Francesco Iannielli*

Quando il tifo diventa "estremo"

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Tra gli ultras più facinorosi sono diffusi numerosi atteggiamenti di fanatismo politico. L’attività di prevenzione delle Digos

Dall’agosto del 2000, anno della loro istituzione, le Squadre tifoserie delle Digos costituiscono uno degli assi portanti del dispositivo di prevenzione e contrasto del fenomeno della violenza nelle manifestazioni sportive.
Grazie all’intensa e capillare attività svolta da queste unità operative, composte da personale specializzato e particolarmente motivato, è stato possibile acquisire un prezioso bagaglio di conoscenze sulla composizione, sulle gerarchie, sulla forma mentis e sui comportamenti delle tifoserie ultras.
Particolarmente utile si è rivelata l’attività informativa svolta in prossimità degli eventi sportivi sulla consistenza numerica dei supporter in trasferta, sui mezzi di trasporto utilizzati, sui relativi itinerari e su eventuali motivi di risentimento e di rivalità con le tifoserie avverse, che ha consentito di affinare strumenti di controllo più pervasivi ed efficaci, d’intesa con le articolazioni della polizia stradale e della polizia ferroviaria, e di calibrare al meglio i servizi di ordine pubblico.
Non si deve poi dimenticare che le Squadre tifoserie svolgono un ruolo importante anche sul piano del contrasto e della repressione dei comportamenti violenti: solo nell’ultimo quinquennio, periodo nel quale si è peraltro assistito ad un relativo ridimensionamento degli episodi delittuosi, le Squadre tifoserie hanno tratto in arresto oltre 500 tifosi e quasi 4.000 sono stati denunciati. Sono cifre che parlano da sole.
A livello centrale un’apposita unità del Servizio investigazioni generali della Direzione centrale della polizia di prevenzione assicura il necessario raccordo e l’impulso delle attività info-operative sul territorio, curando anche l’elaborazione di documenti di analisi sulla distribuzione, sulla consistenza, sulle dinamiche interne ed esterne, sulla genesi e sulle strategie perseguite dai gruppi ultras, che costituiscono una aggiornata fotografia di un fenomeno in continua e rapida evoluzione.
Uno degli aspetti che viene monitorato con particolare attenzione attiene all’infiltrazione dei sodalizi estremisti all’interno delle “curve”.
È bene premettere che l’elemento prevalente di coesione delle tifoserie continua, e non potrebbe essere diversamente, ad essere la passione per una determinata squadra cui si affianca, parallelamente, l’esigenza di affrontare talune problematiche comuni, prima fra tutte l’attivazione di prassi e strumenti volti a stemperare l’azione repressiva – vera o supposta – delle forze dell’ordine, la cui soluzione presuppone l’esistenza di un minimo di strutturazione organizzativa come nel caso della campagna contro “La tessera del tifoso”.
Tuttavia la politicizzazione, pur permeando “ufficialmente” solo una componente minoritaria delle tifoserie, rimane una delle chiavi – certo non l’esclusiva e forse neppure la principale – più interessanti per comprendere l’universo ultras, quella che meglio di altre ci permette di rilevarne la pericolosità, i collegamenti ed i modelli organizzativi e comportamentali.
La politicizzazione delle “curve” si sviluppa a partire dalla metà degli Anni ’90 proprio nel momento in cui i sodalizi dei tifosi perdono definitivamente la caratterizzazione coreografica e pittoresca per assumere un profilo connotato da maggiore aggressività, spiccata propensione alla violenza e contrapposizione frontale alla società in una prospettiva che le vede scivolare sempre di più verso un modello comportamentale ribellista e deviante.
Le formazioni antagoniste, di sinistra inizialmente e poi quelle di destra con maggiore successo, hanno prontamente colto l’opportunità che si prospettava, individuando nelle fasce giovanili che si aggregavano negli stadi un ideale bacino di reclutamento e di radicalizzazione dei percorsi politici ma anche una formidabile massa di manovra, adusa al confronto violento con le forze dell’ordine, da utilizzare per fomentare tensioni di piazza.
