentale per preservare la validità della prova che dipende dalla investigazione sottocopertura: si parla in questi casi di prueba provocada.
Accertati i criteri delimitativi dell’azione degli agentes encubiertos – siano essi provocatori o semplici infiltrati – ne deriva che, in linea generale, quando il provocatore non è considerato punibile la prova ottenuta con la sua attività sarà legittima nel processo, in caso di responsabilità penale dell’agente encubierto la prova da lui raccolta deve ritenersi illegittima. La dottrina spagnola sul punto non è, tuttavia, unanime ed è particolare notare come, in attesa di decisioni giurisprudenziali in proposito, poste le evidenti similitudine con il percorso dogmatico italiano, essa rivolga uno sguardo al nostro Paese ed alle elaborazioni in merito alla prova illecita e illegittima, oltreché, in via comparativa, con il sistema nordamericano.
2. Le operazioni sottocopertura in Italia in materia di stupefacenti
In Italia la prima previsione di una specifica esimente per l’agente provocatore risale all’art. 25 legge 26 giugno 1990 n. 162, col quale per il contrasto ai traffici di stupefacenti furono inseriti gli artt. 97 e 98 del vigente TU delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope (dpr 9 ottobre 1990 n. 309) riguardanti rispettivamente l’acquisto simulato di droga e le ipotesi di ritardo od omissione degli atti di cattura, arresto o di sequestro.
Nell’occasione sono state recepite le indicazioni contenute nell’art. 11 della Convenzione Onu contro il traffico illecito di stupefacenti (Vienna, 20 dicembre 1988) e ratificata in Italia con la legge 5 novembre 1990 n. 328.
L’art. 11 della Convenzione di Vienna, infatti, prevede il ricorso alle consegne sorvegliate a livello internazionale, nonché la possibilità di intercettare ed autorizzare a proseguire spedizioni illecite, per le quali sia stato convenuto di sorvegliare la consegna, eventualmente anche dopo la sottrazione delle sostanze stupefacenti spedite o la sostituzione di esse con altri prodotti.
Naturalmente, la Convenzione di Vienna, come di norma tutti gli atti pattizi internazionali, subordina l’operatività della disciplina dettata dall’art. 11 al rispetto dei principi fondamentali degli ordinamenti giuridici delle parti contraenti. Ciò significherebbe, secondo un’interpretazione restrittiva, che in un Paese in cui l’azione penale è obbligatoria (come il nostro) non sarebbe possibile controllare il transito di una partita di stupefacenti proveniente da uno stato estero e diretta ad un altro stato, né, comunque, far uscire un carico di stupefacenti dai confini nazionali, né favorire il transito di trafficanti che debbano raggiungere altri stati, in quanto in tutte queste ipotesi il citato principio dell’obbligatorietà dell’azione penale imporrebbe di intervenire prima che gli stupefacenti o i loro trafficanti lascino il territorio dello stato.
Le prescrizioni dell’art. 98 TU citato legittimano una diversa interpretazione, in sintonia con gli impegni assunti dall’Italia in campo internazionale, con la possibilità per la pg di omettere i provvedimenti di ritardo o di omissione di atti all’agente competente per il luogo in cui l’operazione deve concludersi, ovvero attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio nazionale delle sostanze stupefacenti.
L’art. 9 della legge 16 marzo 2006 n. 146 (modificato con legge 13 agosto 2010 n. 136) ha accorpato tutte le ipotesi di operazioni sotto copertura.
I destinatari dell’art. 97 TU citato sono gli ufficiali di pg che eseguano attività antidroga disposta dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, sempre d’intesa con questa, dagli organi di vertice della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza o dai responsabili a livello provinciale.
3. Le operazioni sottocopertura in Italia in altre materie
Dopo la normativa finalizzata al contrasto del narcotraffico, la previsione dell’esimente per l’agente provocatore è stata estesa anche ad altri settori criminali, facendo sì che il nostro legislatore, con il dl 15 gennaio 1991 n. 8, prevedesse la possibilità di compiere operazioni controllate di pagamento del riscatto quando ciò fosse necessario per acquisire rilevanti elementi probatori circa il debito di un sequestro di persona a scopo di estorsione, ovvero per l’individuazione o cattura degli autori di tale delitto.
