Roberto Massucci*

Un cantiere ancora aperto

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Sei anni fa moriva Filippo Raciti. Da allora il calcio italiano è cambiato in positivo. Ma non bisogna abbassare la guardia: Salernitana - Nocerina ne è l’esempio

Sono passati più di 6 anni da quella sciagurata notte di Catania, nella quale le dinamiche perverse di un meccanismo incontrollato hanno causato la morte di un poliziotto, l’ispettore capo Filippo Raciti. Ma sarebbe potuto succedere tante altre volte, in molte altre partite, per mano di “criminali della domenica” che, frequentemente, perdevano il senso dell’educazione, della civiltà, del rispetto delle regole, divenendo tasselli di un puzzle che dipingeva intollerabili scenari di violenza.
Di fronte a tutto questo il calcio si è fermato e le istituzioni sportive e governative si sono strette in una collaborazione profonda, consapevoli che era necessario fare presto. Occorreva trovare insieme soluzioni immediate e strategie di medio e lungo periodo che restituissero il rito calcistico domenicale – una domenica che ormai dura un’intera settimana – ad un contesto sociale che doveva recuperare i requisiti di civiltà. Sono valori che non possono prescindere da quanto di positivo questo sport è portatore e che, spesso, rimane vittima dell’aggressione di condotte fuori dalla legalità.
La malattia da curare presentava sintomi gravissimi: stazioni devastate, treni assaltati e utilizzati da branchi senza controllo, stadi in cui l’accesso era regolato dalla capacità dei facinorosi di creare disordini, scontri continui con le forze di polizia, che lasciava sul campo, in un quinquennio, quello precedente i tragici fatti di Catania, oltre 3.800 operatori feriti.
La compattezza di questo sistema, tenuto insieme da una regia rigorosa, ma sempre aperta al dialogo, del prefetto Antonio Manganelli, ha portato a risultati sempre più importanti, tali da poter affermare che la violenza, nelle sue espressioni più devastanti, foriera della morte di un poliziotto, ha abbandonato il palcoscenico degli stadi, divenendo fatto occasionale, raro e circostanziato.
Tutto questo conduce alla giusta rivendicazione di un obiettivo raggiunto, ma allo stesso tempo impone una verifica attenta delle nuove fenomenologie che stanno crescendo, alimentate dal seme dell’illegalità, che rischiano di riaprire prospettive infauste al punto da rendere concreta la possibilità di ripiombare, con dinamiche diverse, nella buia notte di Catania.
Oggi non c’è l’emergenza a spingere le Istituzioni nella stessa direzione, ma l’esigenza di fare squadra è sempre la stessa, come più volte sottolineato dal capo della Polizia Alessandro Pansa.
Il calcio ha caratteristiche di natura sociale, economiche, di forte coinvolgimento della gente, tali da richiedere un impegno nuovo ed ugualmente deciso.

Sei anni di diminuzione degli incidenti ma...
L’emergenza che aveva contraddistinto gli anni precedenti e quelli immediatamente successivi la morte di Filippo Raciti è da considerarsi indubbiamente superata.
Lo testimoniano in maniera oggettiva i dati monitorati dal Centro nazionale di informazione sulle manifestazioni sportive dell’Ufficio ordine pubblico del Dipartimento della pubblica sicurezza. Lo si rileva, anche, dalle testimonianze dei frequentatori degli stadi e dei gestori dei servizi lungo le vie di trasporto dei supporter.
Sono cambiati radicalmente i comportamenti dei gruppi di tifosi, soprattutto nelle trasferte; raccontano di questo cambiamento i responsabili della sicurezza dei club, gli steward e le stesse Forze di Polizia, come dimostra un’indagine scientifica, coordinata dal presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Pasquale Ciullo, intitolata “C’era una volta l’ultrà”, condotta in partenariato con le università romane La Sapienza e Link Campus con il supporto scientifico di psicologi della Polizia di Stato.
L’analisi dei dati che segue dimostra questo trend di diminuzione, ma richiama l’attenzione delle istituzioni sportive e governative sull’esigenza di non abbassare la guardia, di mantenere alto il livello dell’impegno e dell’organizzazione, per evitare il rischio di un repentino ritorno ad un’emergenza superata in tanti anni di lavoro.
Nel dettaglio.
Gli incontri con feriti (grafico 1) sono più che dimezzati rispetto alla stagione 2007/2008.
Particolarmente soddisfacente è il dato relativo ai feriti tra le forze di polizia (grafico 2), sensibilmente e progressivamente diminuito e solo in minima parte controbilanciato dal numero degli steward feriti (grafico 3) che, come noto, dal 2008 sono presenti negli stadi italiani.
I feriti tra i tifosi (grafico 4), seppur in netto calo rispetto alla stagione di riferimento, non hanno fatto registrare lo stesso marcato trend degli altri indicatori, anche se nello scorso campionato è stata registrata una media di un ferito ogni 32 gare disputate.
A fronte di un calo degli incidenti corrisponde anche la diminuzione degli episodi di illegalità contrastati con arresti e denunce (grafici 5 e 6).
Considerazione diversa richiede l’analisi della prima parte della stagione calcistica in corso con l’analogo periodo della stagione precedente (grafico 7).