In questo scenario si colloca il recente documento di analisi diffuso dalla Dcpp che contiene al suo interno anche un vero e proprio censimento delle curve delle serie professionistiche, nelle quali risultano attivi 388 club (erano 417 l’anno precedente) composti da circa 41.000 supporter (erano 45.000) con un trend che segnala una leggera ma costante diminuzione. Ovviamente si tratta di un dato che ci fa comprendere l’ampiezza del fenomeno ma che pur tuttavia è indicativo per difetto in quanto l’esperienza ci insegna che tale numero può dilatarsi in caso di scontri con le opposte tifoserie o in altre situazioni analoghe grazie all’apporto di numerosi “cani sciolti”.
Focalizzando ora l’attenzione sui sodalizi che hanno manifestato uno spiccato orientamento ideologico, emerge che sono ascrivibili in questa categoria 69 gruppi, 45 dei quali attestati su posizioni di estrema destra e 15 di estrema sinistra, mentre in altri, definiti misti dalle statistiche, convivono in modo più o meno pacifico elementi di entrambe le tendenze. Complessivamente aderiscono a tali formazioni che hanno una posizione di leadership nel settore, circa 8.500 supporter pari al 21% del totale.
Il rischio di infiltrazioni rimane dunque alto ed il tessuto sociale degli ultras continua ad essere permeabile a richiami ideologici radicali anche se il livello reale di politicizzazione dei supporter calcistici si presenta piuttosto elementare e tendente alla semplificazione e solo raramente si traduce in una effettiva e consapevole militanza politica dentro e fuori dagli stadi, evidenziandosi soprattutto all’atto della scelta delle tifoserie con cui gemellarsi.
In alcuni casi, non molto numerosi, i club si muovono come veri e propri collettivi politici con continue attività di volantinaggio e di sensibilizzazione ed attraverso la produzione di fanzine nelle quali trovano ampio spazio le campagne intraprese dalle organizzazioni politiche di riferimento. Tra questi gli Uber alles di Frosinone, la Curva Furlan della Triestina ed i Cani sciolti del Lecco, per quanto attiene all’estrema destra, i Rebel Fans del Cosenza, gli Ingrifati del Perugia, gli Sconvolts84 del Pisa e i Primidellastrada della Ternana, sul versante dell’estrema sinistra.
Naturalmente i comportamenti degli ultras non sono inquadrabili in una “disciplina di partito”: all’interno di una stessa tifoseria possono convivere sodalizi di opposto orientamento politico senza che ciò determini necessariamente l’insorgere di forme di esasperata conflittualità. Di norma l’ideologia cede il passo alle ragioni del tifo, collante primario del gruppo, agendo soprattutto come amplificatore e fattore di esasperazione di rivalità sportive e campaniliste già esistenti.
Con riferimento alla distribuzione per serie e per territorio i dati più recenti sembrano confermare una tendenza ormai consolidata che vede le tifoserie di destra presenti prevalentemente nella serie A ed in regioni del Nord, come la Lombardia ed il Veneto, oltre che nel Lazio, mentre quelle di sinistra sono presenti anche nelle serie professionistiche “minori” (serie B e Lega Pro) e risultano concentrate nelle regioni centrali (Toscana, Umbria, Molise ed Emilia Romagna). Nel Sud invece si registrano pericolose commistioni con la criminalità.
Un elemento che accomuna molte tifoserie ultras, capace di avvicinare sodalizi divisi da ataviche rivalità politiche o di tifo, è ormai da tempo diventato l’odio viscerale e preconcetto per la divisa. La ricerca sistematica di una occasione di scontro con le forze dell’ordine sembra cresciuta proprio in costanza, e forse anche in ragione, degli incontestabili risultati anche investigativi conseguiti negli ultimi anni, contrassegnati da un progressivo calo di tutti gli indici di pericolosità (reati commessi, feriti, numero di incidenti) e da un notevole incremento degli arresti, delle denunce e dei daspo. In proposito la vigilanza deve restare sempre molto alta e non bisogna mai dare nulla per acquisito: nel presente campionato emergono infatti alcuni segnali indicatori di una possibile inversione di tendenza e gli accoltellamenti di Milano in danno di tifosi dell’Ajax ed i fatti di Salernitana-Nocerina sono altrettanti campanelli di allarme.