Con il dl 31 dicembre 1991 n. 419 (convertito in legge 18 febbraio 1992 n. 172) era stata già prevista la possibilità per il pm di ritardare, con decreto motivato, l’esecuzione dei suddetti provvedimenti qualora necessario per acquisire rilevanti elementi probatori in ordine ai delitti di estorsione, usura, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, ovvero per l’individuazione o cattura dei responsabili di tali delitti,ai quali (rif.to art. 8 legge n. 238/2003) erano stati aggiunti quelli di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi e di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Allo stesso fine e per gli stessi motivi, gli ufficiali di pg potevano omettere o ritardare gli atti di propria competenza con immediato avviso al pm e trasmissione nelle successive 48 ore di motivato rapporto.
Altre ipotesi delittuose sono state disciplinate con il dl 8 giugno 1992 n. 306 (convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356, art. 12-quater) con le quali poter ritardare od omettere gli atti degli ufficiali di pg della Direzione investigativa antimafia e dei Servizi centrali ed interprovinciali ex art. 12 dl n. 152/1991.
4. Le Convenzioni di Bruxelles (Ue) e di Palermo (Onu)
In una prospettiva di reductio ad unitatem di tutte le esimenti autonomamente disciplinate, il Consiglio dell’Unione Europea, con la Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria penale tra Stati membri UE (Bruxelles, 29 maggio 2000), aveva ampliato in maniera rilevante l’area di operatività delle consegne controllate (art. 12) e delle operazioni di infiltrazione (art. 14).
L’art.12 dispone che ciascuno stato membro è obbligato ad adottare le disposizioni atte ad assicurare la possibilità di autorizzare, in caso di richiesta di un altro stato membro, lo svolgimento di una consegna sorvegliata nel proprio territorio nell’ambito di indagini penali relative a reati passibili di estradizione: cioè qualsiasi reato punibile dalla legge dello stato richiedente con una pena restrittiva della libertà non inferiore, nel massimo, ad un anno e dalla legge dello stato richiesto con una pena non inferiore, nel massimo, a sei mesi. La norma testé citata ha accorpato tutte le esimenti già previste per singole categorie di reati.
Anche con l’art. 14 della Convenzione di Vienna che regola le operazioni sotto copertura, il Consiglio dell’Unione Europea ha previsto l’esigenza di una formazione speciale degli agenti infiltrati e la possibilità che essi siano utilizzati specificamente per infiltrarsi nelle organizzazioni criminali al fine di ottenere informazioni o contribuire all’identificazione e all’arresto dei membri della rete.
Dal canto suo, anche la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (Palermo, dicembre 2000), all’art. 20 pone la necessità di ricorrere a tecniche speciali di investigazione per gravi reati internazionali indicati negli artt. 2 e 3 della medesima Convenzione (tra i quali anche il traffico di stupefacenti. L’art. 20 della citata Convenzione Onu dispone, infatti, che ciascuno stato membro, se consentito dai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico e alle condizioni da esso stabilite, adotti le misure necessarie a consentire l’appropriato impiego della consegna controllata e, laddove ritenuto opportuno, l’impiego di altre tecniche di indagine, quali la sorveglianza elettronica o di altro tipo, e le operazioni sotto copertura da parte delle autorità competenti sul suo territorio allo scopo di contrastare efficacemente la criminalità organizzata.
LA PSICOLOGIA A SUPPORTO DEGLI AGENTI UNDERCOVER: IL MODELLO ITALIANO
La person specification
La figura dell’agente undercover, pilastro di una procedura investigativa alla quale anche nei contesti internazionali è riconosciuta grande efficacia operativa, esprime interessanti complessità dal punto di vista psicologico. Ne deriva l’esigenza di strutturarne l’impiego, in primis, mediante un articolato percorso di selezione che si pone l’obiettivo di individuare operatori di polizia in possesso di un profilo attitudinale di una struttura di personalità funzionali a sostenere gli stimoli cognitivi ed emotivi che, inevitabilmente, prima, durante e dopo le missioni investigative dovranno gestire.
