Cristiano Morabito

Mondocalcio

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Violenza negli stadi, tessera del tifoso, nuovi impianti e cultura dello sport. Il presidente della Figc, Giancarlo Abete fa il punto della situazione

Settecentomila partite ogni anno, circa un milione e mezzo di tesserati e più di 200mila spettatori che, ogni settimana, riempiono gli spalti della Serie A. Ma è proprio vero che i nostri stadi si stanno svuotando? Ne abbiamo parlato con Giancarlo Abete che, dal 2007, è al vertice della Federazione italiana giuoco calcio.

Rispetto ad altri Paesi che hanno dovuto affrontare la violenza negli stadi, in che posizione si trova l’Italia?
Quello della violenza nell’ambito degli stadi è un problema mondiale. In Italia, nonostante le criticità ancora esistenti, siamo molto lontani da situazioni particolarmente presenti in Sudamerica e in alcuni Paesi dell’Africa; ad esempio i dati del Brasile, sede del Mondiale 2014, sono preoccupanti. In ambito europeo la Uefa si è mossa insieme alle Federazioni nazionali, perché ha sempre individuato tra le proprie priorità la civiltà negli stadi e il rispetto delle diversità. E così è anche per noi della Figc. Con la morte dell’ispettore Filippo Raciti c’è stata una presa di coscienza della necessità di agire in maniera forte per evitare che lo stadio diventasse il contenitore di negatività, tenendo conto che oggi lo stadio non è solo un “contenitore” fisico, ma una dimensione che ti consente di portare messaggi in tutti i continenti: un punto di forza, se vengono trasmessi messaggi positivi, ma elemento di criticità quando veicola valori negativi.

Quali strategie sono state messe in atto di concerto con le istituzioni?
È stato fatto un grande lavoro da parte del ministero dell’Interno con la creazione dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. Non era facile individuare degli organismi che, ferme restando le peculiarità istituzionali in capo agli organi pubblici che devono tutelare la sicurezza di tutti i cittadini, riuscissero a trovare la sintonia con gli organismi sportivi. Questo è stato fatto. Il riscontro del lavoro effettuato lo troviamo nei dati ufficiali del ministero, valutati attraverso l’Osservatorio, nell’attività di prevenzione svolta e in quella di formazione ed educazione; pensiamo alla presenza degli steward, fino a qualche tempo fa figure sconosciute al panorama sportivo italiano, la cui introduzione ha portato ad una diminuzione significativa degli incidenti, ad una crescita del numero dei Daspo (il divieto di accedere alle manifestazioni sportive) e a una diminuzione del personale delle forze dell’ordine impiegato, con il conseguente recupero di risorse umane ed economiche. Dobbiamo, però, sempre ricordare che in Italia ci sono circa 700mila eventi calcistici ogni anno, per cui quando si fanno le statistiche generali, bisogna tener conto che la gran parte degli eventi sportivi è costituita da partite di calcio (circa 18mila a settimana). Tutti vorremmo che lo stadio fosse un momento di aggregazione positiva, ma bisogna rendersi conto che il rischio c’è ed è collegato a un numero di eventi particolarmente elevato. A volte si fanno raffronti che sono utili e stimolanti con grandi eventi legati ad altri sport, però bisogna sempre guardare i numeri. Ad esempio, solo per la serie A, ogni settimana i nostri stadi registrano la presenza di circa 240mila spettatori, ma anche in B e LegaPro si parla di numeri importanti, fino alle partite dei “pulcini”, più tutta l’attività internazionale di club e della Nazionale. È stato fatto un lavoro importante in cui gli organismi sportivi hanno cercato di dare il massimo contributo, riconosciuto dai vertici dell’Interno e della polizia. Un percorso iniziato con Antonio Manganelli, cui la Federazione ha intitolato una borsa di studio, e che, sulla stessa riga, continua anche oggi con il capo della Polizia Alessandro Pansa.

Strumenti come la tessera del tifoso hanno concorso alla diminuzione delle violenze negli stadi?
I risultati sono significativi. È in atto una task force, attivata dal ministro Angelino Alfano dopo un incontro avuto in Lega, presente la Federazione, per ottimizzare alcune criticità individuate, come l’accesso agli stadi, una migliore utilizzazione del biglietto nominativo, la crescita della qualità degli steward e la lotta ad ogni forma di discriminazione sia razziale che territoriale. Ma, se si analizza la media degli ultimi anni, non è vero che ci sia stata una drastica diminuzione delle presenze. E se questo fosse avvenuto, certamente sarebbe da attribuire anche ad altri fattori come, ad esempio, il degrado dell’impiantistica.

