Susanna Carraro
Una donna contro la Yakuza
GIAPPONE
Tempi duri anche per la mala giapponese. Il padrino di una delle maggiori famiglie della yakuza si è trovato al centro di una storia senza precedenti. Infrangendo un forte muro d’omertà, una ristoratrice di Nagoya ha sporto denuncia per estorsione contro il più importante capo mafioso del Giappone, reclamando la restituzione dei 17,35 milioni di yen (€ 133.000) che era stata costretta a versare fra il 1998 e il 2010 in cambio di protezione. Nel 2008 aveva deciso di porre fine allo stillicidio del pizzo: per tutta risposta la yakuza si era detta pronta a incendiarle il ristorante. Esasperata, la donna ha denunciato direttamente il vertice dell’organizzazione mafiosa ed è stato così che un banale fatto di cronaca ha assunto subito un’altra dimensione. La donna ha potuto far ricadere la responsabilità dei fatti nientemeno che sul padrino Kenichi Shinoda “in quanto datore di lavoro” dei suoi “esattori”: da una ventina d’anni, infatti, un inasprimento delle leggi ha facilitato l’attività della polizia nel contrasto al fenomeno della mafia che, legale in Giappone, conta innumerevoli ramificazioni e protezioni. Kenichi Shinoda riunisce sotto di sé 27.700 membri (pari a oltre il 40% della malavita organizzata) e, secondo le autorità, nel 2012 avrebbe perso ben 3.300 uomini: una crisi di vocazioni dovuta forse alla durezza del lavoro e alla perdita di quel fascino e di quel folklore che avevano caratterizzato la yakuza in passato, col rito dei tatuaggi, delle dita mozzate e del linguaggio cifrato. Forse non più