La selezione
È per questa ragione che, a partire dal 2007, il Centro psicotecnico della Polizia di Stato mette a disposizione della Direzione centrale dei servizi antidroga strumenti di selezione e formazione specialistica per gli agenti della Polizia di Stato impegnati in attività di sottocopertura.
Le procedure selettive e quelle formative, sono state attagliate ad un profilo – o person specification – estremamente aderente alle esigenze di adeguatezza e abilità previste per questo specifico impiego, al fine di garantire gli elevati standard di sicurezza e di efficienza richiesti. Il processo di organizzazione della selezione ha preso avvio con un primo step, che tecnicamente viene definito di job analisys. È la fase in cui si acquisisce il know how circa le variabili spazio-temporali e organizzative riferibili a tutti i possibili scenari operativi nei quali i candidati potrebbero svolgere il loro incarico.
Tali informazioni, raccolte mediante una griglia di analisi, sono state ottenute attraverso l’osservazione diretta di simulate di addestramento, l’analisi dei report di precedenti operazioni sotto-copertura, colloqui informativi semi-strutturati e questionari somministrati ad esperti undercover e funzionari responsabili. Tecnicamente questa fase di lavoro permette di “fotografare” la realtà operativa, definendo il ruolo da ricoprire secondo le caratteristiche di contesto che gli sono proprie.
Ai fini della selezione, il quadro delle variabili organizzative e contestuali così ottenuto, è stato messo in relazione con il profilo oggettivo , ossia in termini concreti con quella che è l’analisi esaustiva delle azioni e dei comportamenti che rientrano nella peculiarità del ruolo e che lo definiscono , effettuata attraverso una check-list a focalizzazione crescente. Estrapolando le variabili di funzionamento psichico necessarie per l’agire i comportamenti e le azioni richieste in base al profilo oggettivo, è stato quindi elaborato un profilo soggettivo che comprende alcune variabili altrettanto specifiche.
Il profilo psicoattitudinale, così sviluppato, ha indirizzato gli psicologi del Centro sulla scelta di strumenti tarati a rilevare i vari fattori di funzionamento psichico ed emotivo da misurare e sull’allestimento di setting controllati per la somministrazione.
Il processo selettivo per la valutazione dei candidati avviene nella sede del Centro psicotecnico ed è articolato in una batteria di test individuali e di gruppo, simulate esperenziali e un colloquio psicologico semi-strutturato.
Il profilo psicologico dell’agente undercover
Alcuni tra gli scenari di intervento più peculiari per questa attività sono la frequente interazione con persone e culture antagoniste rispetto alla propria formazione morale; la permanenza a medio e lungo termine in situazioni di isolamento rispetto al proprio nucleo familiare, sociale e lavorativo; ritmi sonno-veglia stressanti; conduzione di uno stile di vita completamente inusuale rispetto al proprio.
Il profilo oggettivo prevede tutta una gamma di azioni e comportamenti peculiari che vanno dalla capacità di costruire e gestire una relazione fittizia diretta con membri delle organizzazioni criminali, alla presa di decisioni, alla capacità di pianificazione scrupolosa delle azioni a lungo termine, alla stretta osservanza delle regole e del timing delle consegne. Di particolare rilievo è la capacità di assumere decisioni in emergenza che non rientrino tra quelle pianificate e che non rappresentino un pericolo alla sicurezza propria e della missione.
