Cristiano Morabito
Signori, in carrozza!
Dal 1907 la polizia ferroviaria vigila sulla sicurezza dei treni e nelle stazioni italiane adeguandosi all’evoluzione del trasporto sui binari. Ne abbiamo parlato con Claudio Caroselli, il direttore della specialità
Roma, sabato 3 agosto 2013 ore 16. Al binario 17 della stazione Termini arriva uno dei tanti treni locali che affollano durante la settimana lo scalo romano e vi riversano quotidianamente migliaia di persone. Il treno si è appena fermato, ma a bordo c’è qualcosa che non va: da una delle toilette esce del fumo e, man mano che il tempo passa, a bordo l’odore acre si diffonde alla stessa velocità del panico nei viaggiatori. Nei bagni del vagone ci sono delle fiamme, i passeggeri cercano una via d’uscita accalcandosi alle porte che si aprono consentendo la fuga. Alcuni però restano ancora a bordo, con il pericolo che le fiamme divampino da un momento all’altro in tutta la vettura. A quel punto tre agenti della polizia ferroviaria salgono a bordo e con gli estintori riescono a domare le fiamme: tutti i viaggiatori sono salvi e i tre poliziotti, leggermente intossicati dal fumo, saranno dimessi più tardi dal vicino pronto soccorso dell’ospedale Umberto I.
Sono tanti gli episodi che quotidianamente coinvolgono gli uomini e le donne della Polfer che dal 1907 vigilano sui quasi 17.000 km di binari che attraversano in lungo e in largo la Penisola, nelle 2.200 stazioni e sui treni che la percorrono da Nord a Sud, presenti sul territorio italiano, e che, a volte, hanno portato anche delle vittime. Il ricordo va direttamente ad Emanuele Petri che il 2 marzo del 2003, durante un normale controllo documenti sulla tratta Roma-Firenze, ebbe la sfortuna di incrociare Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, i due brigatisti legati agli omicidi Biagi e D’Antona, morendo in seguito alle ferite riportate durante lo scontro a fuoco che ne scaturì.
Ancora un po’ di numeri per dire che la Polfer conta circa 4.500 operatori, suddivisi in 17 sezioni, 27 sottosezioni e 153 posti di polizia dipendenti da 15 compartimenti. Numeri che fanno della Ferroviaria una delle specialità numericamente più importanti della Polizia di Stato e tra quelle più capillarmente presenti sul territorio. A capo vi è Claudio Caroselli al quale, oltre che il compito di dirigerla, è stato affidato anche l’incarico di mantenerla al passo con i tempi e con la tecnologia che, di giorno in giorno, evolve, cambia e modifica le abitudini anche dei viaggiatori. Con lui abbiamo esplorato il mondo delle ferrovie italiane, chiaramente dal punto di vista e con l’occhio di chi ogni giorno deve vigilarne e garantirne la sicurezza: i “Polferini”.
Un nuovo modo di viaggiare
L’ultimo decennio, nel trasporto su rotaia, si può dire che sia stato davvero rivoluzionario. Dieci anni fa era impensabile impiegare tre ore per andare da Roma a Milano: ce ne volevano sei con il più veloce degli Intercity che, se rapportato ai tempi di viaggio di un aereo, non avrebbe mai consentito di recarsi in una delle due città tornando nella stessa giornata. Oggi è diverso e l’avvento dell’alta velocità permette di arrivare dalla Capitale nella città meneghina, ma anche a Venezia, Firenze, Napoli o Bologna, con tempi di percorrenza dimezzati e che hanno fatto vacillare la supremazia delle ali, il tutto a vantaggio dei viaggiatori che possono usufruire della concorrenza nelle tariffe tra i due mezzi di trasporto. In più, la direttiva dell’Unione europea, che ha liberalizzato il trasporto ferroviario, ha ampliato ancor di più il ventaglio di scelte a disposizione, con un conseguente ulteriore ribasso delle tariffe.
Dunque l’alta velocità ha realmente rivoluzionato il modo di muoversi degli italiani ma, di conseguenza, ha cambiato radicalmente anche il modus operandi di chi deve vigilare sulla sicurezza dei trasporti, che non può essere garantita nello stesso modo in cui lo era 20 anni fa ma, necessariamente, si è dovuta evolvere di pari passo.