Man mano che gli stadi sono divenuti più sicuri, lo scontro è stato ricercato altrove, nelle aree di servizio, sui treni, in prossimità degli stadi ed infine nelle piazze delle città ogni qualvolta se ne sia presentata l’occasione. Gli ultras sono stati presenti in forma più o meno organizzata in tutti i contesti, i più disparati, dove c’era da “menar le mani”: proteste dinanzi alle discariche nel napoletano ed altrove, manifestazioni di massa come quella tristemente nota di Roma del dicembre 2011, tumulti provocati da disoccupati organizzati e l’elenco potrebbe continuare a lungo...
Dovunque gli ultras si sono resi responsabili di azioni delittuose, dimostrando di essere ormai divenuti una pericolosa massa di manovra capace di utilizzare le più sofisticate tecniche di guerriglia urbana e pronta ad intervenire, spesso attraverso percorsi poco chiari, dovunque vi sia l’intenzione di creare disordini e devastazioni.
Emblematico al riguardo è quanto accaduto nei giorni scorsi in occasione della mobilitazione lanciata da “Movimento dei Forconi”. Sulla spinta impressa dai movimenti della destra radicale le tifoserie di ben 19 città (Torino, Genova, Catania, Verona, Brescia, Terni, Padova, Foggia solo per citarne alcune) sono scese in piazza fomentando disordini, incitando la folla a compiere azioni violente nel preciso intento di radicalizzare ed estendere la protesta.
Le motivazioni di questi comportamenti sono state efficacemente sintetizzate da un supporter genoano in un’intervista mandata in onda il 19 dicembre scorso durante la trasmissione Servizio Pubblico condotta da Santoro: “menar le mani con la polizia”.
Un altro aspetto di interesse è dato dai rapporti internazionali. Nell’ultimo decennio, con l’avvento della rete internet, si è delineato un radicale cambiamento nelle dinamiche esterne ai sodalizi ultras, che con grande rapidità si sono impadroniti delle nuove tecnologie telematiche stringendo amicizie ed alleanze anche in ambito europeo: attualmente 80 sodalizi ultras italiani intrattengono rapporti con tifoserie straniere, 24 dei quali con connotazioni ideologiche estremiste.
Al maggiore attivismo delle frange di estrema destra corrisponde un’evoluzione della tipologia dei rapporti instaurati con le tifoserie straniere. Infatti, mentre i gemellaggi tra questi club sono stati in passato caratterizzati perlopiù dal sostegno reciproco in occasione di partite di cartello o tra squadre sostenute da club di opposto orientamento politico, nelle ultime stagioni si è registrata anche una propensione ad organizzare raduni internazionali su tematiche non solo sportive, prerogativa questa che fino a qualche anno fa era delle sole tifoserie di sinistra.
A poco a poco il Web è diventato un strumento di espressione comune e di costruzione di una identità collettiva, un proficuo spazio idoneo a travalicare i confini nazionali ed a costituire e consolidare rapporti (anche trasversali) con sodalizi ultras stranieri. Tra i tanti esempi possibili si richiama un recente gemellaggio nato tra gli Irriducibili Curva Sud del Catania ed i supporter del Borussia Dortmund. Nei giorni successivi alla gara Borussia Dortmund-Malaga dello scorso 9 aprile (quarti di finale di Champions League), sul social network Facebook, sono apparse foto di ultras etnei all’interno dello stadio di Dortmund mentre esponevano due striscioni con le scritte “Assenti forzati I.R.A.91” e “Curva Sud Catania”.
Una cosa è certa: da alcune stagioni le partite internazionali sono quelle più esposte al rischio di incidenti. In alcuni casi abbiamo l’impressione che gli ultras, italiani e stranieri, vogliano sfogare le loro frustrazioni, dovute all’accresciuto controllo domestico, proprio in occasione delle trasferte oltreconfine, regolando i conti con gli avversari spesso in zone distanti dagli stadi ed utilizzando sovente armi da punta e taglio.
Un cenno a parte merita la vocazione sociale “terzo-mondista” delle tifoserie italiane di estrema sinistra: i gruppi ultras Sconvolts e Rangers del Pisa, ad esempio, hanno continuato, anche nel campionato appena concluso, a promuovere iniziative per raccogliere fondi da destinare alla costruzione di ospedali, acquedotti e impianti sportivi in America Latina ed in Africa.