Va sottolineato che, per quanto riguarda gli aspetti cognitivi – ossia lo stile di funzionamento del pensiero – chi fa questo lavoro deve possedere un tipo di intelligenza creativa, utile per costruire la propria storia di identità fittizia e mantenere un grado di coerenza interna ed esterna nei contenuti di dissimulazione. Altrettanto importante è uno stile di processamento delle informazioni altamente discriminatorio rispetto agli stimoli visivi e uditivi ed elevate capacità di memorizzazione e recupero delle informazioni. Un agente che entri in un locale che non conosce insieme al target, durante un’operazione per esempio, deve saper individuare le vie di fuga e poter “fotografare” visivamente gli avventori presenti in un brevissimo tempo, attraverso uno sguardo apparentemente distratto, mentre chiacchiera o beve un caffè.
Dal punto di vista della percezione di sé e degli altri deve possedere un locus of control interno, ossia una tendenza a percepire un elevato potere di controllo sugli eventi esterni e un elevato grado di responsabilità rispetto alle conseguenze delle proprie azioni. Deve possedere un’adeguata percezione del rischio rispetto ai pericoli e mantenere una buona consapevolezza sui propri comportamenti.
Per quel che riguarda la gestione delle problematiche è importante che l’agente undercover abbia uno stile di coping centrato sui dati oggettivi. In altre parole gli è richiesto di saper elaborare strategie di risoluzione attiva rispetto alle difficoltà ed una elevata capacità di gestione e controllo delle proprie emozioni. Per esempio, è stato osservato che spesso l’affiliazione è messa alla prova con comportamenti relazionali ambigui o sfidanti da parte del target, soprattutto durante la prima fase di inserimento; questi sono momenti critici, dovuti a situazioni improvvise o solo parzialmente pianificabili, che possono costituire un significativo break down nei modelli risolutivi pianificati e necessitano di una capacità di valutazione cognitiva e decisionale .
La permanenza in un contesto potenzialmente ostile e pericoloso, lontano dalla famiglia e dalla struttura centrale di servizio, necessita di un buon grado di resilienza psicologica rispetto agli eventi fortemente stressogeni ovvero presuppone una bassa vulnerabilità e una capacità di persistenza nel raggiugere gli obiettivi.
L’efficacia di un’operazione sotto copertura è, inoltre, strettamente connessa alla capacità di ottenere informazioni anche complesse da persone sconosciute e coinvolgere l’interlocutore in una relazione di fiducia. Quindi gli aspetti preminenti del funzionamento relazionale sono un’elevata capacità empatica – idoneità a comunicare in modo sintonico e persuasivo – bassi livelli di introversione ed elevata attitudine di simulazione sociale. Infine, dal punto di vista evolutivo un elemento importante è dato dal grado di interiorizzazione dell’impegno morale e da una sufficiente consapevolezza dei propri livelli motivazionali: una variabile che limita il fattore di rischio legato ai possibili processi di “slittamento” verso l’identità fittizia.
La formazione
L’attività del Centro non si esaurisce con la selezione. I candidati idonei, infatti, vengono seguiti anche durante il corso di formazione presso la sede della Dcsa sia nel corso delle lezioni teoriche sia nella fase dell’addestramento pratico.
Il ciclo di formazione è stato progettato in équipe da due psicologi di polizia in servizio presso il Centro e condiviso con la Dcsa. È indirizzato, oltre che agli agenti con funzioni di sottocopertura, anche ai funzionari responsabili delle unità operative e prevede una azione di supporto e di trasferimento dell’apprendimento successivo alla formazione dedicato agli esperti undercover.
L’intervento formativo si ispira ad un approccio metodologico di trasferimento delle competenze fondato su una analisi dei bisogni di chi opera a diversi livelli in attività sottocopertura e pertanto è diversificato e “misurato” in base alle problematiche psicologiche proprie di ogni ruolo, funzione e grado di esperienza all’interno della squadra investigativa.
L’apprendimento è concepito come un processo cognitivo e il docente ha il ruolo di attivatore e facilitatore. In questo senso assume ovviamente importanza l’attività simulata sotto supervisione (coaching) rispetto alla docenza (teaching).
