Daniele Messa
Fermati, pensa e agisci
Come prevenire l’incidente subacqueo. I consigli dell’esperto
Godere delle meraviglie del mondo sottomarino da diversi anni non è più un privilegio di pochi appassionati, ma è diventata un’attività alla portata del grande pubblico con tutte le problematiche che ne conseguono.
Ne parliamo con Luisa Cavallo, vicario della questura di Grosseto, già direttore del Centro nautico e sommozzatori della Polizia di Stato, e autrice di due interessanti pubblicazioni sull’argomento: Le leggi della subacquea e l’ultimissimo L’incidente Subacqueo.
Quali problematiche ha comportato la diffusione di una disciplina che fino a non molti anni fa era considerata quasi uno sport estremo?
La grande problematica che ha comportato la diffusione in forma massiccia dell’attività subacquea è che alla consapevolezza di poter aggregare un numero sempre crescente di persone che possono svolgere un’attività pericolosa, non si sia affiancata la costruzione di regole etiche e strutture di sicurezza adeguate alla diffusione di uno sport che è cresciuto in maniera rapida ed esponenziale. Non esiste infatti tutt’ora una normativa specifica che riguardi non solo i diritti e i doveri dei consumatori, ma anche quelli di chi fornisce servizi per l’attività subacquea. L’unico riferimento disponibile oggi sono delle norme tecniche ad adesione volontaria, molto utili in caso di accertamento delle responsabilità, ma che hanno pochissima deterrenza nel momento della prevenzione. Si può e si deve fare comunque riferimento alle norme di carattere generale: codice civile, penale e sentenze di Cassazione.
Noi come Polizia di Stato chiaramente non possiamo trascurare questo aspetto, che è parte della nostra mission. La creazione di un sistema di prevenzione e di sicurezza significa nella maggior parte dei casi salvare delle vite, perché purtroppo statisticamente l’incidente subacqueo risulta fatale.
Diversamente da qualche anno fa attualmente in una settimana si ottiene un brevetto di livello base, inoltre si stanno diffondendo le immersioni “tecniche” con l’utilizzo di miscele. Come va affrontata questa continua evoluzione?
Agli albori di questa bellissima attività negli Anni ’70, ai tempi di Duilio Mercante e della “Tribù delle Rocce”, i pochi praticanti avevano una scelta molto limitata su quali attrezzature utilizzare. L’autorespiratore ad aria (ara) era praticamente l’unica opzione, con l’eccezione per chi proveniva dagli ambienti militari ed aveva imparato ad utilizzare sistemi a circuito chiuso come l’aro (autorespiratore ad ossigeno). Nonostante l’utilizzo di attrezzature sicuramente meno evolute di oggi, la percentuale di incidenti era molto più bassa. Questo a mio giudizio grazie ad una maggiore consapevolezza del rischio, che oggi purtroppo si è un po’ persa.
La proliferazione negli ultimi quindici anni dell’attività subacquea cosiddetta “tecnica”, con l’utilizzo di attrezzature a circuito chiuso e semi-chiuso (rebreather) e l’impiego di miscele arricchite (Nitrox, Trimix), ha spostato molto in avanti, o per meglio dire in profondità, l’asticella dei nostri limiti. Grazie a queste attrezzature è oggi possibile raggiungere profondità molto maggiori e tempi di permanenza sott’acqua prima impensabili. Non bisogna mai dimenticare però una delle prime regole che si apprendono in ogni corso che si rispetti: conosci i tuoi limiti.
La crescita esponenziale di sigle e didattiche sia italiane che internazionali per il rilascio di brevetti cosa ha comportato?
La diffusione, forse un po’ troppo deregolamentata, delle sigle didattiche ha avuto sicuramente il merito di aver dato accesso alle meraviglie del mondo sommerso a molte persone che prima non avrebbero mai immaginato di poterlo fare, contribuendo anche alla diffusione di una cultura di protezione e tutela del patrimonio marino.
L’effetto collaterale di una diffusione così veloce e senza regolamentazione, ha prodotto però la percezione che l’attività subacquea non sia pericolosa, o molto meno pericolosa di tante altre. Questo è il rischio maggiore, perché comporta una sottovalutazione dei pericoli e la mancanza di attenzione alle procedure di sicurezza preventiva, spesso anche da parte degli operatori.
Portare un gruppo di neo brevettati a visitare una grotta, anche se molto ampia, è un rischio che non può essere assolutamente corso. È quello che purtroppo è accaduto lo scorso anno a Palinuro nella grotta degli occhi e che oggi ricordiamo come una tragedia.
Quali sono le difficoltà di mettere in pratica in ambiente acquatico le comuni tecniche di indagine, a seguito dell’accertamento di un incidente?
Le classiche tecniche di polizia scientifica non sono certo applicabili in un ambiente subacqueo, dove è praticamente impossibile riuscire a “congelare” la scena del crimine. Dobbiamo adattarci alle mutevoli condizioni ambientali (correnti, visibilità, moto ondoso), e adattare ad esse le tecniche che utilizziamo normalmente “all’asciutto”. Quasi mai l’intervento in caso di incidente è contestuale o subito successivo all’evento tragico. Contrariamente alla terra ferma nella maggior parte dei casi s’interviene a differenza di diverse ore dall’accaduto, e può diventare veramente difficile ricostruire la situazione ex-ante, anche a distanza di solo una o due ore.
