Anna Costanza Baldry*

Se questo è amore…

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L’uso del termine femminicidio è sempre più giustificato dal numero delle donne uccise dal proprio partner. L’importanza di cogliere i segnali dell’escalation delle violenze attraverso il metodo Sara

«Se questo è amore allora io non voglio essere amata», mi ha detto un giorno una ragazza, da anni vessata psicologicamente e maltrattata fisicamente dal suo compagno. Dopo che lei lo ha lasciato, è stata perseguitata con continui messaggi, pedinamenti, telefonate, invio di regali, cartoline. Infine minacciata. «Ti picchio perché ti voglio bene», le ha scritto in un sms; «ti controllo e ti seguo ovunque vai perché sei mia», le ha detto più volte al telefono; «ti ammazzo perché ti amo e non potrei vivere senza di te» le ha detto l’ultima volta prima di essere arrestato dalla polizia mentre stava cercando di strangolarla con un filo di acciaio. Lei è stata fortunata e ha raccontato la sua storia dopo essersi rivolta, come tante altre donne, al centro antiviolenza della Provincia di Roma - Istituzione Solidea, gestito dall’associazione Differenza donna (www.differenzadonna.org) che fa parte della rete nazionale dei centri antiviolenza DiRe (www. direcontrolaviolenza.it).
In casi come questi è sbagliato parlare, come a volte avviene, di amore malato, perché siamo di fronte a una vera e propria escalation di violenza che può arrivare fino all’omicidio. Proprio recentemente sono usciti sulla prestigiosa rivista britannica The Lancet i dati sulla prevalenza dell’omicidio delle donne da parte del loro partner o ex, i così detti intimate partner homicide confrontando i dati di quasi 200 studi condotti in 66 Paesi. Ne emerge che le persone di genere femminile uccise per mano del partner o ex sono il 38,6%, mentre la percentuale di maschi uccisi dalla propria partner o ex si ferma al 6,3%. Si tratta di quello che gli studiosi chiamano Srok (Sex ratio of killing) per cui a 100 donne uccise dai loro compagni corrispondono 16 uomini uccisi dalle loro partner.
E in Italia cosa è successo in questi anni? Qual è il totale delle donne uccise dal partner o ex partner? Il trend degli ultimi anni (dalle 61 del 2005 alle 73 del 2012 e già 22 nei primi 4 mesi del 2013) purtroppo non ha subito flessioni negative neanche a fronte di nuove leggi e della cresciuta attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media.
Quando si usa il termine femminicidio si fa riferimento agli omicidi delle donne in quanto tali. Cominciare a denominare in questo modo tali omicidi misogini permette di rimuovere quella generalizzazione derivante dall’utilizzo di termini come “omicidio” o “uccisione” e comprenderne i fattori di rischio specifici connessi a questo tipo di crimini, la loro diffusione, le modalità per effettuare le indagini investigative mirate e, infine, prevenirli.
In particolare si parla di femminicidio domestico (domestic femicide) quando vengono uccise donne in ambito domestico, come nel caso di bambine, o mogli adultere, ammazzate per aver “disonorato la famiglia”. Il femminicidio nelle relazioni intime (intimate femicide), si riferisce invece ai delitti perpetrati da partner attuali o ex (mariti, conviventi, fidanzati) nei confronti delle loro compagne, quasi sempre per possesso, gelosia o come forma estrema di esercizio di potere, che come si è visto in Italia è la forma più diffusa e da sola rappresenta la metà di tutti i casi di persone di sesso femminile uccise.
Analizzando i dati dell’omicidio della partner o ex nel quinquennio 2000-2004 è interessante notare che su 498 casi la morte è inferta nel 37% con arma da fuoco, nei restanti con arma da taglio, con altro corpo contundente, per soffocamento, strangolamento, defenestramento, investimento. Di tutti gli uomini che hanno ucciso la propria partner, il 25,5% si è poi suicidato, l’8% ha tentato il suicidio senza riuscirci. Quando si uccide con un’arma da fuoco il tasso del suicidio aumenta (47,5%) perché è più probabile riuscire nell’intento di suicidarsi. La presenza di un’arma da fuoco aumenta il rischio di esito fatale anche di una lite. Il legislatore, a tale proposito, ha previsto la revoca cautelativa del porto d’armi in presenza di ammonimento o querela.
Il dato più importante per porre un freno al feminicidio è riflettere sul fatto che prima di essere uccise, il 70-80% delle vittime è stata maltrattata o perseguitata. Violenze che spesso non erano state denunciate per la paura delle ripercussioni, per la speranza in un cambiamento, per il ricatto sui figli, per la sfiducia nelle istituzioni.
La violenza domestica (identificata anche come Intimate partner violence) fa qui riferimento a una serie abituali di violenze fisiche, verbali, psicologiche, economiche e sessuali.
Cessata la relazione spesso iniziano gli atti persecutori – il cosiddetto stalking – caratterizzati da minacce e molestie reiterate sotto forma di azioni dirette (pedinamenti, appostamenti, tentativi di parlare con la vittima) e indirette (chiamate continue, e-mail, sms) che inducono nella vittima uno stato di ansia, timore per l’incolumità propria e delle persone care tale da costringerla a cambiare le proprie abitudini di vita.
Non si tratta di corteggiamenti insistenti, o di tentativi di una persona innamorata di riconquistare il cuore dell’amata; quando si arriva a questo punto è importante far capire alla vittima il rischio che corre, anche perché a volte le vittime raggiungono una sorta di “saturazione”, sottovalutano il livello di pericolo e, in alcuni casi, acconsentono a incontrare il reo. L’ultimo appuntamento potrebbe essere fatale, soprattutto quando l’uomo vede che la sua ex non vuole più tornare insieme a lui, o si sta cercando di rifare una vita e lui non ha più niente da perdere. Questo è uno dei momenti a più alto rischio di recidiva, escalation o addirittura di violenza letale.
Proprio per questo la vittima deve trovare nelle forze dell’odine un interlocutore forte, preparato, capace di fornire informazioni esaustive e corrette. La polizia spesso interviene mettendo la donna in contatto con il più vicino centro antiviolenza o fornendole il numero verde 1522 attivo 24 ore su 24. Con il centro o direttamente con il commissariato viene poi redatta la querela o si procede con la richiesta dell’ammonimento nei casi di stalking.
Accedendo alla pagina di www.sara-cesvis.org è possibile far compilare alla vittima il questionario ISA on line sull’autovalutazione del rischio. Il questionario, completamente anonimo aiuta a stilare un ‘’profilo di rischio’’ (verde-basso, giallo-medio, arancione-elevato e rosso-rischio gravissimo) con l’individuazione di fattori la cui presenza aumenta la probabilità che la violenza si reiteri.
Una volta valutato il livello attraverso il metodo Sara, Spousal assault risk assessment, attualmente utilizzato dalla Polizia di Stato in Italia (vedi box pp. 13), si procede con la gestione del rischio che implica il coinvolgimento di vari attori, per provvedimenti penali, o amministrativi o civili, per il monitoraggio del caso e la protezione della vittima, attraverso l’avvio di quella che dovrebbe essere la così detta rete integrata che è la sola che può permettere risposte efficaci. 