A protezione dei pendolari
Ma da una parte le Frecce FS e dall’altra gli Italo di Ntv, non sono che una parte del trasporto su ferro italiano; ci sono molte altre realtà, tra le quali il trasporto merci e il cosiddetto “traffico dei pendolari”: «Abbiamo notato, numeri alla mano – commenta Caroselli – che a causa della crisi economica degli ultimi anni, molte persone hanno iniziato a scegliere il treno come principale mezzo di trasporto quotidiano, lasciando nei garage le autovetture». Un aspetto, quest’ultimo, su cui riflettere approfonditamente e che porta più persone a bordo dei treni pendolari, il che in automatico fa salire l’asticella dei pericoli legati ad una maggiore presenza numerica sulle vetture.
«Una volta i convogli dei pendolari – dice il direttore della Specialità – erano un po’ abbandonati al loro destino, ma ho voluto e ottenuto, con un ulteriore impegno economico da parte delle FS, la presenza dei nostri operatori anche su questi treni, avendone da parte degli utenti un ottimo riscontro. Porto sempre ad esempio la linea Roma-Nettuno, una tratta nelle cui stazioni non ci sono posti Polfer e che suscitava in continuazione le critiche dei viaggiatori anche dal punto di vista della sicurezza. Ho carpito, per caso, la conversazione tra due signore che si chiedevano come mai da qualche tempo la polizia fosse presente su quei treni, se fosse successo qualcosa di particolare o se fosse iniziata una nuova strategia da parte delle forze dell’ordine. Allora mi sono reso conto di aver raggiunto un obiettivo importante: quello della visibilità, perché la sola presenza di una divisa sul treno ingenera sicurezza negli utenti. Abbiamo così abbattuto decisamente quel fenomeno che nel nostro gergo viene definito “lof” (ladri operanti su ferrovia, ndr). Si era arrivati – conclude Caroselli – a limiti intollerabili, come ad esempio quando spesso sulla linea di Salerno, dopo aver fatto razzia tra i passeggeri, i ladri tiravano il freno di emergenza per scendere in piena campagna! Sono state individuate le percorrenze più a rischio mettendole “sotto trattamento”, ossia effettuando scorte brevi (ogni turno di servizio riesce a coprire 4-5 treni) di continuo, sia in uniforme che in abiti civili e il fenomeno lof è stato abbattuto. In più siamo presenti su buona parte dei treni notturni a lunga percorrenza che, pur essendo diminuiti nel numero, hanno registrato una crescita della presenza di polizia a bordo».
Grandi stazioni, grande vigilanza
Le stazioni ferroviarie, soprattutto quelle presenti nelle grandi città, negli anni hanno subito un radicale cambiamento. Oggi, ad esempio, Roma Termini e Milano Centrale sono radicalmente diverse ripetto a come erano trent’anni fa: non solo grandi hub ferroviari, ma anche veri e propri centri commerciali in cui andare a fare shopping. «Questa trasformazione – prosegue Caroselli – ha reso le grandi e medie stazioni dei centri pieni di vita. Infatti facciamo sempre una distinzione, quando studiamo statisticamente una stazione, tra il numero degli utenti ferroviari e quello dei frequentatori delle stazioni. Tutto ciò, dal punto di vista dell’attività di polizia, rende questi luoghi degli obiettivi sensibili, ad esempio, in cui progettare attentati terroristici. Per questo motivo stiamo lavorando insieme al Gruppo ferrovie dello Stato italiane per, quantomeno, limitare l’accesso alle grandi stazioni attraverso mezzi come i “dissuasori” (le colonnine automatiche che sbarrano l’accesso ai mezzi, ndr) e altri modi che rendano più difficile il compito a chi volesse attentare alla sicurezza di questi luoghi. Ma sempre in maniera non troppo invasiva perché, comunque, dobbiamo tener conto anche delle esigenze commerciali. Quindi, la tutela di una stazione ferroviaria non può essere simile a quella di un aeroporto, dove ci sono solo esigenze di sicurezza; verrebbe meno la peculiarità della concorrenza dell’alta velocità se, ad esempio, i viaggiatori fossero costretti ad effettuare lunghe file ai check-in come per imbarcarsi su un aereo».