L’impiego di attrezzature di ripresa foto e video aiutano senz’altro la ricostruzione e riveste fondamentale importanza la figura del consulente tecnico perché può orientare in maniera specifica l’azione dell’inquirente e del giudice. I sommozzatori della Polizia di Stato sono specificamente addestrati a questo genere di attività e soprattutto hanno quella flessibilità mentale per rendere chiaro a chi, magistrato inquirente o giudicante, abbia la necessità di ricostruire quale fosse la situazione al momento in cui si è verificato l’evento. Vista la particolarità delle condizioni ambientali, il sopralluogo subacqueo richiederebbe la creazione di una metodologia tecnico-scientifica ex novo la cui sistematicità e validità possa avere valenza in ambito probatorio. Si tratta di un settore che potrebbe ulteriormente elevare i canoni di eccellenza già raggiunti dai reparti d’investigazione scientifica. Un esempio di questo genere ci viene dall’addestramento alla ricerca dei cadaveri in acqua delle unità cinofile della Polizia di Frontiera di Milano. Una delle prossime sfide potrebbe essere proprio quella del sopralluogo in ambiente marino e acquatico.
Abbiamo ancora negli occhi la tragedia della Concordia. Quale ruolo hanno avuto i sommozzatori del Cnes della Polizia di Stato in un intervento che non ha precedenti nella storia recente?
è stato ed è tutt’ora uno scenario eccezionale. è cominciato durante la notte dell’incidente e continua tutt’oggi. Nei primi momenti la priorità è stata chiaramente quella di assicurare le vite umane. Tutte le forze di polizia e anche la comunità del Giglio si sono adoperate per salvare il maggior numero di persone, dopo di che è cominciata la raccolta delle prove. Conclusa la ricerca dei dispersi, la polizia e stata impiegata nell’identificazione delle vittime, grazie all’intervento della divisione Dvi (Disaster victim identification) della polizia scientifica.
Nel libro L’incidente subacqueo, viene dedicato l’ultimo capitolo all’attività di ricerca, divulgazione e sensibilizzazione che sta svolgendo Dan Europe Foundation, una organizzazione internazionale nata e sviluppata in Italia.
Alessandro Marroni, fondatore di Dan Europe, è un nome e una garanzia per il mondo della subacquea e la fondazione che presiede è un punto di riferimento per la risoluzione di problemi legati all’incidentalità subacquea. Ma soprattutto sta diventando un grandissimo rifermento nell’individuazione di quelle che vengono universalmente definite best practices, per creare una cultura della sicurezza condivisa.
Un sistema di controllo dei rischi molto simile a quello del ciclo di produzione alimentare, meglio conosciuto come Haccp, con l’individuazione dei cosiddetti punti critici di controllo. Individuare nell’ambito di ogni attività quali siano i punti critici che potrebbero scatenare l’incidente e cercare di intervenire preventivamente creando uno step di controllo. Dobbiamo mettere uno sbarramento prima della situazione critica e metterci in condizione di seguire un’altra delle regole d’oro della subacquea: fermarsi, pensare e agire di conseguenza.
Una base di riferimento alla quale in futuro potrebbero aderire tutte le didattiche, che nella loro differenziazione dovrebbero prevedere un protocollo condiviso in merito alla sicurezza.
Credo molto in questo processo e questo ha fatto si che Dan Europe e l’Accademia internazionale di scienze e tecniche subacquee patrocinassero la pubblicazione del libro.
Siamo ormai in piena estate. Quale consiglio darebbe ai tanti sub “della domenica”?
Il mio consiglio è rivolto non solo ai sub “della domenica”, ma anche ai più esperti e appassionati: l’attività subacquea non è pericolosa solo quando viene considerata pericolosa.
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Il Centro nautico e sommozzatori (CNES) di La Spezia
Oltre ad essere il centro di supporto tecnico-logistico e amministrativo per il servizio navale della Polizia di Stato è anche Scuola di specializzazione nautica per le attività marinaresche, per i tecnici di mare e per gli operatori subacquei.
Il nucleo sommozzatori si compone di cinque squadre distaccate inserite negli Uffici prevenzione generale e soccorso pubblico delle questure di Sassari (Olbia), Palermo, Napoli, Bari e Venezia.
Il Cnes svolge quindi funzioni di coordinamento e di controllo delle squadre sommozzatori distaccate sul territorio nazionale, cura l'addestramento del personale navigante e subacqueo, e partecipa con il personale specialista all'attività di supporto nelle missioni delle squadre nautiche. Attualmente diretto dal primo dirigente Ugo Terracciano, ha in organico 40 tecnici di mare (comandanti d'altura, comandanti costieri e motoristi), 27 sommozzatori, suddivisi in 3 squadre operative, specializzati in tecnico iperbarico, fotografo navale subacqueo, manovratore di corda e alpinista.