Il dialogo tra i club ed i tifosi: un percorso tutto da costruire
Le considerazioni fin qui espresse, anche da autorevoli esponenti del mondo dello sport e di quello accademico, e le analisi dei dati conducono a conclusioni che si legano strettamente a nuove prospettive di strutturazione del dialogo tra i club e i propri tifosi.
Non si tratta di un elemento meramente formale, bensì di un vero e proprio percorso da costruire, in assenza del quale si rischia di non risolvere il complesso fenomeno, troppo frettolosamente definito di svuotamento degli stadi.
È bene, dunque, spendere alcune considerazioni su questo ultimo punto.
Dai dati forniti dalla Lega nazionale professionisti (la serie A), relativi all’andamento degli spettatori nella massima serie negli ultimi cinque anni, non sembra affatto che si assista ad uno svuotamento, enfatizzato anche con dati – non riscontrabili – da alcuni importanti organi di informazione.
Il dato della media spettatori in serie A fornito dalla Lega (25.603), infatti, testimonia una tenuta delle presenze negli stadi – non secondaria in un periodo di profonda crisi – sebbene ancora deficitaria rispetto all’analogo dato riferito alla Germania (oltre i 40mila) ed all’Inghilterra (oltre i 30mila).
Partendo da questi dati oggettivi, in una prospettiva di reale miglioramento, occorre a questo punto porsi una domanda e trovare una risposta: perché più gente dovrebbe desiderare di andare negli stadi italiani?
In maniera superficiale e azzardata per la delicatezza del tema, alcuni sostengono che i motivi della mancata presenza negli stadi della gente siano le eccessive misure di sicurezza. Questa argomentazione, cara soprattutto al mondo della contestazione dei gruppi ultras ancora attivi, seppur con modalità diverse rispetto al passato, appare frettolosa e non in armonia con un contesto di modernità che vede le tecnologie straordinarie protagoniste di semplificazione in ogni settore del vivere sociale.
Bisognerebbe, dunque, riflettere non certo su come eliminare le misure che renderebbero difficile acquistare un tagliando, quanto piuttosto su modalità di semplificazione tecnologica tali da consentire ad un qualsiasi cittadino, anche da remoto, l’acquisto di un biglietto che, in molte parti del mondo, avviene anche attraverso un semplice smartphone.
Limitarsi a valutare le sole misure di sicurezza significa negare una situazione di reale criticità degli impianti sportivi italiani, ormai completamente fuori dal contesto europeo e lontani dai “desiderata” degli stessi tifosi. Ma il settore che probabilmente necessita di una vera e propria rivoluzione culturale è proprio quello che vede protagoniste le tifoserie, in un contesto di dialogo costruttivo con i club, ai quali sono legati da passione e volontà di partecipazione.
Non c’è dubbio, infatti, che il desiderio di ogni tifoso sia quello di seguire la propria squadra allo stadio in sicurezza, potendo contare su impianti accoglienti e dotati di servizi adeguati, senza dover subire le prevaricazioni di quelle frange di tifoserie che ancora ritengono gli spalti una porzione di territorio da gestire ai fini di personali interessi.
Su questa linea, un intervento del presidente della Figc Giancarlo Abete «… appare quanto mai doverosa una riflessione su dove eravamo, dove siamo e dove vogliamo andare. Perché quella del calcio è una realtà che appartiene a tutti noi, anche nella vita di tutti i giorni... La Figc ha anticipato al 31 ottobre del 2012 l’individuazione, richiesta dalla Uefa, di un responsabile dei rapporti con la tifoseria... Tutte le 111 società che fanno parte del nostro sistema professionistico hanno individuato questa figura. Adesso bisogna passare allo step successivo. A queste persone compete una grande responsabilità».
Dunque, il tema del rapporto dei club con i propri tifosi si ripropone con grande attualità. La norma esiste ma, come spesso accade, non ha ancora trovato piena attuazione.
La responsabilità alla quale il presidente Abete ha fatto riferimento non è stata ancora espressa dalle società sportive, molte delle quali continuano a soggiacere ad un perverso – quanto infruttuoso – rapporto con le frange più estreme del mondo ultras, con le quali ritengono di dover mantenere un dialogo esclusivo.
Questo, come altri temi, è oggetto di approfondimento e sviluppo della task force istituita dal ministro dell’Interno Angelino Alfano ed affidata al coordinamento del capo della Segreteria del Dipartimento della ps, prefetto Vincenzo Panìco.

