Claudio Galzerano*

Foreign fighters

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Militanti islamisti europei vanno ad ingrossare le fila dei gruppi terroristici. I pericoli per l’UE

Tra le molteplici, drammatiche conseguenze connesse alla spiralizzazione del conflitto siriano, la comunità internazionale della sicurezza ha da tempo richiamato l’attenzione su un fenomeno in particolare, quello dei militanti islamici che dai Paesi dell’Unione Europea raggiungono il teatro delle operazioni per partecipare alle ostilità.
Questi viaggi del jihad, compiuti cioè da militanti “europei” per combattere all’estero tra le fila di milizie che utilizzano metodi terroristici in conflitti non convenzionali, non sono un fenomeno del tutto nuovo, anzi.
Già negli Anni ’80 e ’90, poi ancora nello scorso decennio, i Servizi antiterrorismo di mezza Europa documentarono con le loro indagini l’esistenza di un vasta attività di reclutamento, spesso effettuata all’ombra delle moschee più radicali stanziate nel vecchio continente, finalizzata a istradare giovani mujahedin verso zone caratterizzate da conflitti interetnici e religiosi.
Dalla regione afgano-pakistana al Nord Africa, dal Caucaso all’Iraq, ovunque in pratica le fazioni islamiche locali avessero impugnato le armi per abbattere le istituzioni sostituendole con emirati islamici fondati sull’applicazione integrale della shari’a (legge islamica), si assistette già allora ad un consistente flusso di aspiranti combattenti provenienti dall’Europa (vedi Poliziamoderna aprile 2012, ndr).
Quella che risulta veramente nuova, rispetto all’attuale conflitto siriano, è la dimensione numerica assunta dal fenomeno.
Polarizzando i mai sopiti istinti ribellisti-jihadisti presenti nella quota più esasperata degli ambienti integralisti islamici europei, la Siria ha finito per costituire un ampio canale di sfogo in cui sono confluiti non solo vecchi protagonisti della scena islamista europea – spesso già indagati, processati, condannati ed espulsi per le loro attività terroristiche – ma anche le nuovissime leve della cosiddetta inspire generation. Con questo termine si individua una specifica categoria di militanti, in genere estranei agli ordinari circuiti delle moschee, all’apparenza isolati, talvolta autoctoni, privi di connessioni evidenti con i network terroristici internazionali, la cui adesione incondizionata ad una visione jihadista dell’Islam è conseguenza diretta della propaganda radicale diffusa in Rete grazie a magazine esclusivamente online come Inspire.
Attraverso questa curatissima rivista web ideologi radicali del calibro di Anwar al-Awlaqi – il cittadino americano di origine yemenita ucciso in Yemen da un drone statunitense nel settembre 2012 – sono riusciti nell’intento di inoculare in tanti giovani musulmani residenti in Occidente rapidi processi di radicalizzazione, trasformandoli in veri e propri mujahedin internauti e aprendo di fatto loro la strada verso scenari di conflitto, come quello siriano, dove vanno ad ingrossare le fila dei gruppi qaedisti Jabhat al-Nusra e Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL).
In una di queste organizzazioni sembrerebbe militare, dal settembre del 2013, un immigrato marocchino 21enne della provincia di Brescia, protagonista di un rapido percorso di radicalizzazione jihadista su Internet che aveva attirato l’attenzione dell’Antiterrorismo.
Questo ragazzo – nom de guerre di Anas al Italy (Anas l’Italiano) – infatti aveva creato un blog, Sharia4Italy, con cui manteneva contatti con i vertici del movimento islamico ultra radicale pan-europeo Sharia4, stanziati in Belgio. Arrestato, nella sua abitazione a Vobarno, nel giugno dello scorso anno per addestramento con finalità di terrorismo, Anas al Italy era stato rimesso in libertà dal tribunale del riesame dopo circa un mese di detenzione. L’autorità giudiziaria, pur avendo riconosciuto le sue posizioni radicali, aveva infatti ritenuto che questi non fosse in procinto di attuare concreti programmi di violenza.
In chiave di prevenzione, il fenomeno dell’afflusso verso la Siria di questa tipologia di militanti islamici desta forti preoccupazioni per più di un motivo. Europol, nel suo rapporto sul terrorismo 2013, e il coordinatore antiterrorismo dell’UE, Gilles De Kerchove, hanno già da tempo reso pubblico il timore delle istituzioni europee circa il fatto che questa diaspora di combattenti abbia in sè il potenziale di creare una futura ondata di terrorismo capace di minacciare gli Stati dell’Unione.
Le incognite connesse al fenomeno del ritorno dei reduci dalle zone di conflitto (cosiddetto reducismo) risiedono soprattutto nella considerazione che questi ex combattenti, forti delle capacità operative e del carisma acquisiti sul campo, possono contribuire al processo di radicalizzazione di individui più vulnerabili, così come alla costituzione di reti attive nel reclutamento e nell’instradamento di volontari o, addirittura, alla pianificazione di progettualità terroristiche autonome o dettate dai gruppi nei quali hanno militato.
