Paolo Mastri*

Storia e modernità

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Pescara negli ultimi anni è stata al centro di un nuovo boom che ha portato ricchezza sulle sponde dell’Adriatico. Ma anche problemi legati a una posizione geografica che la rende crocevia delle rotte della droga balcaniche e campane

L’atto di nascita nel 1927, con l’unificazione dei due borghi fluviali, l’innocenza perduta sotto le bombe alleate del ’43, la poderosa rinascita del dopoguerra e, nel tempo presente, la motivata ambizione metropolitana. Non esiste, nel panorama municipale dell’Italia racchiusa tra Appennino e Adriatico, un’altra città che possa far coincidere la sua storia con la memoria di un uomo; non esiste, al di fuori di Pescara, un altro caso urbano in cui meticciato, inclusione, intraprendenza, apertura ai commerci rappresentino insieme le ragioni del miracolo e gli elementi della complessità, le luci e le ombre, il bello e il brutto.
Piccola Manhattan secondo gli economisti che hanno a lungo scandagliato le radici di un boom basato su edilizia, trading logistica, servizi avanzati. Moderno Far West per Guido Piovene (il giornalista-scrittore, autore di “Viaggio in Italia”, ndr) che per primo subì il fascino della nascente locomotiva d’Abruzzo. Impossibile guardare Pescara con una sola lente, a partire dall’atto fondativo della quarta provincia di una regione rimasta ancorata alla tripartizione napoleonica. Parla di “grazioso omaggio“ del regime al Vate Gabriele d’Annunzio la versione oleografica; fu in realtà operazione politica più raffinata per bilanciare con un solido contrappeso agrario le intemperanze operaie della alta Val Pescara, il cui regista, più che nel poeta, viene indicato in Giacomo Acerbo, all’epoca potente ministro dell’agricoltura ed esponente di una classe dirigente che, da Spaventa a Gaspari, dalla stagione preunitaria all’approdo repubblicano, ha rappresentato il valore aggiunto della regione cerniera tra nord e sud. Mezzogiorno operoso, come ama dire lo storico dell’economia Costantino Felice.
Dal suo ufficio con finestre sul fiume, anima alternativa e, questa sì, autenticamente dannunziana della Pescara marinara guarda a questa città plurale il questore Paolo Passamonti. Centoventottomila residenti per l’anagrafe, una corona metropolitana che spinge il peso demografico verso i quattrocentomila abitanti reali spalmati nel tutt’uno che ormai salda Silvi Marina a Francavilla, Chieti a San Giovanni teatino, Spoltore e Montesilvano: «Per le forze di polizia – spiega il questore Passamonti – significa mettere al primo punto le ragioni dell’ordine pubblico, specialmente in presenza di una crisi che risveglia le tensioni sociali, specialmente in una città che esercita anche una funzione di supplenza civile rispetto all’Aquila. Da oltre quattro anni Pescara è l’unica ribalta regionale per manifestazioni di ogni genere: il risultato è condensato in una media annua di tremila ordinanze di ordine pubblico. Oltre 1.200 giorni in cui abbiamo annotato soltanto due date nere: il 2 giugno del 2011 con l’assalto della marineria alla sede della guardia costiera, il 9 agosto 2010 con gli scontri tra tifosi al termine di Pescara-Roma. Sorprende soltanto un po’, pescatori e tifoseria organizzata sono tra i corpi sociali più compatti e identitari, nel bene e nel male. Abbiamo gestito eccessi e degenerazioni, nel primo caso all’interno di una delicata vertenza per l’insabbiamento dei fondali del porto, seguendo la linea del dialogo, anche con le frange più estreme. È una precis

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01/10/2013