Stadi e servizi per riportare la gente sugli spalti
Cancelli arrugginiti, edifici in cemento incolore, bagni fatiscenti e, seduti su un seggiolino di plastica scolorito e instabile, mentre la partita sta per iniziare, si legge uno striscione di cattivo gusto, oscurato dall’effetto dei fumogeni, mentre una bomba carta esplosa all’improvviso fa sobbalzare le persone perbene.
È spesso questo il copione di un film che si ripete in molti stadi italiani. Torna ancora una volta la domanda: perché la gente dovrebbe desiderare di andare in uno stadio italiano?
Occorre prendere coscienza di questo per abbandonare posizioni populiste, secondo le quali è necessario eliminare le misure di sicurezza per riportare la gente allo stadio, senza tuttavia ricercare soluzioni perché questo avvenga.
In tutti i Paesi nei quali il sistema stadi è stato messo a punto, facendo divenire l’impianto sportivo una risorsa produttiva del club e non certamente un costo, il copione è diverso. Steward altamente professionali – ma altrettanto severi – accolgono i tifosi. Gli stessi steward, che con cortesia e professionalità garantiscono accoglienza, diventano irreprensibili baluardi del rispetto delle regole espellendo dallo stadio una persona che ha acceso una sigaretta, in barba al divieto di fumo. In questi stadi si vedono spalti gremiti di persone sedute, con vie d’uscita libere e striscioni colorati collocati sporadicamente su balaustre che non impediscono la visibilità degli spettatori.
Questa immagine non testimonia un modello che ha risolto il problema della violenza negli stadi, ma certamente racconta di un sistema che funziona, dove in primis i club, in quanto organizzatori di un evento di massa e conseguentemente portatori di una responsabilità sociale, mettono in campo le migliori risorse per garantire uno spettacolo sicuro, affascinante, colorato e che offre tante ragioni per tornare a riempire gli spalti.
La polizia in questo sistema è presente per sanzionare le eventuali illegalità ed intervenire solo laddove il sistema non ha potuto arginare l’azione violenta di quelle poche persone che, in tutto il mondo, pregiudicano la passione e la partecipazione dei molti.

*vice presidente operativo dell’Onms

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Malagò: ma la Tessera serve davvero?

L’utilità della tessera del tifoso, ma anche la necessità di rinnovare uno strumento introdotto in un momento difficile per lo sport italiano, rendendolo più attuale. Questa l’opinione del presidente del Coni, Giovanni Malagò (nella foto in basso).

A quasi cinque anni dalla sua istituzione ritiene che la tessera del tifoso sia stata utile alla diminuzione degli episodi di violenza all’interno degli stadi italiani?
Il problema nacque in un momento oggettivamente complesso e credo sia stato importante introdurre uno strumento che consentisse di conoscere l’identità di chi entrava negli stadi per arginare il comportamento violento di chi strumentalizzava il ruolo da tifoso per usare violenza. Gli ultimi episodi, si valuti il caso di Salernitana-Nocerina, ci devono però far riflettere, perché se è vero che alla vigilia c’erano state avvisaglie di potenziali ostilità tra le due tifoserie, vietare lo stadio anche ai possessori della tessera del tifoso significa inevitabilmente far sorgere domande lecite sulla valenza della restrizione per debellare il fenomeno. In realtà credo sia necessario agire in profondità, su due livelli: quello delle leggi ordinarie, con rigore inflessibile come quello adottato contro gli hooligans in Inghilterra, e sotto il profilo della giustizia sportiva, prendendo provvedimenti contro quelle società che intrattengono rapporti con le frange estreme delle tifoserie.