Sono problematiche che, comunque, non investono solo il nostro Paese, ma oramai qusi tutta l’Europa, o meglio, soprattutto quella parte del Vecchio Continente che si è affacciata al complesso mondo dell’ “alta velocità”. Per questo è stato creato un organismo ad hoc, il gruppo “Railpol”, che a livello continentale mette in comune le esperienze delle “polfer europee” e ne analizza le problematiche comuni. In questo gruppo da poco sono entrati, in qualità di osservatori esterni, anche gli Stati Uniti che da qualche tempo hanno iniziato a sperimentare l’alta velocità sul proprio territorio e, dopo i fatti dell’11 settembre 2011, hanno giocoforza una concezione diversa, e sicuramente più radicale, della sicurezza nelle grandi stazioni a stelle e strisce.
«Quella nelle grandi stazioni – prosegue Caroselli – è una vigilanza un po’ particolare perché vede la presenza di molta tecnologia nelle nostre sale operative che attuano una videosorveglianza non solo della sede compartimentale, ma di tutti i posti polfer del compartimento e delle stazioni dove non c’è un posto di polizia e dove ci sono, ad esempio, solo le biglietterie automatiche. Nei grandi hub ferroviari abbiamo installato i totem con videocitofono sos, che sono in diretto collegamento con la sala operativa. Grazie a questo sistema nei primi cinque mesi di quest’anno sono stati rintracciati 417 minori scappati da casa (1.062 in tutto il 2012) che, notoriamente, per le loro fughe prediligono il mezzo ferroviario. Se aggiungiamo a tutto questo l’utilizzo dei defibrillatori nelle stazioni (pochi mesi fa a Roma Termini è stata salvata una persona in arresto cardiaco), la nostra presenza risulta essere sempre più capillare e utile».
Oltre alla videosorveglianza, nelle regioni del Sud Italia è iniziata la sperimentazione del sistema “Explore” che si basa sull’utilizzo di particolari computer palmari forniti di videocamera, collegati direttamente con la sala operativa che, di conseguenza, può vedere in tempo reale quel che sta facendo l’operatore di scorta e quel che accade nelle immediate vicinanze. «Questo sistema – dice il dirigente – è stato realizzato con gli stanziamenti del Pon (Programma operativo del mezzogiorno), ma grazie ad un accordo raggiunto con FS daremo un certo numero di questi strumenti anche a personale delle Ferrovie, del reparto protezione aziendale, che ne acquisteranno altrettanti per le altre regioni italiane, così da riuscire a coprire tutto il territorio nazionale».
Ma non dimentichiamoci che le stazioni, soprattutto nelle grandi città, sono dei veri e propri mondi a se stanti, una sorta di microcosmo che racchiude al proprio interno realtà di ogni genere, anche di emarginazione sociale. La stazione è un punto di riferimento per i senza fissa dimora che necessitano, comunque, di un’assistenza soprattutto dal punto di vista umano. «Ad esempio – spiega Caroselli – a Bari e Bologna la Polfer ha proposto di creare una vera e propria rete che coinvolge Onlus, Asl, comuni, prefetture. Si fa la segnalazione ai centri di accoglienza per vedere chi possa accoglierli. In caso siano in precaria salute, la segnalazione viene inviata direttamente al 118. Poi interessiamo anche il comune e la prefettura. Una rete che inizia proprio dalla polizia ferroviaria. A Bari stiamo ottenendo ottimi risultati, come anche a Bologna, e stiamo cercando di estendere questa rete anche ad altre città. E comunque ogni posto polfer in questi casi deve svolgere questa azione: quantomeno cercare chi possa accogliere gli homeless o, in alternativa, contattare le strutture sanitarie. L’ordine è quello di trattarli nel migliore dei modi, anche perché spesso e volentieri diventano nostri informatori: sono i nostri occhi lì dove non possiamo arrivare con i nostri mezzi».