Un adeguamento delle strutture richiamerebbe più persone negli stadi?
I dati e l’esperienza ci dicono di sì. Nessuno di noi ha la bacchetta magica, ma dobbiamo prendere atto che con stadi di nuova generazione, come quello della Juventus che ha registrato quasi sempre il tutto esaurito, si innalza il livello di qualità dell’offerta del prodotto calcio. È naturale che in una società che cambia, la qualità dell’offerta debba essere dimensionata alla qualità della domanda che, da parte dei consumatori, cresce. E questo soprattutto quando c’è un’offerta televisiva più ampia rispetto a qualche anno fa. Tutto questo comporta un modificarsi delle modalità di vivere gli stadi. La scelta di andare allo stadio, dunque, oltre ad essere collegata alla dimensione del tifo e delle emozioni, oggi deve essere legata anche ad una serie di servizi in più che possano richiamare le persone sugli spalti. Il calcio è uno sport di contrasto e sicuramente questo può ingenerare anche reazioni nel pubblico; uno stadio adeguato, anche dal punto di vista architettonico ed urbanistico, può di certo concorrere a mantenere un ambiente più rispettoso e sereno ed evitare che ciò avvenga.

L’organizzazione italiana di eventi come la finale di Champions League è stata presa ad esempio ed esportata in altri Paesi. Cosa significa ospitare un evento del genere rispetto alla “partita della domenica”?
C’è una concertazione tra i vari enti a livello internazionale, come la Uefa che ci affianca sia in termini di professionalità che creando un clima positivo, secondo il proprio claim “Respect”, con eventi paralleli a quello principale. Ad esempio si è spostato il giorno della finale di Champions dal mercoledì al sabato, in modo tale che tutta la settimana che precede l’evento sia accompagnata da una serie di situazioni all’interno della città che ospita la partita, per dare il messaggio di una settimana interamente dedicata al calcio, con al centro il territorio e le tifoserie. È chiaro che eventi negativi possono accadere anche in queste occasioni e per questo dobbiamo alzare ancora di più il livello di attenzione, perché siamo sotto gli occhi di tutto il mondo.

La cultura sportiva deve partire dal basso, iniziando ad educare i più piccoli, ma soprattutto i loro genitori…
La base di partenza deve essere quella dell’immissione di valori comportamentali che è un problema che, purtroppo, riguarda l’intera nostra società. Quindi deve essere compiuto uno sforzo collettivo. È fondamentale inserire nella preparazione di chi un giorno si vedrà affidati su un campo bambini di 5-6 anni, oltre alle nozioni tecniche, anche il concetto di tolleranza e di rispetto delle diversità. La passione che si tramanda di padre in figlio è un altro dei punti di forza del calcio e che altre realtà non hanno, però, nel contempo, bisogna governare queste emozioni. Si deve partire dagli allenatori, con i quali abbiamo iniziato un percorso importante rivolto principalmente a chi allenerà e, soprattutto, educherà i più piccoli. Nella società odierna, in cui i genitori lavorano entrambi, spesso i più giovani passano più tempo durante la giornata con gli allenatori che con mamma e papà. Per questo io voglio parlare di veri e propri educatori, prima che di coach sportivi.

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Un Impegno comune
di Marco Brunelli, direttore generale Lega serie A

I dati puntualmente forniti dall’Osservatorio sono un chiaro segno dell’impegno che, in questi anni, ha visto in prima linea istituzioni governative e sportive. In questo contesto di grande collaborazione non va dimenticato ma, anzi, sottolineato, l’impegno delle società sportive. Tutti i club, sebbene in maniera diversa e articolata, hanno dato il proprio contributo arrivando, in alcune realtà, a risultati di eccellenza.
I risultati sino a questo punto conseguiti non possono però essere considerati un punto di arrivo, ma piuttosto una condizione favorevole per avviare la fase 2. Superata l’emergenza è ora tempo di studiare nuove misure che, pur mantenendo alto il livello di sicurezza negli stadi, ne migliorino la fruibilità, ne facilitino l’accessibilità e ne accrescano il comfort e le dotazioni di servizi materiali e immateriali.
In questo contesto il rinnovato impegno deve riguardare, ancora una volta, tutti. Ad iniziare dai club ai quali è oggi richiesto, anche, di strutturare rapporti positivi con i propri supporter. è questa la direzione presa con l’istituzione, in tutte le società, della figura del supporter liaison officer. Un mediatore, un interlocutore previlegiato dei tifosi, un interprete delle esigenze e dei desiderata dei tifosi. Un compito difficile che la Lega intende valorizzare con iniziative di formazione e sostegno anche attraverso la condivisione di esperienze nazionali ed internazionali che hanno garantito straordinari risultati.