Molti gruppi di supporter organizzati hanno minacciato in questi anni scioperi del tifo, ritenendo che la tessera comporti una sorta di schedatura. È così?
La tessera identifica, il vero problema però non verte sulla schedatura. Credo non sia possibile accettare che per colpa di poche persone ci sia una forte penalizzazione, in termini di complessità procedurali e burocratiche, a danno di un’intera comunità. Bisogna fare in modo che in un Paese civile chi vuole andare allo stadio con suo figlio lo possa fare senza doverci rinunciare ma anzi con il gusto di considerare quei novanta minuti come un momento di festa, di semplice e puro divertimento.

Pensa che le norme che regolano la tessera del tifoso vadano aggiornate? E in che direzione?
Sì, penso che la tessera del tifoso abbia fatto il suo tempo. Negli ultimi anni, salvo una leggera, recente inversione di tendenza, c’è stato un sensibile decremento delle presenze negli stadi. Occorre rivisitare completamente i rapporti tra il calcio e i tifosi. Servono stadi nuovi e regole nuove. Le forze dell’ordine devono essere in condizione di agire nell’immediato, dentro lo stesso impianto, come avviene appunto in Inghilterra. Con le nuove strutture, attraverso un sistema avanzato di controllo tecnologico, si possono identificare gli autori di atti violenti, che vengono poi trasferiti in un luogo all’interno dello stadio dove vengono trattenuti in attesa del processo per direttissima, che si celebra entro 2 giorni dall’accaduto. E, in caso di conferma delle accuse, scatta la condanna per due anni, l’automatico divieto di accesso agli impianti e la perdita del posto di lavoro. Credo che questa possa rappresentare un’ipotesi da approfondire, evitando di generalizzare penalizzando solo i veri appassionati.
Cristiano Morabito

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Agnelli: lo stadio, Un ottimo investimento

La Juventus è stata la prima società di serie A a dotarsi di un proprio stadio. Lo Juventus stadium, è diventato un punto di riferimento in Italia per la costruzione di impianti sportivi dedicati al calcio. Ne abbiamo parlato con il presidente bianconero, Andrea Agnelli (nella foto in basso), al vertice della gloriosa società torinese dal 2010.

Come è maturata l’idea di dotarsi di un impianto proprio?
L’idea è nata a metà degli anni Novanta, perché la Juventus è una società che per Dna guarda sempre oltre e si pone come capofila per quanto riguarda lo sviluppo e l’innovazione del calcio nel suo complesso. Inoltre, anche sotto un profilo economico, l’investimento aveva delle ottime prospettive.

Quali sono state le difficoltà che avete incontrato nel realizzare il primo stadio senza barriere in Italia? Si tratta di un’idea ispirata al modello anglosassone?
Quando sono diventato presidente il progetto era già in fase di completamento e a me è toccato l’onore di inaugurare lo stadio. In effetti l’impianto è mutuato dal modello inglese, ma in fase di costruzione sono stati presi in considerazione i migliori esempi europei.

Azzerare le distanze tra tifosi e campo da gioco, poteva essere un azzardo?
Sì, ma ritengo che sia stata una sfida vinta, dal momento che allo Juventus Stadium non abbiamo mai avuto problemi di ordine pubblico all’interno del catino, mentre sono stati sporadici quelli all’esterno. Credo che il motivo di questo successo in termini di sicurezza sia da ricercare nel fatto che il tifoso, vivendo lo stadio come “casa sua”, si sente più responsabilizzato. Purtroppo nel settore ospiti, in alcune occasioni e con determinate tifoserie, ci sono stati dei danneggiamenti. Certo c’è ancora molto da lavorare e anche le norme concepite di recente per arginare il fenomeno della violenza in tutte le sue forme e manifestazioni vanno perfezionate.

Ad oggi, quello dello Juventus Stadium è stato un investimento proficuo?
Lo stadio è un importante asset aziendale. I sold out nello Juventus Stadium sono ormai quasi una consuetudine, così come è una sfida vinta la volontà di renderlo vivo sette giorni su sette, attraverso l’utilizzo delle nostre aree hospitality dove aziende, sponsor e privati organizzano eventi e meeting di lavoro. Inoltre lo stadio di proprietà ci permette di realizzare una serie di attività di entertainment e pubbliche relazioni anche nel giorno gara che altrimenti sarebbero impensabili. E infine c’è il fiore all’occhiello dell’impianto: lo Juventus Museum che racchiude la nostra storia vincente, in un mix di tradizione e innovazione. La soddisfazione per questo riuscito investimento, unita alla volontà di creare un polo Juventus, come nella tradizione dei più importanti club europei, ci ha spinti oltre e avrà il suo completamento entro le prossime due stagioni quando sorgerà, in un’area completamente riqualificata, la sede del club e il centro di allenamento della prima squadra.