Gli aspetti psicologici trattati sono sviluppati attraverso la formula didattica della formazione integrata e sono tesi a rafforzare la consapevolezza sui processi psichici implicati prima, durante e dopo le missioni operative.
Per gli agenti con funzioni di sottocopertura, per esempio, la formazione è centrata sui processi legati alla percezione dell’identità di ruolo che può rappresentare un nodo problematico per chi deve assumere, anche per lunghi periodi, una o più false identità. Altro tema di apprendimento, attraverso test ed esercitazioni, è legato all’acquisizione di tecniche di comunicazione utili per affinare le abilità di ascolto durante le relazioni fittizie con il target. Una ulteriore dimensione che viene approfondita con gli agenti, attraverso simulate esperenziali e tecniche di gruppo, è quella della gestione dello stress che è una delle componenti emotive e cognitive che può influire negativamente sulle prestazioni, sulla sicurezza e sul benessere personale. I corsisti vengono “impiegati“ in squadre con compiti diversificati di intelligence introducendo variabili di interferenza stressogena di vario grado specifico. Questa tecnica permette di valutare i processi di apprendimento dell’abilità decisionale, in condizioni standard e di stress. Compito del percorso di apprendimento è la preparazione a mantenere la lucidità decisionale e di giudizio in condizioni di controllo multivariabile.
Per i responsabili delle unità specializzate antidroga invece, l’allenamento su temi psicologici durante la formazione è centrato su aspetti fondamentalmente diversi e altrettanto specifici per il ruolo. Attraverso tecniche di modeling e di role playing gli psicologi forniscono le competenze necessarie per facilitare i processi decisionali nell’attribuzione dei compiti all’interno delle squadre operative e facilitano l’acquisizione delle tecniche di comunicazione più efficaci nella gestione dei gruppi di lavoro, soprattutto durante le situazioni critiche.
Una parte altrettanto importante per la formazione dei funzionari responsabili delle unità operative è indirizzata, infine, alla conoscenza dei fattori di rischio psicologico del team durante particolari operazioni e all’acquisizione di strumenti di lettura dei segnali comportamentali indicatori di stress. Questo ultimo aspetto è molto rilevante per chi ha la gestione del personale impiegato ed è tanto più utile quando l’impiego previsto in una missione undercover ha una durata tale da rappresentare di per sé un fattore di rischio.
Per gli esperti undercover ossia per gli operatori e i funzionari che sono stati impiegati in precedenti missioni, la formazione è centrata su due aree:
1. La prima è indirizzata a ridurre e/o prevenire le possibili conseguenze negative delle esperienze traumageniche di percezione del rischio e utilizza una metodologia di intervento di debrifing psicologico.
2. La seconda segue l’approccio della ricerca-intervento. Attraverso questionari e focus group, gli psicologi forniscono la loro consulenza agli esperti sulle problematiche psichiche emergenti durante le attività undercover e nella fase del reinserimento in servizio. Gli elementi rilevati in questa fase vengono acquisiti per aggiornare i cicli successivi di selezione e formazione e garantire un servizio aderente ai bisogni operativi e istituzionali.
Conclusioni
L’attività di collaborazione con la Direzione centrale per i servizi antidroga ha permesso di strutturare e pianificare un intervento psicologico a servizio e supporto degli operatori della sicurezza impiegati in un contesto investigativo molto delicato e complesso dal punto di vista delle risorse psichiche messe in campo. Il modello presentato in questo articolo è stato realizzato con l’obiettivo di fornire un prodotto articolato e misurato sulla base delle esigenze istituzionali e dei bisogni individuali. Il lavoro segue un binomio metodologico di interscambio tra attività di selezione e supporto formativo. Entrambe le attività sono svolte utilizzando metodologie e strumenti in linea con l’attuale orientamento scientifico. La grande sinergia di intenti tra la Direzione centrale per i servizi antidroga e il Centro psicotecnico ha permesso di condividere e sostenere un progetto indirizzato al perfezionamento e alla specializzazione degli interventi in favore della sicurezza dell’attività sottocopertura.