Anna Lisa Spitaletta

Codice rosa

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Dalla Direzione centrale della polizia criminale alle questure. Tutte le modalità d’intervento sul territorio per proteggere le donne dai reati di genere

«È legge, è legge!». Così avranno certamente esultato tutte le donne da Nord a Sud d’Italia il 15 ottobre 2013, per la conversione in legge del Senato del decreto sul contrasto della violenza di genere. Il “femminicidio è legge”, avranno detto senz’altro così, usando questo termine che la femminista Diane Russell introdusse agli inizi degli Anni ’90 per indicare ogni forma di violenza di genere commessa su una donna proprio in quanto donna, con l’enfasi di chi si sente rincuorato che anche la nostra giurisprudenza si sia adeguata alla maggioranza dei Paesi europei.
«Negli ultimi sei anni – dichiara Enzo Calabria, dirigente superiore della Direzione centrale della polizia criminale – gli omicidi di uomini sono diminuiti del 24 %, quelli di donne sono aumentati del 5%». Gli uffici di polizia sul territorio da sempre raccolgono storie di donne e di uomini in conflitti più o meno violenti e più o meno conciliabili, è proprio da lì che i poliziotti iniziano a indagare questi casi di violenza, dalle lacrime e da quei lividi sulla pelle delle donne mostrati con pudore e vergogna, imparando con l’esperienza dei tanti casi affrontati che dai loro lividi interiori a volte, invece, non si guarisce più.

COSA FA LA POLIZIA IN DIFESA DELLE DONNE?
In principio c’è l’Oscad
Forse non tutti sanno che le forze di polizia italiane sono tra le poche al mondo ad avere uno strumento di soccorso dedicato a chi subisce vessazioni, questo è l’Oscad, un Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, istituito nel settembre del 2010. È un organismo con una formula compositiva interforze, Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, inserito nella Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza, presieduto dal vice capo della Polizia, Francesco Cirillo. Una formula vincente per avere la forza di un gioco di squadra, per così dire, raddoppiato per i contributi professionali di entrambi i corpi.
Qual è l’efficacia di Oscad? Di essere un vero strumento operativo accessibile, oltre che dalla posta elettronica (oscad@dcpc.interno.it), anche dall’homepage del sito della Polizia di Stato (www.poliziadistato.it), dove si possono segnalare le violenze subite in quanto discriminatorie per origini etniche, razziali, di genere, ideologie religiose, orientamento sessuale, disabilità, età, lingua. Un reale bacino di raccolta di segnalazioni e il loro seguito in denunce. Questa ricca casistica d’intervento rende l’Oscad anche un polo esplorativo di studio delle strategie da condividere per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza nei confronti delle persone più vulnerabili.
Una valenza dal doppio binario con la capacità da un lato di far emergere il sommerso dei reati riconducibili alle azioni di percosse, lesioni, stalking in ambito familiare e non, e dall’altro di monitorare questi fenomeni per sviluppare misure di prevenzione e contrasto sempre più idonee e aggiornate direttamente dall’esperienza sul campo delle forze di polizia.

QUALE FORMAZIONE PER I POLIZIOTTI?
“Open minds project”

«“Menti aperte” è un progetto che comprende un corso teorico-pratico sviluppato dai formatori della Direzione centrale della polizia criminale – ci spiega Franca Soldato, tra gli ideatori del progetto – in collaborazione con la facoltà di medicina e psicologia dell’università La Sapienza di Roma e per la parte pratica delle tecniche di protezione, dall’associazione “Margot” di Perugia. È nato come un corso sperimentale pensato per chi interviene in prima battuta per questi tipi di violenze, cioè le forze di polizia, per fare acquisire agli operatori una maggiore consapevolezza e sensibilità sul fenomeno della violenza a danno delle donne, fornire maggiori conoscenze per gestire le situazioni di rischio connesse all’aggressione verbale, fisica e psicologica e poter assistere poi, con competenza, le vittime del reato». La formazione che si è svolta presso la Dcpc ha abbracciato tutti gli aspetti della problematica dal campo giuridico-normativo, a quello psicologico non tralasciando l’intervento più operativo con l’insegnamento dei primi gesti da compiere per proteggersi e scappare con gli istruttori dell’associazione “Margot”, impegnata sul territorio contro ogni violenza di genere, discriminazione e difesa dei diritti umani. Questo corso giunto ora alla seconda edizione è anche disponibile per ogni consultazione in un formato video che raccoglie tutti i contributi integrali.