Senza barriere e più accoglienti. Saranno questi gli stadi del futuro in grado di accogliere le famiglie per trascorrere assieme una giornata all’insegna dello sport del divertimento?
La Juventus ha aperto la strada, mettendo a disposizione dei tifosi di ogni tipo, comprese le famiglie, uno stadio accogliente, servizi dedicati e pensando al giorno gara come a un evento in grado di accogliere e intrattenere, anche prima del calcio di inizio, tifosi di tutte le età. Ci auguriamo che gli altri seguano il nostro esempio, perché il salto di qualità di cui necessita il calcio italiano passa anche dagli investimenti in nuove infrastrutture.
Cristiano Morabito

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Prandelli: i giovani ci salveranno

Incentivare l’educazione allo sport e alla legalità, iniziando soprattutto dai più giovani. Questa la chiave di volta per arginare e stroncare definitivamente gli episodi di violenza nel calcio, secondo il commissario tecnico della Nazionale italiana, Cesare Prandelli (foto pagina successiva).

Dopo i fatti di Salernitana-Nocerina, lei ha parlato di esistenza di un “problema sociale”…
Episodi di questa gravità travalicano l’aspetto sportivo e non hanno nulla a che vedere con il calcio in sé, sebbene si siano verificati in uno stadio. In questi casi non si parla di ultras, ma di delinquenza comune che trova modo di attecchire e rigenerarsi nel tessuto sociale di un territorio usando il calcio come scudo, facendone un pretesto per agire secondo logiche che poco hanno a che fare con la convivenza civile. La violenza è un problema sociale e come tale va affrontato, con il contributo di tutti gli organismi istituzionali e attraverso gli strumenti di cui uno Stato dispone. Credo che incentivare l’educazione alla pratica sportiva e alla legalità, soprattutto in ambito scolastico, possa rinforzare in maniera consistente il processo formativo dei giovani e renderlo un elemento complementare alle strategie di prevenzione. Praticare sport significa comprenderne i meccanismi e le logiche.

In base alla sua esperienza internazionale, ritiene che quello delle curve violente e politicizzate sia solamente un fatto tipicamente italiano?
Assolutamente no. Le cronache recenti raccontano di come fenomeni del genere si verifichino anche nell’Europa del Nord e dell’Est, in Africa o America latina dove di recente sono accaduti avvenimenti di una gravità sconvolgente. Questo non deve consolarci, ma per contro stimolare la società intera ad una presa di posizione diversa, più consapevole e incisiva nei confronti di certe situazioni ambientali.

Ha mai avuto esperienze, in senso negativo ma anche positivo, di rapporti ravvicinati con qualche tifoseria “calda” o con qualche capo ultrà?
Certamente sì, ma ho sempre cercato di gestirli con il buon senso, il dialogo e la persuasione. L’esperienza di Firenze, grazie al proficuo lavoro di collaborazione tra il club e l’allora questore Francesco Tagliente, rimane ancora oggi un caso esemplare di come si possano gestire i rapporti con gli ultrà. I benefici si vedono ancora oggi a distanza di anni.

Da allenatore, le è mai capitato di doversi trattenere nelle proteste per evitare che succedesse qualcosa tra i tifosi?
Guidare una squadra non implica solo responsabilità tecniche, gestionali e organizzative, ma anche avere la capacità di mantenere il proprio equilibrio sotto pressione, o in situazioni ad alto tasso di stress come, ad esempio, una partita. L’allenatore è un punto di riferimento forte per la propria squadra, il club, i tifosi; è un personaggio pubblico e in quanto tale ha il dovere di mantenere sempre un comportamento ineccepibile, soprattutto qualora nel corso di una partita dovessero verificarsi episodi particolarmente controversi. L’esperienza insegna che le proteste non risolvono certe situazioni nell’immediato, il confronto costruttivo invece favorisce l’apertura di canali di comunicazione che possono portare a delle soluzioni durevoli nel tempo.