Secondo cifre rese note nel dicembre del 2013 dalla presidenza lituana del Consiglio dell’Unione Europea, il numero dei foreign fighters che hanno lasciato l’Europa alla volta della Siria ammonterebbe a circa 2.000 militanti.
Sempre il rapporto di EuropoI sul terrorismo 2013 evidenzia come importanti operazioni di polizia connesse alla partenza o al ritorno di militanti islamisti dal quadrante siriano siano state condotte soprattutto in Belgio, Francia, Olanda e Regno Unito, Paesi questi dove la problematica è fortemente preoccupante. Analogamente ad altri Paesi dell’Europa meridionale, il fenomeno ha per il momento assunto in Italia dimensioni numericamente piuttosto modeste.
Al netto della dozzina o poco più di militanti nazionalisti siriani oppositori del regime di Assad tornati in patria per unirsi al Free Syrian Army, la presenza sul fronte siriano di jihadisti partiti, transitati o comunque, a vario titolo, collegati all’Italia è da stimarsi intorno a poche unità.
Con l’eccezione della drammatica vicenda del ventiquattrenne genovese Giuliano Delnevo, convertitosi all’Islam col nome di Ibrahim, rimasto ucciso nei pressi di Aleppo all’inizio del maggio 2013 in uno scontro che vedeva impegnata la milizia a guida cecena in cui il giovane militava, si tratta per lo più di stranieri che risiedono o hanno risieduto nel nostro Paese, alcuni dei quali già emersi in precedenti attività di settore.
Allo stato, le indagini non hanno confermato la presenza di filiere stabili attive nel nostro Paese nell’instradamento di estremisti verso la Siria.
L’impegno del Servizio centrale antiterrorismo della Dcpp/Ucigos nel sistematico monitoraggio del fenomeno, implementato anche grazie allo scambio informativo con il comparto nazionale intelligence e con gli uffici antiterrorismo del Police working group on terrorism (Pwgt), ha consentito di individuare foreign fighters che, partendo dagli altri Paesi europei, hanno utilizzato il territorio nazionale come hub per raggiungere o ritornare dal conflitto siriano.
Su questo fronte, un importante risultato investigativo è stato colto con il rintraccio – operato dalla polizia di frontiera il 16 gennaio scorso nel porto di Ancona – del foreign fighter franco-tunisino Abdelkader Tliba, destinatario di un mandato di cattura europeo emesso dalla Francia per associazione con finalità di terrorismo.
L’arresto dello straniero – estradato in Francia il 31 gennaio scorso, a sole due settimane dall’arresto – si inserisce nel contesto di una vasta indagine da tempo sviluppata in Francia anche con la collaborazione del Servizio centrale antiterrorismo della Dcpp/Ucigos in seguito allo smantellamento, nell’ottobre del 2012, di una cellula radicale islamica stanziata tra le città di Strasburgo, Torcy e Cannes.
Il capo della cellula, l’antillano 33enne Jeremy Louos-sidney, responsabile tra l’altro di un attacco dinamitardo perpetrato il 19 settembre 2012 contro una drogheria kosher di Sarcelles (periferia di Parigi), era rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia il successivo 6 ottobre 2012.
Proprio al settembre del 2012 si deve far risalire la partenza di Abdelkader Tliba verso la Siria, avvenuta grazie alla filiera di istradamento di combattenti jihadisti facente capo al defunto Jeremy Lous-Sidney.
Sulla scorta della dimensione paneuropea del fenomeno dei foreign fighters, Consiglio e Commissione Europea hanno già segnalato la necessità di ampliare lo spettro delle misure preventive per il loro monitoraggio (rafforzamento dei controlli di frontiera, introduzione di un Pnr europeo ecc.) e di attuare misure di dissuasione basate sul dialogo e sul contrasto della radicalizzazione.
In attesa della verifica di fattibilità circa l’introduzione nel quadro giuridico comunitario della criminalizzazione dei viaggi effettuati con finalità di terrorismo, l’Italia ha dal canto suo intenzione di contribuire fattivamente al potenziamento degli interventi di natura preventiva proponendo, nell’ambito del prossimo semestre di presidenza italiana del Gruppo terrorismo (Twp), la costituzione di squadre multinazionali ad hoc con il fine di mettere a disposizione degli Stati membri effettivamente interessati dal fenomeno dei foreign fighters uno strumento specifico che consenta un più efficace scambio informativo con finalità operative.v

*direttore 2^ divisione del Servizio centrale antiterrorismo della Dcpp/Ucigos, presidente del Terrorism working group del Consiglio Europeo durante il semestre di Presidenza italiana

01/03/2014