UN KNOW HOW INTERNAZIONALE
“Great“

La Scuola superiore di polizia di Roma ha ospitato a ottobre del 2013 il IV congresso italiano Great Network, un focus sulle innovazioni e la ricerca in medicina di emergenza e urgenza, incentrato sul tema la “violenza sulle donne: network tra pronto soccorso, supporto psicologico e operatività”.
Un’occasione di confronto tra esperti italiani e internazionali dei diversi settori d’intervento arricchito dalle esperienze portate in conferenza durante una settimana di lavori, tra tutte il modello Milano della processing card, esposto da Alessandra Simone, oggi dirigente del commissariato Porta Genova, che si è occupata di violenza su donne e minori. Questa la mappa criminale per le donne vittime di violenza fotografata dai dati statistici del 2012 riportati da Enzo Calabria: 8 su 10 uccise da un uomo; la metà di queste violenze è avvenuta in casa. Una su 10 ha subìto violenza nei luoghi di lavoro. In media hanno 40 anni, ma sta crescendo il numero delle adolescenti. Nel 2012 sono state uccise 160 donne; 111 le ha ammazzate un familiare; in più di 7 casi su 10 l’assassino era il compagno o un ex.
Isabella Rauti, consigliere del ministro dell’Interno per le politiche di contrasto alla violenza di genere e del femminicidio, ha chiuso i lavori di presentazione anticipando la sottoscrizione del Codice Rosa, le linee guida nazionali sull’accoglimento delle vittime.
Un agile pamphlet “No more feminicide” del ministero dell’Interno (nella foto pagina precedente), da lei curato, raccoglie il nucleo della campagna di sensibilizzazione lanciata in occasione della riunione dei ministri dell’Interno G6 che si è svolta a Roma lo scorso settembre.

BEST PRACTICES DAL TERRITORIO
Questura di Roma “Fare Rete”

«Qual è la migliore formazione per un poliziotto? Sicuramente il continuo work in progress simbiotico tra il lavoro sul campo e l’interazione con gli altri ambiti che si occupano dei casi di violenza alle donne», ci spiega Annamaria Lamonaca, sostituto commissario che in prima linea ci sta da anni, alla IV sezione della Squadra mobile della questura capitolina. E sì perché è nella IV sezione di ogni questura d’Italia che la polizia si occupa di violenza sessuale e reati ai danni di donne e minori. È questo il primo front office per le donne che arrivano alla decisione di denunciare le vessazioni che subiscono e per le quali chiedono di essere difese. «Si è vincenti solo quando c’è un gioco di squadra – dice Lamonaca – ossia se si “fa rete” con i centri antiviolenza presenti sul territorio e con il pool di magistrati della procura che dispongono poi i provvedimenti cautelativi riferiti alle nostre denunce. Qui a Roma c’è un’intesa perfetta direi con tutti, un rapporto oramai fiduciario tra i referenti che seguono queste problematiche che è garanzia di celerità nella circolarità di un caso».

Questura di Milano
“Processing card”

A parlarci di questo modello operativo messo a punto dalla questura di Milano è Marco De Nunzio, dirigente della sezione reati contro la persona, la vecchia sezione omicidi della Squadra mobile della questura meneghina. «È una sorta di decalogo che indica per punti tutti i passi che un poliziotto deve compiere nell’affrontare una lite violenta in famiglia ed altre tipologie che prevedono aggressività nei confronti delle donne. Un modus operandi che parte dalle informazioni preventive che l’equipaggio della volante conosce ancor prima di arrivare sul posto, se per esempio ci sono già state altre liti, ossia una recidiva nella violenza. Poi appena raggiunte le persone come metterle in sicurezza, separandole in ambienti diversi della casa, con un occhio di maggior riguardo per i bambini. Acquisire, dove già esista, una documentazione sanitaria di lesioni per episodi precedenti, cercare testimonianze e fotografare, anche con il proprio cellulare, le lesioni esterne corporee e gli eventuali danneggiamenti alle cose». La procedura continua poi negli uffici di polizia per la denuncia.
A Milano c’è stato un Tavolo interistituzionale sulla violenza di genere, da luglio 2012 a tutto il 2013, promosso dal Comune che ha coinvolto tra tanti partner le forze dell’ordine, il mondo della giustizia (tribunale e procura e tribunale e procura per i minorenni) l’Ordine dei medici e degli avvocati, l’Ufficio scolastico territoriale, l’Asl e i soggetti della rete-associazioni di volontariato, culturali e di promozione sociale, per promuovere azioni comuni e monitorare il fenomeno. Da cui è scaturito un “Patto per la città” che verrà sottoscritto a breve in cui la Polizia di Stato porta l’innovativo Codice Rosa che prevede in questura una stanza dedicata solo a queste tipologie di denunce, arricchita anche da una cartellonistica/video per informare le vittime sulla presenza dei Centri antiviolenza sul territorio. Un ambiente più accogliente, con poliziotti già formati che assegnerà un colore alla gravità della trattazione del caso, proprio come al pronto soccorso.