*professore associato Dipartimento di Psicologia, II università degli studi di Napoli Responsabile sportelli antistalking, Differenza Donna
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I FATTORI DI RISCHIO del METODO “SARA”
Violenze del partner
1. Gravi violenze fisiche/sessuali (lesioni che mettono in serio pericolo la vita della vittima o che richiedono cure mediche).
2. Gravi minacce di violenza, ideazione o intenzione di agire violentemente.
3. Escalation della violenza fisica/sessuale e delle minacce/ideazioni o intenzioni di agire con violenza.
4. Violazione delle misure cautelari o interdittive (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia, divieto od obbligo di dimora, arresti domiciliari, obbligo di allontanamento dalla casa familiare, eccetera).
5. Atteggiamenti negativi nei confronti delle violenze interpersonali e intrafamiliari. Incoraggiare o giustificare il comportamento abusivo e violento minimizzando ogni responsabilità personale attraverso la colpevolizzazione della vittima o negando la gravità delle conseguenze delle proprie violenze.

Adattamento psicosociale
6. Precedenti penali. Nella valutazione vengono presi in considerazione condanne o imputazioni per altri reati non legati alla violenza domestica nei confronti della partner.
7. Problemi relazionali. Separazione dal partner o elevata conflittualità all’interno della relazione attuale o in quelle pregresse.
8. Status occupazionale o problemi finanziari. Status cronico di disoccupazione, lavoro instabile, gravi problemi finanziari.
9. Abuso di stupefacenti o alcolici.
10. Disturbi mentali. Manie, allucinazioni, demenza, depressioni e ansia; disturbo della personalità, segnali di minacce, ideazione e intenzione di suicidio.

Fattori di vulnerabilità della vittima
11. Condotta e atteggiamento incoerente nei confronti del reo: la vittima che si è separata nonostante l’ordine di allontanamento continua a vedere o sentire il partner o a tornarci insieme (sensi di colpa), ha presentato la querela ma poi l’ha ritirata (giustificazione del reo).
12. Estrema paura nei confronti del partner.
13. Sostegno inadeguato alla vittima (assenza di servizi, scarsa mobilità o vittima straniera che non conosce la lingua ed è senza permesso di soggiorno).
14. Scarsa sicurezza di vita (la donna non ha auto né cellulare; lavora a stretto contatto con il partner; ha almeno un figlio con il partner).
15. Problemi di salute psicofisica o di dipendenza da alcol, droghe, psicofarmaci.
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Un’altra vita per Elena
di Anacleto Flori

