Irene Scordamaglia
Stranieri e processo penale
La permanenza dello straniero sul territorio nazionale
“Non c’è sicurezza, senza diritto”
Le condizioni del soggiorno dello straniero sul territorio nazionale
La questione relativa alle condizioni che legittimano il soggiorno dello straniero sul territorio dello Stato acquisisce una valenza del tutto peculiare nell’ipotesi in cui questi venga a trovarsi coinvolto in un procedimento o in un processo penale, venendo la stessa ad intersecarsi con quella relativa all’effettivo riconoscimento in favore dello straniero dei diritti fondamentali della persona, in specie quelli all’uguaglianza dinanzi alla legge, alla difesa e ad un giusto processo.
La disciplina vigente dell’immigrazione pare, invero, avere regolamentato la materia dell’ingresso e della permanenza dello straniero sul territorio dello Stato avendo di mira, in maniera precipua, l’affermazione dell’interesse dello Stato alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Programmaticamente, infatti, l’art. 4 3°comma dlgs n. 286/1998 – come modificato dall’art. 4 1°comma lett. b) l. 189/2002 – statuisce che : “Non è ammesso in Italia lo straniero che sia considerato una minaccia per l’ordine o per la sicurezza dello Stato o che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 cpp, per i reati previsti dall’art. 380 1° e 2° comma, cpp (vale a dire per uno dei reati più gravi per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ndr), ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, lo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite” e, nel solco della medesima ratio legis, l’art. 13 3°comma dlgs n. 286/1998 dispone che: “Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l’espulsione, richiede il nulla osta dell’autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi e nell’interesse della persona offesa”.
Soltanto specifiche esigenze processuali, dunque, costituenti espressione dell’interesse pubblico all’accertamento dei reati, consentono di derogare al rigido impianto statalista stabilito dalla normazione in materia d’immigrazione, come dimostrato, tra l’altro, dalla previsione, contenuta nell’art. 11 comma 1, lett. c - bis) dpr n. 394/1999, della possibilità del rilascio, su richiesta dell’autorità giudiziaria, di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, nei casi in cui la presenza dello straniero sul territorio nazionale sia indispensabile in relazione a procedimenti penali in corso per uno dei reati di cui all’ art. 380 cpp nonché per taluno dei delitti di cui all’ art. 3 legge n. 75/1958.
Ed alla medesima opzione ideologica legata alle esigenze del contrasto delle più gravi forme di attentato agli interessi fondamentali dello Stato sembra ispirarsi, a ben vedere, anche la previsione contenuta nell’art. 18 dlgs n. 286/1998, che, proprio in relazione ad indagini per uno dei reati previsti dall’art. 380 cpp o dall’art. 3 legge n. 75/1958, contempla la possibilità che allo straniero privo del permesso di soggiorno, il quale sia esposto da parte degli autori dei reati predetti a violenze o pressioni alle quali tenti di sottrarsi e che perciò venga a trovarsi in situazione di pericolo per la sua incolumità, sia rilasciato un titolo di soggiorno per favorirne il reinserimento sociale, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica che indichi la: “rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale ovvero per l’individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati”.
C’è da chiedersi, allora, trovandosi al cospetto di un siffatto quadro normativo, se il bilanciamento operato dal legislatore tra l’interesse dello Stato alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico ed i diritti dello straniero alla difesa e ad un giusto processo sia davvero in linea con le condizioni minime di esercizio di tali diritti, siccome cristallizzati nell’art. 111 Cost. e nell’art. 6 Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), che garantiscono ad ogni indagato o imputato il diritto ad essere informato nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; la possibilità di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la propria difesa; la facoltà di essere interrogato e di rendere dichiarazioni al giudice; ed, infine, il diritto di interrogare o far interrogare le persone che hanno reso dichiarazioni a suo carico in condizioni di parità con l’accusa.
L’espulsione dello straniero coinvolto nella commissione di reati come condizione atipica d’improcedibilità
L’art. 13 comma 3-quater dlgs 286/1998 stabilisce che “nei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere”.
L’istituto previsto dalla norma richiamata integra, ad avviso del Giudice delle leggi, “una condizione d’improcedibilità atipica” e costituisce espressione del minore interesse dello Stato alla punizione di soggetti ritenuti non in grado di continuare a rappresentare un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblici poiché non più presenti sul territorio nazionale, come dimostrato proprio dalla sottoposizione della declaratoria di proscioglimento alla condizione dell’acquisizione della prova dell’avvenuta espulsione.
La ratio utilitaristica di tale condizione di procedibilità, del resto, affiora, a ben vedere, anche dalla scelta compiuta dal legislatore di circoscrivere l’operatività della stessa ai soli casi in cui non sia stata ancora instaurata la fase del giudizio e, quindi, ad un momento in cui gli elemen