Questura di Catania
I reati “sentinella”

Mentre si fa un gran parlare d’iniziative da mettere in campo a fianco delle donne che hanno subito violenza, acquista un valore di rilievo la Rete antiviolenza del distretto sanitario D16 attiva all’interno della questura di Catania fin dal 2008. Una rete nata per realizzare campagne di informazione e di sensibilizzazione e progetti formativi indirizzati al personale del pronto intervento, nonché a svolgere un ruolo attivo nel supporto e nella protezione delle vittime.
In particolar modo la Squadra mobile catanese, d’intesa con la procura distrettuale della Repubblica ha realizzato un “sistema” per cui l’Upgsp e i commissariati di zona segnalano tutte le denunce relative ai cosiddetti “reati sentinella” (percosse, lesioni o stalking) rilevatori di violenza domestica, poi analizzati secondo i parametri del metodo Sara (Spousal assault risk assessment) un sistema messo a punto in Canada che valutando la base del rischio, individua i fattori che possono aumentare la probabilità, l’escalation di violenza domestica, facendo prevenzione della recidiva.

Questura de L’Aquila
Camper e difesa personale

È durato due mesi, da settembre a novembre del 2013, il tour del “camper antiviolenza” della questura de L’Aquila che ha svolto una campagna di prevenzione in difesa delle donne, vittime di violenza domestica, di sosta in sosta tra i comuni della provincia aquilana e i quartieri dei complessi antisismici.
A bordo del mezzo della polizia un equipaggio fisso di poliziotti, un medico della questura e un rappresentante del Centro antiviolenza del capoluogo abruzzese.
Più che proficua l’attività di sensibilizzazione svolta anche con la distribuzione di volantini informativi, tradotti nelle lingue delle comunità maggiormente presenti nella zona, e la proiezione di un video all’interno del camper, attrezzato come aula didattica multimediale itinerante. Più di 100 al giorno le donne che sono salite a bordo per confrontarsi sulle tematiche di violenza domestica e stalking e per lasciare le loro testimonianze. Esperienza da replicare. Inoltre dall'8 marzo 2014, per migliorare gli strumenti di tutela per le donne, si terrà un corso di dodici lezioni di tecniche di difesa personale dove donna è anche l'insegnante di arti marziali, che mostrerà esercizi e tecniche comportamentali "a misura" della corporatura e psicologia femminile.

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AViCri e MuTAVi: due progetti europei di formazione per le forze di polizia
di Anna Maria Giannini*

La Decisione quadro del Consiglio d’Europa del 15 marzo 2001 sulla posizione delle vittime nel procedimento penale ha stimolato un profondo cambiamento culturale che assegna alle vittime stesse un ruolo centrale nell’ambito del procedimento penale e riconosce loro diritti e bisogni.
Comprendere il bisogno di sentirsi al sicuro, di esprimere le proprie emozioni e di sapere cosa accadrà dopo, come indicato dall’Office for Victims of Crime del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti) è essenziale per diminuire o eliminare il rischio di vittimizzazione secondaria. Sulla scia di questa esigenza presso la Direzione centrale della polizia criminale, è stato attivato un apposito gruppo di lavoro per migliorare le interazioni con le cosiddette “vittime vulnerabili”.
A partire dai primi anni del 2000 sulla linea Daphne (che finanzia interventi focalizzati sulle vittime vulnerabili) sono stati sviluppati due importanti progetti europei che si avvalgono del coordinamento scientifico dell’università La Sapienza di Roma (Facoltà di medicina e psicologia) nell’ambito di un Consorzio formato da partners italiani (Differenza Donna e Telefono Rosa), stranieri (forze di polizia di alcuni Paesi membri dell’Unione) ed enti locali.
Il primo, denominato Attention for Victims of Crime (AViCri) e preparato da un comitato di esperti provenienti dal mondo accademico e da quello delle forze di polizia, ha portato a termine la preparazione di un articolato kit di esercizi, simulazioni, role playing, e video, seguendo il format del cosiddetto train the trainers: in tal modo sono stati formati operatori in grado di riversare le proprie competenze su altri professionisti che vengono in contatto con le vittime.
Il modello AViCri è stato realizzato al fine di erogare le competenze giuridiche aggiornate (basti pensare alle novità introdotte dalla legge sullo stalking e a tutte le implicazioni di strumenti come l’ammonimento), le competenze psicologiche (tecniche di ascolto attivo ed empatico, strategie di holding e rassicurazione, metodologie di analisi del rischio di recidiva da parte dell’autore e coping, fronteggiamento della situazione da parte della vittima), le competenze sociologiche (sistemi sociali, basi della discriminazione) e quelle medico-legali (cosa fare o non fare in situazioni di aggressione grave o addirittura di omicidio).
Il secondo progetto, denominato Multimedia Tools Against Violence (MuTAVi), ha portato su piattaforma e-learning ed aggiornato i contenuti di AViCri, rendendolo fruibile a un più elevato numero di operatori. La piattaforma è stata resa disponibile anche attraverso CEPOL, l’Accademia di polizia europea che su proposta dell’Italia ha attivato un corso specifico, dal titolo Dealing with victims of crime, della durata di una settimana, che si è tenuto per un triennio in Italia e poi in Svezia. Proprio il Paese scandinavo ha riconosciuto l’eccellente livello formativo della Polizia di Stato.
*professore ordinario di Psicologia generale, dell’università La Sapienza di Roma