Dall’iniziativa di gruppi ultras ideologicamente orientati verso l’estrema destra è originato il progetto di un fronte comune a sostegno della nazionale italiana del quale è espressione il cartello Ultras Italia, costituitosi nell’autunno del 2000 a Verona, su iniziativa di alcuni elementi di spicco della locale tifoseria, i quali, congiuntamente a supporter politicamente affini di città del Nord Est, hanno stabilito le linee guida da seguire: ”sostenere la nazionale italiana con le stesse modalità delle proprie squadre di club, con coreografie, trasferte organizzate e stilando mappe di tifosi amici e nemici”.È questo il primo tentativo di aggregazione e sostegno della nazionale promosso dalle tifoserie organizzate, che in precedenza avevano seguito con scarso interesse le vicende sportive della nazionale.
Al momento aderiscono al sodalizio circa 400/500 tifosi, provenienti soprattutto dalle province di Verona, Padova, Trieste, Venezia, Udine, Salerno, Napoli, Perugia, Latina, Lecce, Lucca e Venezia mentre appare ancora marginale la presenza delle tifoserie romane e milanesi, anch’esse orientate su posizioni di estrema destra. Personale della Dcpp e delle Digos è presente in occasione della maggior parte delle gare della nazionale e durante le competizioni internazionali (Europei, Mondiali eccetera) al fine di consolidare “sul campo” un rapporto diretto con i tifosi italiani, che ha consentito, pur tra molte difficoltà, di evitare in talune circostanze il compimento di episodi di violenza, e stabilire opportuni contatti con gli omologhi uffici di polizia.
Proprio dalla lettura di questi dati si può dedurre l’importanza di queste unità operative che sono riuscite a realizzare, anche avvalendosi del prezioso strumento investigativo dell’arresto differito, lusinghieri risultati.
Per quanto riguarda la tipologia dei reati commessi, le fattispecie criminose più ricorrenti sono quelle contro la persona (383 violazioni), seguite dai reati di possesso e lancio di artifici pirotecnici (213 violazioni), danneggiamenti (134 violazioni), possesso di armi improprie o strumenti atti ad offendere (129 violazioni), indebito superamento di una recinzione (115 violazioni) e lancio di corpi contundenti (103 violazioni).
Particolare attenzione è stata rivolta dalle Squadre tifoserie al deprecabile fenomeno del razzismo e dell’antisemitismo negli stadi e, più in generale, alle fattispecie di reato previste dalla cd Legge Mancino. Con il passare degli anni tali episodi hanno registrato una diminuzione soprattutto sotto l’aspetto della gravità, mentre i cori razzisti, nonostante non abbiano registrato una sostanziale diminuzione, si sono perlopiù concretizzati nel noto verso scimmiesco rivolto ai giocatori stranieri di colore più per “becera” usanza, espressione di una diffusa sottocultura, che per vere motivazioni razziali.
Sotto l’aspetto repressivo, nel corso del campionato 2012/13, sono stati tratti in arresto 3 ultras per violazione della Legge Mancino, mentre altri 15 sono stati denunciati a piede libero. Le tifoserie che si sono particolarmente evidenziate sono state quelle della Lazio (8 episodi), della Juventus (3 episodi) e della Roma (2 episodi). Per quanto riguarda gli striscioni si è verificato un solo episodio (a fronte di nessuno nel precedente campionato), mentre 18 sono stati i cori razzisti (a fronte dei 12 della precedente stagione) rivolti ai giocatori di colore delle squadre avversarie.
Altro aspetto di rilievo, emerso sin dall’inizio del campionato in corso (2013/14) e sul quale mi sembra opportuno avviare una riflessione comune, è quello della discriminazione territoriale. A tal proposito, gli enti sportivi, nel recepire le direttive imposte dalla Uefa sul razzismo, hanno modificato l’art. 11 del codice di giustizia sportiva aggiungendo solo le nuove sanzioni, senza fare alcuna distinzione tra le condotte già contemplate nella norma. In tal modo, i comportamenti di discriminazione territoriale sono venuti ad assumere lo stesso livello di importanza degli episodi di razzismo con la conseguenza che il giudice sportivo, sin dalle prime giornate del campionato, è stato “costretto” a chiudere settori o interi stadi anche per semplici insulti connotati da pregiudizi di tipo territoriale. All’organo giudicante non è stata data neanche la possibilità di applicare le vecchie “esimenti” che consentivano maggiore discrezionalità sotto il profilo sanzionatorio.