Educare i piccoli calciatori, ma anche le loro famiglie ad una sana cultura dello sport, può essere la chiave di volta per creare sportivi più…”sportivi”?
Sì, senza alcun dubbio! È fondamentale che i bambini vengano ascoltati per cercare di capire quali discipline sportive possano preferire, magari indirizzandoli e proponendo loro di provarne diverse. Soprattutto i genitori devono saper trasferire loro il messaggio che è importante fare sport perché fa bene alla salute, non perché si debba diventare dei campioni. Mi piace ricordare un episodio accaduto alcuni anni fa a Firenze durante una partita di calcio di “giovanissimi”. Ad un certo punto della gara, sulle tribune, scoppia un diverbio tra alcuni genitori. I bambini di entrambe le squadre all’improvviso, e in maniera del tutto spontanea, interrompono l’incontro e, guardandosi sbigottiti gli uni con gli altri, cercano di capire cosa stesse accadendo. Questa vicenda evidenzia quanto negativa possa essere l’influenza degli adulti quando vengono riposte nei propri figli delle aspettative che travalicano i loro obiettivi. I bambini vivono il presente in una maniera viscerale e praticano lo sport in una dimensione molto particolare, desiderano certamente misurarsi con gli altri ma attraverso il gioco e soprattutto divertendosi.
Cristiano Morabito

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Vincenzo Panìco alla guida del Casms 

Studiare e valutare eventuali pericoli derivanti dalle manifestazioni sportive, elaborando possibili contromisure ed operando al fine di diminuire i rischi, ma anche decidere su eventuali sanzioni da applicare a tifosi o tifoserie considerate violente. Così opera il Casms, Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive, con una nuova task force voluta dal ministro dell’Interno Angelino Alfano dopo gli ultimi casi di cori razzisti. Il gruppo tecnico è presieduto dal prefetto Vincenzo Panìco (nella foto in basso), capo della Segreteria del Dipartimento della pubblica sicurezza che avrà funzioni di coordinatore. Ne fa parte anche il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, Pasquale Ciullo, Giovanni Panebianco (presidenza del Consiglio, Ufficio per lo sport), Rosaria D’Errico (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), il colonnello Mario Cinque (Comando generale Arma dei Carabinieri), il colonnello Giovanni Padula (Comando generale Guardia di Finanza), il direttore generale della Federcalcio Antonello Valentini, il direttore generale della Lega di serie A Marco Brunelli, il direttore generale della Lega di serie B, Paolo Bedin e quello della LegaPro, Francesco Ghirelli. Le funzioni di segreteria sono svolte da Roberto Massucci, vice presidente operativo dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, il quale ha mantenuto funzioni prevalentemente propositive, avendo il compito di individuare le gare e le manifestazioni a rischio, rinviando poi al Comitato le valutazioni sul tipo di misure di sicurezza, di carattere restrittivo o interdittivo, che le autorità provinciali saranno invitate ad adottare in vista delle gare. Tra le finalità, non solo stadi più sicuri ma nuove misure di deontologia professionale ed iniziative di carattere educativo, lotta al razzismo, linee guida per una migliore accoglienza negli stadi, ottimizzazione del ruolo degli steward, procedure di semplificazione per la vendita dei tagliandi di accesso alle manifestazioni calcistiche.
Al vaglio del Casms anche una ulteriore segmentazione dei settori degli stadi, come la creazione di spazi per le famiglie con attività culturali e commerciali, per la difesa del merchandising. Assistere agli incontri di calcio sarà quindi come andare al cinema, al teatro o in qualsiasi altro luogo di svago: ci si potrà recare allo stadio qualche ora prima, fare shopping, mangiare qualcosa, vedere la partita e poi trattenersi ancora in tutta tranquillità.
Valentina Pistillo

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Gestire Le forze in campo
L’impiego delle forze di polizia (grafico 8) in occasione di manifestazioni sportive ha visto, negli ultimi anni, una revisione complessiva. L’obiettivo è quello di corrispondere alle mutate esigenze di gestione dell’ordine pubblico e alle necessità di salvaguardare gli interessi legittimi di tutti i cittadini e, dunque, sia di coloro che hanno interesse a partecipare a pubbliche manifestazioni che di quelli che svolgono le normali attività quotidiane. In questa strategia rappresenta un vero e proprio valore aggiunto la Scuola dell’ordine pubblico di Nettuno dove, poliziotti di ogni grado approfondiscono tecniche di dialogo, di comprensione dei conflitti e metodologie di lavoro standard a livello nazionale.

Armando Forgione - direttore dell’Ufficio ordine pubblico del Dipartimento della ps


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01/02/2014