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Insieme, per avere stadi a dimensione umana
di Andrea Abodi, presidente Lega serie B

A nome della Lega serie B e dei 22 club associati ringrazio il ministero dell’ Interno e la Polizia di Stato per questo numero speciale di Poliziamoderna che testimonia la volontà di fare un salto di qualità nella collaborazione in relazione all’articolato tema degli stadi.
Quando ci si confronta con i numeri degli spettatori che entrano negli stadi dei principali Paesi europei, avvertiamo un crescente disagio per le distanze che ci separano, per le posizioni che abbiamo perso e per gli appassionati italiani che preferiscono, nella migliore delle ipotesi, la tecnologia allo spettacolo dal vivo.
Sarà certamente anche un problema di qualità delle infrastrutture, tema al quale dobbiamo dare risposte concrete e immediate in un Paese che ha, tra i tanti deficit, anche quello infrastrutturale ad ampio spettro, ma forniremmo una risposta parziale se ci limitassimo a operare solo per avere impianti migliori.
Pensiamo davvero che non contribuisca in negativo anche la insopportabile difficoltà che troppo spesso rende complesso, frustrante e disincentivante l’acquisto di un biglietto per entrare in uno stadio dentro il quale, una volta compiuta l’impresa, non regnano certamente la comodità e i servizi ?
Il biglietto nominativo è stato in questi anni lo strumento che ci ha consentito di impedire l’accesso di una moltitudine di usurpatori del titolo di tifosi, restituendo alla vita interna degli impianti una crescente sicurezza che rappresenta il presupposto principale per il ritorno delle famiglie e dei bambini. Ma sul tema degli strumenti adottati e da adottare per garantire sicurezza e presenze sarà utile, come hanno convenuto anche il ministro Alfano e il capo della Polizia Pansa, ritrovarci attorno a un tavolo per fare tesoro dell’esperienza, nostra e di altri Paesi europei.
Il tema è a più facce e ha bisogno di fatti: impianti nuovi o ristrutturati, senza gabbie e barriere, un nuovo modello di sicurezza partecipata, acquisto biglietti semplificato, politiche di fidelizzazione e servizi per i tifosi, comportamenti e linguaggi adeguati da parte dei protagonisti. Tutto questo e quant’altro possa tornare utile a una buona causa dovrà essere accompagnato da una certezza: chi sbaglia, chi non rispetta le regole – e possibilmente solo lui/loro evitando punizioni di massa – esce dallo stadio, al quale vogliamo e dobbiamo tutti insieme restituire una dimensione più umana.

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La Lega Pro e l’istituzione dell’Integrity Office
di Francesco Ghirelli, direttore generale Lega Pro

La Lega Pro, in quest’ultimo triennio, ha posto particolare attenzione ai progetti riguardanti la lotta contro ogni forma di contraffazione (scommesse e doping) istituendo l’Integrity Office. Tale struttura si dedica al monitoraggio delle scommesse relative alle gare di Lega Pro e, per mezzo dell’Integrity Tour alla prevenzione mediante la formazione e l’educazione al fenomeno del match fixing dei tesserati delle società, degli arbitri e degli ispettori di Lega. Le azioni di contrasto al match fixing svolte dalla Lega Pro possono così riassumersi:
sottoscrizione di un accordo con Sportradar, l’azienda più specializzata al mondo nel monitoraggio delle partite;
educazione, formazione e prevenzione verso tutti i tesserati, in particolare verso i più giovani, per fornire gli strumenti interpretativi sul fenomeno delle scommesse sportive;
costituzione di un reticolato sul territorio italiano attraverso l’individuazione di un referente Integrity in ogni club;
strutturazione di rapporti istituzionali con Fifa, Uefa e con le forze di contrasto (Uiss, Giss, Interpol, ecc.) per combattere il fenomeno.
I risultati ottenuti in queste prime stagioni sono stati positivi, ma siamo consci che, come nel famoso film Guardie e ladri di Totò e Fabrizi, ad ogni azione corrisponde una reazione. Infatti ad ogni nuova tecnologia di contrasto ne segue una più sofisticata da parte delle organizzazioni criminali, ad ogni serio intervento di contrasto in una nazione ne consegue da un lato la “messa in sonno” e dall’altro lo spostamento della rete criminale in un altro Paese.