A seguito del dibattito che si è sviluppato sugli organi di informazione e nel mondo politico, è stato introdotto l’accorgimento della “sospensione dell’esecuzione” della sanzione inflitta per la prima volta, che non si è dimostrato risolutivo del problema, tanto che le frange ultras, ritenendo la disciplina eccessivamente punitiva, hanno continuato ad effettuare proteste con cortei all’esterno degli stadi, con lo sciopero del tifo, con l’esposizione di striscioni offensivi e con l’intonazione sempre più frequente di cori di discriminazione territoriale al fine di rimarcare la loro volontà di non voler cedere di fronte alla “ennesima repressione dello Stato nei confronti del mondo ultras”.
A ciò si aggiunga che esiste sul punto un vuoto normativo in quanto la discriminazione territoriale è contemplata e punita solo dalla normativa sportiva, mentre sia la legislazione ordinaria che quella emanata a seguito dei gravi episodi di violenza verificatisi in occasione di competizioni sportive nulla hanno stabilito al riguardo.

*direttore del Servizio informazioni generali

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Scusi, per lo stadio?
di Nicola Ferrigni - sociologo Link Campus University

Se ci fermassimo per qualche minuto a riflettere sull’influenza che il calcio produce, direttamente e indirettamente, ai diversi livelli della società, saremmo tutti d’accordo nell’affermare che esso rappresenta non soltanto uno tra i più importanti pilastri della nostra economia ma anche una gigantesca macchina produttrice di senso, assolutamente centrale nella costruzione sociale della realtà moderna.
Da un punto di vista sociologico il calcio offre numerosi spunti interpretativi: pensiamo alla sua ritualità (Bromberger insisteva sull’analogia tra rito calcistico e rito religioso), alla sua funzione educativa, alla sua natura estetica, alle analisi comportamentali e di gruppo, allo studio delle identità socio-culturali e delle sottoculture giovanili e così via.
Il calcio inteso come un fatto sociale, con le sue connotazioni economiche e talvolta persino politiche, è un universo “quotidianizzato” dai suoi milioni di appassionati.
La tifoseria non rappresenta una massa omogenea. Per dirla in termini sociologici, non costituisce un aggregato sociale di tipo casuale essendo composto da una pluralità di mondi. Vi sono differenti tipologie di tifosi distribuite lungo un continuum tra un estremo e l’altro dello stadio dove, da una parte troviamo sostenitori e appassionati più o meno occasionali, e all’estremo opposto, i tifosi strutturati secondo rigidi e precisi criteri organizzativi. Questi ultimi tendono a concentrarsi in prossimità delle curve, l’area destinata ad un gruppo particolare di tifosi, gli ultras, molto spesso al centro dell’attenzione mediatica per alcuni episodi violenti. È accaduto che la facile attenzione dei mezzi di informazione ai fatti di violenza ascrivibili al tifo degli ultras ha contribuito a creare nell’immaginario collettivo uno stereotipo di stadio insicuro e dove il pericolo di un accoltellamento è dietro l’angolo. Un luogo, insomma, da non frequentare con la famiglia, soprattutto se in presenza di bambini. Numerosi i dispositivi di sicurezza: sistemi di video sorveglianza, biglietti nominativi, tornelli e varchi elettronici.
Certo non si può negare che negli stadi non vi siano stati episodi di violenza – alcuni con tragici epiloghi – ma negli ultimi anni il fenomeno ha subìto davvero un considerevole decremento e ne sono prova i dati sul numero degli scontri e dei feriti, quantificabili in poche unità. Il merito è riconducibile senz’altro alle Istituzioni che hanno affrontato con profonda determinazione il fenomeno (si pensi alla Legge 4 aprile 2007) in un’ottica non più soltanto repressiva ma pedagogica e preventiva. Basti pensare ai progetti innovativi, alle iniziative di studio e di ricerca o alle campagne di comunicazione nelle scuole, promosse ad esempio dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, volte al raggiungimento del sogno, da sempre auspicato, di uno stadio senza barriere e senza forze di polizia; è lo stesso Osservatorio che sottolinea e sostiene la necessità di valorizzare il tifo organizzato.
Allora a cosa sono dovuti gli ultimi episodi di tifo violento e di razzismo allo stadio? Per trovare la giusta risposta è necessario adottare il criterio interpretativo summenzionato, quello cioè del calcio inteso nella sua interezza di fatto sociale, di fenomeno sociale.