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UNA DISCRETA TESTIMONIANZA
Quando una donna che ha subìto una grave violenza di genere entra in un commissariato, la sensibilità di chi la accoglie e la sa ascoltare fa la differenza, non solo per il buon esito delle indagini ma per ciò che concerne la riuscita di recupero alla dignità personale e sociale della vittima. Vi riportiamo una lettera di ringraziamento alla quale abbiamo tolto appositamente riferimenti dettagliati, scritta da una donna che ha incontrato un uomo in divisa che le ha dato modo di ricostruire la sua vita e ritrovare fiducia nelle istituzioni.
Gentilissimo Emanuele, mi sento di dare del tu e spero che sia ben accetto. Volevo scrivere tante cose da tanto tempo, ma mi frenava il non voler disturbare e anche il non voler ricordare. La mia vita ha subìto un arresto, qualche tempo fa. Avevo davanti una strada, ed è stata bloccata. Ne sono uscita con un mare di paure. Ho cambiato sede lavorativa, ho comprato casa fuori città, ho eliminato molte amicizie. Ho avuto problemi a legarmi sentimentalmente, ho accettato aiuto da terapisti che mi hanno spinto a tornare a vedere un po’ di luce. Oggi sono assolutamente appagata, ho imparato a convivere con i fantasmi, ho un lavoro estremamente gratificante, amicizie assolutamente sincere, una figlia stupenda da crescere e qualche grazie da far arrivare.
La paura che ho vissuto non se ne andrà mai. Quando quella notte ho deciso di denunciare, ho affidato tutta la mia vita nelle tue mani. E le indagini, a partire dalle 5 del mattino, le prove, il lavoro scrupoloso che è stato fatto hanno portato me ad avere giustizia. Me è una società intera con me. Perché mi hai creduta, e solo negli anni ho imparato che avrebbe potuto anche non essere così.
Grazie perché mi hai aiutato ad avere fiducia nel sistema, grazie perché da quella fiducia sono rinata. Il processo mi ha devastata, ma il fatto che ci sia stata una pena adeguata (e questo in grossissima parte grazie alle indagini) mi ha permesso di ricominciare. Non ho urlato, ho sussurrato che volevo giustizia. L’ho sussurrato a un orecchio attento, che era in ascolto anche per me.
Grazie. Perché pur non essendone consapevole, ho preso questo esempio di generosità assoluta (la tua generosità nel prodigarsi per una perfetta sconosciuta), per devolvere TUTTA la cifra del risarcimento a famiglie con problematiche più grandi delle mie. Ho comprato casa con un mutuo infinito, fatto di soldi puliti. Ho ricliclato quelli sporchi con la felicità di chi ne aveva bisogno. Non sarei mai riuscita a dormire su un pavimento donato dai miei assassini dell’anima.
Sentiti orgoglioso Emanuele. Un sacco di vite sono migliorate, a partire dalla mia, che è potuta ricominciare da zero, grazie al tuo splendido lavoro. Mia figlia è nata, grazie alla tua giustizia. Mi è stato tolto il respiro, e con la sentenza mi è stato dato l’ossigeno. In molti hanno avuto un ruolo importante, e tanti grazie dovrei elargire.
Ma questo è il grazie più grande, perché senza il tuo lavoro, gli altri semplicemente avrebbero dovuto soccombere, riparare i danni, accettare la sconfitta.
Questo per dirti che in quella data, in quella notte, in quei mesi, tu hai salvato una vita. E con questa vita ne hai salvate tante altre, e ne hai fatta nascere una nuova. Non ci vuole umiltà qui, non la accetto. E davanti alle continue difficoltà del tuo mestiere, davanti alle critiche, in mezzo ai manifestanti, agli ultimi, ai casini più impensabili, pensa che un sacco di volte hai fatto la differenza tra la vita e la vita.
Non so se questa lettera basterà come ringraziamento, volevo scriverla perché è giusto che tu sappia che ci sono lavori per i quali il peso non deve essere mai troppo. Non farti mai sopraffare perché di me c’è pieno il mondo, di persone che sussurrano un torto, a cui serve una voce, a cui serve giustizia.
Un abbraccio grande, con tutto l’affetto del mondo.
T.

01/03/2014