La Lega Pro all’ONU
La Lega Pro ha organizzato un evento nella sede di Ginevra dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, al fine di contribuire ad elevare l’attenzione sul tema del match fixing, un fenomeno degenerativo che rischia di distruggere il calcio, lo sport e di innescare una caduta di valori morali, specialmente nei giovani.
L’iniziativa ha inteso sensibilizzare i Paesi membri, affinché si giunga:
ad una legislazione in ogni Paese in grado di contrastare le bande criminali, introducendo (dove non sia presente) il reato di contraffazione sportiva dei risultati e la relativa pena;
al coordinamento tra governi, magistratura, Forze dell’Ordine e Istituzioni sportive nella lotta alle frodi sportive;
al coordinamento di questi organi con l’Interpol;
a sollecitare gli operatori della comunicazione affinché svolgano un ruolo sempre più attivo e propositivo finalizzato a contrastare il fenomeno;
ad una possibile risoluzione dell’Onu di indirizzo nella lotta di contrasto.
Inoltre ha inteso favorire azioni di prevenzione, educazione e formazione verso i giovani sia all’interno degli istituti scolastici che nelle società sportive.

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Tommasi: restituiamo gli stadi alle famiglie
«Devono concorrere tutti, anche i calciatori: con l’esempio in campo e smettendo di accettare intimidazioni».
Ha vissuto da calciatore in maniera diversa dalla massa. Ha deciso di attraversare i campi di calcio unendo la sua carriera professionistica alle maglie di Verona e Roma, portandosi dietro il cuore, la testa e una coscienza oltre ai muscoli e ai polmoni. Ha vinto. Con le stesse qualità Damiano Tommasi è arrivato fino alla maglia azzurra. Incuriosito da mondi e culture ha scelto di chiudere la sua carriera girando, fino in Cina. Oggi è il presidente dell’Assocalciatori. Sulla violenza negli stadi ha detto cose nette.
I dati sulla violenza negli stadi sono in netto calo. Ma il fenomeno non può considerarsi battuto. Qual è la sua analisi?
Il fatto che i dati siano in calo è incontrovertibile e conferma che qualcosa è stato fatto. Ma i fenomeni sussistono e gli stadi, ad oggi, continuano ad essere gli unici luoghi di questo Paese in cui è possibile fare cose che altrove sono ovunque vietate. Negli stadi avvengono. Dobbiamo riflettere, i dirigenti in testa, lo dico da consigliere federale, ma dobbiamo riflettere insieme. Tutti. E andare avanti sulla strada del confronto, del dialogo, della concertazione. Senza incorrere in errori.
Quali?
C’è una tendenza allo scarica barile che invece bisogna scrollarsi di dosso: quel comune sentire che porta ogni componente a poter dire qualcosa dell’altra che non funziona e potrebbe diventare causa della disfunzione: chi la scarica sui dirigenti, chi sugli arbitri, chi sui calciatori, gli stadi, le Forze dell’Ordine. Non serve. È inutile. E non porta soluzioni.
Lei ha sempre detto cose nette e severe sulla violenza negli stadi. Ci riassume il suo pensiero?
Io non credo che chi diserta gli stadi lo faccia per carenza di spettacolo o strutture. C’è la paura di portare i figli allo stadio, questo sì. Ma la sostanza è un’altra e deve essere questo il nostro obiettivo: non possiamo lasciare gli stadi a quelli che si comportano male arrendendoci all’idea che la partita di calcio sia uno spettacolo per adulti. Questo è davvero assurdo.
Una sensazione insopportabile, detta così, nuda e cruda.
Ma questo è: viviamo in un Paese in cui una partita di calcio stravolge gli equilibri civili. Nocera e Pagani hanno due comunità limitrofe che possono coesistere e coesistono senza problemi fintanto che non c’è la partita. Lì no: e allora scattano le porte chiuse, le soluzioni fuori regione. Come è impensabile vedere le nostre Forze dell’Ordine in assetto antisommossa negli stadi. Il loro può essere un impegno in concorso nell’afflusso e nel deflusso. Niente altro. Deve cambiare l’accettabilità ineluttabile di un fenomeno che, pensiamoci, è assurdo. È quello che dico, che diciamo come Associazione ai calciatori, su un altro aspetto....
Quale?
Spesso ho sentito dire ai calciatori: gli insulti sì, ma le botte no. E io dico: siamo matti? Non si può ammettere che scatti l’insulto libero per una partita. Bisogna lavorare molto su questo aspetto che è, direi, culturale.
È importante anche che i giocatori non diano esempi sbagliati in campo.
Assolutamente sì e infatti anche su questo stiamo lavorando con risultati che comincio ad apprezzare: per esempio sull’atteggiamento nei confronti degli avversari. Non dobbiamo fornire assist negativi.
In fondo al tunnel c’è la luce?
Ripeto, noi abbiamo fatto qualcosa, ma dobbiamo fare molto altro insieme. Respingendo atti intimidatori e riconsegnando gli stadi alle famiglie.

Fabio Massimo Splendore - giornalista del Corriere dello Sport-Stadio

 

01/02/2014