Nel suo insieme la sicurezza nelle manifestazioni sportive non è solo un problema delle Forze di Polizia. Il fenomeno del tifo violento affonda le sue radici nella società e procede parallelamente al mutare della società e soprattutto dei suoi modelli culturali. Il calcio è una vera e propria interpretazione della società stessa, come se essa volesse raccontarsi attraverso la ritualità calcistica.
È opportuno lavorare ad un paradigma in grado di dare forma ad una nuova “cultura dell’essere tifoso”, contemporaneamente apportatrice di una football migration policy degli appassionati di calcio, direzione stadio...«Scusi, per lo stadio?». Mi auguro che questo possa essere il claim nell’immediato futuro.

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Metti un ambasciatore tra club e tifosi
di Simone Francini - ACF Fiorentina - Supporter Liason Officer

Il Collettivo autonomo viola, gruppo a cui veniva universalmente riconosciuto il ruolo di “guida” del tifo più acceso, si era sciolto nel 2011, e il vuoto lasciato non era ancora stato riempito da nessun altro club. Le prestazioni della squadra, tutt’altro che entusiasmanti, erano il collante di varie fronde del tifo non convenzionalmente organizzato; le due principali associazioni di tifosi, l’Accvc (Associazione centro coordinamento viola clubs; http://www.accvc.com/) e l’Atf (Associazione tifosi fiorentini; http://www.atf-firenze.it/) non sembravano in grado di canalizzare tutte le istanze del tifo. Col migliorare delle prestazioni sportive è venuto meno l’effetto collante poc’anzi richiamato e la situazione ha raggiunto una situazione di stallo relativo: il ruolo che fu del Collettivo autonomo viola è rimasto vacante, e i club degli ultras seguono la squadra senza il coordinamento che le associazioni che riuniscono i Viola club (non ultras) riescono, invece, a garantire in termini di organizzazione e rappresentatività. L’inserimento della figura del supporter liaison officer nella rete di relazioni tra le varie anime del tifo ha dovuto necessariamente tenere conto dell’assenza di una guida unica, differenziando quindi l’approccio rispetto ai vari interlocutori. Il punto di contatto più immediato è apparso fin da subito colui che si occupava, per conto della società, della gestione delle autorizzazioni per l’ingresso degli striscioni: Maurizio Cinquini era legato al mondo del tifo dalla sua lunga militanza quale tifoso viola ed aveva, quindi, un larghissimo credito presso tutte le anime del tifo, oltre ad essere diventato, col suo lavoro, persona di grande fiducia della società. In questa prima fase di conoscenza reciproca l’attività è stata, per scelta, ben poco invasiva, limitandosi a fornire informazioni di tipo generale sia alla società che ai tifosi, attraverso il sistema di relazioni che Maurizio Cinquini aveva costruito nel tempo e che si alimentava con l’attività di gestione degli striscioni, da un lato, e tramite i rapporti con società sportive ed Istituzioni che chi scrive coltiva, anche, per altri ruoli ricoperti in società, dall’altro. La svolta è arrivata nell’estate del 2013 quando, su richiesta dei tifosi, è stato loro concesso di organizzare una festa, definiamola così, di fine anno sportivo, all’interno della Curva Fiesole. Con l’inizio della stagione 2013/2014 è venuto a mancare Maurizio Cinquini. L’orientamento è stato quello di curare l’organizzazione preventiva, cercando di mantenere tutti gli interessati allo stesso livello di informazione circa l’organizzazione della gara: previsioni di partecipazione alla trasferta, modalità di spostamento e rapporti tra le tifoserie vengono comunicate sia alle società ospitanti che alle questure di riferimento (attività, questa, condotta in collaborazione con al Squadra tifoserie della Digos di Firenze); il primo contatto con i tifosi avviene nel momento in cui vengono fornite tutte le indicazioni riguardanti la vendita dei titoli di accesso, gli itinerari da seguire per giungere allo stadio e qualunque altra informazione sia ritenuta necessaria (es: http://it.violachannel.tv/dettaglio-ultimora/items/udinese---fiorentina-info-per-i-tifosi.html). Da quel momento il contatto è costante in caso di problematiche da risolvere, fungendo da anello di congiunzione tra i vari attori in gioco: Istituzioni, tifosi, società. Assolutamente da citare, infine, l’attenzione che la proprietà e tutta la società dedicano al rapporto con i tifosi e con la città in generale; ne è testimonianza concreta, tra le altre cose, la nomina dell’allora vice sindaco Dario Nardella e del presidente del Consiglio comunale Eugenio Giani quali membri uditori del Consiglio di amministrazione della Acf Fiorentina, a simboleggiare l’unità tra società, tifosi e città.