Formazione e aggiornamento
Di fronte a questa evoluzione del trasporto ferroviario, anche la Polfer si è necessariamente dovuta evolvere, mantenendo sempre come focus principale la mission della specialità: prevenire e reprimere gli illeciti in ambito ferroviario e garantire la sicurezza dei trasporti. Ma ancor più importante è la specializzazione: «Lavorare in città o su strada – osserva Caroselli – è molto diverso che fare pattuglia su un treno: per la ristrettezza dell’ambiente in cui si va ad operare e, soprattutto, perché si è da soli. In volante si può chiamare aiuto e in poco tempo arrivano sul posto altre unità. Su un treno no, bisogna aspettare la prima fermata possibile. Poi c’è il rapporto con la cittadinanza: quello sui treni è uno dei servizi che prevede maggior contatto con le persone, primo step nella gestione dell’ordine pubblico».
Ai corsi di specialità presso il Caps (Centro addestramento della Polizia di Stato) di Cesena, vengono affiancati corsi di aggiornamento e seminari monotematici su argomenti attinenti la professione-polfer quali: il trasporto di merci pericolose; la gestione della prima emergenza; gli incidenti ferroviari; l’attività di polizia amministrativa perché, come recita il dpr 753, sono previste una serie di sanzioni di competenza della Polfer, come ad esempio l’attraversamento dei binari, l’oltrepassare la linea gialla sulle banchine o aprire le porte del treno in corsa.
«Per questa specializzazione – prosegue Caroselli – ci stanno dando una grande mano l’Agenzia nazionale sicurezza ferroviaria e il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, al nostro fianco, abbiamo anche l’Organismo investigativo infrastrutture e trasporti: una specializzazione continua e sempre attualizzata. Inoltre, in accordo con il Servizio polizia scientifica, a livello locale, abbiamo attivato dei corsi per i primi rilievi, per i casi di suicidio (1 ogni 2 giorni, di media!), investimento, svio di un treno ecc… Non sempre si può attendere l’arrivo della Scientifica e i primi ad intervenire sono proprio gli operatori della Polfer che, dunque, devono avere un minimo di preparazione proprio per effettuare al meglio quei primi rilievi che, spesso, sono fondamentali per le indagini».
In caso di disastro ferroviario, un nucleo ad hoc
Il 29 giugno del 2009, un treno merci deragliava nei pressi di Viareggio e uno dei convogli, costituito da una cisterna che trasportava gpl, prese fuoco ed esplose coinvolgendo anche alcune abitazioni limitrofe alla stazione ferroviaria. Il risultato fu devastante: 33 vittime.
«Proprio dopo quell’incidente – dice il direttore Caroselli – abbiamo istituito una sorta di task force di interventi rapidi: il “Nucleo operativo incidenti ferroviari”, un reparto altamente specializzato e composto da pochi operatori (un funzionario, un ispettore, due sovrintendenti e due agenti), istituito perché, dopo l’incidente di Viareggio c’era la necessità di “esperienza”. La principale difficoltà che abbiamo incontrato in caso di disastro ferroviario, è che sul posto dove arrivano tutti i vari enti si crea il caos. Era necessario che ci fosse qualcuno a coordinare soprattutto i primi interventi e le indagini in attesa delle disposizioni dell’autorità giudiziaria. Ci vuole “occhio clinico” e conoscenza della tecnologia ferroviaria. Ad esempio, un semplice bullone che potrebbe essere trascurato da chi non ne conosce la funzione, per un uomo del Nucleo potrebbe invece essere l’elemento iniziale e fondamentale per un’indagine».
Una specialità con il valore della tradizione
La professione-polfer è sicuramente una delle più antiche della Polizia di Stato, ma anche una delle più sentite come spirito di appartenenza e orgoglio di far parte di una specialità che opera da più di un secolo. «Ricordo che – conclude il suo intervento Caroselli – quando per la prima volta mi sono affacciato alla Polfer, andando a dirigere il Compartimento della Lombardia, notai subito l’alta considerazione che gli uomini hanno del responsabile del posto Polfer in ogni stazione che ricorda molto da vicino la figura dei vecchi marescialli di una volta che insegnavano a tutti. Un rispetto che ho notato da subito quando, anche i pari grado, davano del “lei” ai responsabili dei posti Polfer. Una cosa che oggi non è facile da riscontrare anche nel nostro lavoro».