L’arrivo in Italia dall’Abania assieme al marito, alla fine degli Anni ’90, è il coronamento di un sogno. Roma rappresenta la speranza di una nuova vita, sicuramente migliore. Finalmente un lavoro e una casa tutta sua dove far nascere e crescere i suo figli. La bella favola, però, è destinata a durare poco. A Elena (nome di fantasia) non ci vuole molto a capire che la violenza da sempre presente nel marito ha attraversato l’Adriatico assieme a loro, pronta a riesplodere alla prima occasione. Appena sposata ha già imparato a vivere in punta di piedi, reprimendo ogni slancio emotivo, ogni impulso vitale. Fino a diventare l’ombra di se stessa. Anche se cerca di non fornire al marito alcun pretesto, i soprusi, le botte e le minacce iniziano ben presto a scandire le sue giornate. Come una bomba ad orologeria, in ogni momento della vita familiare può scattare nel marito quella voglia di riaffermare su di lei e sulla sua esistenza un controllo assoluto: un bicchiere rotto, una cena che si è freddata o semplicemente un buongiorno augurato al vicino sono tutte occasioni per alzare le mani. Mentre agli occhi del mondo la vita di Elena scorre apparentemente tranquilla, dietro la porta di casa e nel chiuso delle stanze il sogno iniziale si è ormai trasformato in un incubo da vivere in silenzio e soprattutto da sola. Il delirio di possesso del marito ha fatto terra bruciata intorno a lei: non ha più amiche o familiari con cui confidarsi. L’escalation della violenza non si arresta neppure con la nascita dei due figli e le continue percosse cominciano a lasciare segni sempre più evidenti sul corpo minuto di Elena che è costretta a recarsi più volte all’ospedale di zona per farsi medicare. Ai medici dichiara che è stato il marito a ridurla così, ma che non se la sente di denunciarlo… L’ultimo atto va in scena nel gennaio dello scorso anno: sono mesi che l’uomo va ripetendo alla moglie, sotto gli occhi terrorizzati dei figli, «un giorno di questi, giuro che ti taglio la gola». E quel giorno fatalmente arriva: al culmine dell’ennesimo pestaggio, l’uomo apre il cassetto alla ricerca di un coltello, ma il cassetto è vuoto... a far sparire i coltelli da casa ci ha pensato, proprio il giorno prima, il figlio più grande, spaventato dalle continue minacce del padre. Allora giù altre botte mentre le mani dell’uomo si stringono intorno al collo di Elena… Il ragazzo corre in strada disperato in cerca di aiuto, qualcuno lo ferma, chiama il 113. Per fortuna la volante di zona della polizia è in un servizio di pattugliamento proprio lì, a due isolati dal palazzo: pochi secondi a sirene spiegate, e i poliziotti sono già dentro l’appartamento. Elena è a terra con il volto tumefatto; ha grossi lividi rossi intorno al collo e respira a fatica, ma è viva. Questa volta in ospedale ci arriva scortata dagli agenti di polizia del vicino commissariato Romanina. Ed è un’altra coincidenza fortunata, perché il marito è lì ad aspettarla davanti all’ingresso del pronto soccorso in un estremo tentativo di imporre la sua presenza intimidatoria alla donna. Ma questa volta è davvero la fine di un incubo: alla vista degli agenti l’uomo fa perdere le sue tracce, mentre Elena trova dentro di sé e nello sguardo implorante dei figli la forza di denunciare il marito.
Dopo 15 anni di violenze e abusi, Elena ha finalmente trovato nel Centro comunale antiviolenza “Donatella Colasanti e Rosaria Lopez”, gestito dall’Associazione Differenza Donna, un angolo di quiete e serenità.
Il lento percorso di riappropriazione di sé e della propria vita è ormai avviato: assistita dall’ufficio legale del Centro, Elena ha ottenuto la separazione dal marito (nel frattempo fuggito all’estero, in attesa del processo) e, dopo aver frequentato un corso di avviamento, ha trovato anche un lavoro part-time. Certo c’è bisogno ancora di tanto tempo per cancellare le vecchie cicatrici e a volte, prima di addormentarsi, il pensiero ritorna come un boomerang a quella sera drammatica e la domanda che risuona nella testa di Elena è sempre la stessa «e se avesse trovato un coltello, lo avrebbe veramente usato? mi avrebbe davvero uccisa?».
Ma a certe domande è meglio non rispondere…

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Centro comunale antiviolenza
“Donatella Colasanti e Rosaria Lopez”

Attivo dal 1997, il Centro è diretto da Raffaella
Di Cola. Attualmente è in grado di offrire ospitalità a 5 nuclei familiari (donne sole con figli) che si trovano in situazioni di grande rischio, garantendo inoltre sul territorio i seguenti servizi specializzati:
- ascolto telefonico 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno; consulenza legale, sociale, psicologica;
- avvio di procedure con i servizi territoriali
(scuole, ospedali, consultori, ecc.) e con le diverse istituzioni (comune, provincia, regione,
tribunale per i minorenni, tribunale civile e penale);
- mediazione scolastica e culturale;
- orientamento al lavoro.
Contatti: Centro “Donatella Colasanti e Rosaria Lopez”
via di Torre Spaccata 157 - Roma
Tel. 06.232.690.49
centrocomunale.antiviolenza@gmail.com

01/07/2013