E per chi deve ricoprire il ruolo di interfaccia tra queste entità non c’è viatico migliore.

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Siamo fatti così
di Alfredo Gavazzi - presidente della Federazione italiana rugby

Quel drop di Jonny Wilkinson nei secondi finali della Coppa del Mondo del 2003 lo ricorderò per sempre come emblema del nostro sport. Non tanto per il gesto tecnico e il coraggio di scagliare, a pochi secondi dal termine, il pallone tra i pali da più di trenta metri e regalare il mondiale all’Inghilterra proprio contro i padroni di casa australiani, ma soprattutto per quel che successe, anzi, che non successe dopo. Allo stadio c’erano più di 65.000 persone, ma più di 300.000, in maggioranza inglesi senza biglietto, erano sparpagliati per la città a vedere la finale sui maxischermi. Tra me e me pensai «ora vedrai che succede qualcosa. Perdere una finale all’ultimo secondo renderà poco felici molte persone». E invece nulla, anzi quando uscii, vidi solo gente festante, certo più di uno era deluso, ma si stava tutti insieme a parlare della partita davanti ad un bel boccale di birra.
Ecco, questa è l’essenza del nostro sport e del “popolo del rugby”, un popolo davvero particolare e unico nel suo genere che, sebbene tifi per uno sport dove il contatto, spesso anche più che duro, è l’essenza del gioco, ha insito nel proprio Dna il rispetto per l’avversario, in campo e fuori. Una mentalità che si riflette su ogni categoria, dalla Nazionale alle squadre juniores.
Mi viene da dire che siamo diversi, non rispetto ad uno sport in particolare, bensì rispetto a tutto il mondo dello sport in generale. Questa è la nostra cultura. Non saprei trovare un perché, ma da sempre siamo fatti così; è un modo di vivere questo sport che si riflette in tutto il mondo che noi rugbysti chiamiamo “Ovalia”.
Insegniamo questa filosofia ai bambini che per la prima volta calcano il campo con le “acca”. Pur essendo uno sport di contatto, il nostro modo di pensare non ci porta ad andare “contro”, ma ci interessano la partita, lo spettacolo e, soprattutto, lo stare insieme durante il “terzo tempo” dopo che per 80 minuti i giocatori se le sono date di santa ragione sul campo. Anche altri sport hanno cercato di mutuare questa nostra peculiarità cercando di inserirla nelle proprie manifestazioni, ma proprio perché è una caratteristica propria del rugby, non può essere adattata. È bello vedere le famiglie riempire gli spalti degli stadi ed è l’immagine migliore per promuovere il nostro sport; infatti uno dei claim che usammo per il 6Nazioni fu proprio “Il rugby, lo sport delle famiglie”.
Organizzare eventi che richiamano 70.000 persone allo stadio non è semplice. All’inizio fu difficile parlare con le forze dell’ordine, perché c’erano tutta una serie di “anti” questo o quello… Un esempio su tutti è quello della birra, che è uno degli elementi che caratterizzano i tifosi del rugby. Pur scorrendone a fiumi durante le nostre manifestazioni, non è mai accaduto nulla. E far capire agli organismi preposti alla sicurezza che comunque non sarebbe successo niente di male, non è stato facile. Ma alla fine ci siamo riusciti: abbiamo fatto un percorso insieme e la nostra cultura è stata compresa. È giusto che ci sia una certa attività di prevenzione per l’ordine pubblico, del resto le nostre partite richiamano decine di migliaia di persone. Ma oramai è un tipo di prevenzione più formale che sostanziale. Da noi se qualcuno si comporta in modo antisportivo, viene allontanato dal pubblico stesso. Ma, ripeto, è una rarità.
Ripeto fino alla nausea: siamo fatti così e, forse, proprio per questo motivo i nostri stadi si riempiono sempre.


 

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01/02/2014