Claudio Ianniello

Gendarmi della fede

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Intervista esclusiva al comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani

Spesso è stato definito l’angelo custode del Papa. In realtà lui ribadisce di essere “una piccola goccia d’acqua nel mare della Provvidenza”. Domenico Giani è il comandante della Gendarmeria vaticana, ovvero la polizia dello Stato Pontificio, e anche dei Vigili del fuoco, assolvendo al compito di capo dei Servizi di sicurezza e protezione civile. Ma in prima battuta è responsabile dell’incolumità del successore di Pietro. Un compito complesso, quello della Gendarmeria (da non confondere con le Guardie Svizzere, l’esercito del Papa) che si occupa a trecentosessanta gradi della sicurezza dello Stato Vaticano, dalla polizia amministrativa all’ordine pubblico, dalla prevenzione alla polizia stradale e di frontiera. Un compito connotato da uno spirito di servizio permeato di fede, come ci racconta il comandante Giani in un’intervista esclusiva per Poliziamoderna proprio in occasione dell’ultimo Conclave che ha assunto connotazioni straordinarie ed inedite dovute al gesto solenne di rinuncia di Benedetto XVI.

Dai giorni immediatamente precedenti il Conclave, fino all’elezione del nuovo Papa, l’interesse di tutto il mondo si è incentrato sul Vaticano. Dal punto di vista della sicurezza, vi siete trovati di fronte ad una grande sfida?
Come amo sempre ripetere, già “quotidianamente” noi siamo chiamati a garantire con impegno massimo questo piccolo territorio dall’importanza globale. Il Vaticano è parimenti lo stato più piccolo ma probabilmente il più importante del mondo, perché Pietro, che oggi si chiama Francesco, prima si chiamava Benedetto XVI, è il simbolo più importante e autorevole che l’umanità ha, sia nel bene di ciò che rappresenta, sia purtroppo come potenziale obiettivo di malintenzionati. Il Papa è indubbiamente un patrimonio dell’intera umanità. Rimane quindi per noi ogni giorno la massima attenzione per la sua sicurezza personale e per quella di tutto lo Stato Vaticano anche di chi vi vive e lavora, naturalmente. Avere gli occhi del mondo puntati addosso, in questi particolari momenti di rilievo storico come una successione di Pietro, significa alzare la guardia anche sulle più piccole questioni come la vicenda di un uomo che si è arrampicato sulla cupola di San Pietro per inscenare una protesta.

Oltre allo svolgimento delle regolari attività quotidiane, quali sono stati invece gli incarichi eccezionali e i compiti peculiari che la Gendarmeria ha dovuto assolvere durante la delicata fase del Conclave?
Comincerei con il dire che la rinuncia al Ministero petrino da parte di Benedetto XVI è stata una grande sorpresa per noi, anche per i rapporti profondi che ci hanno legato al Santo Padre in tutti questi anni. È stata certamente una notizia inaspettata, però immediatamente accolta per assecondare i desideri di Papa Ratzinger che ha deciso di intraprendere questa strada, ponendo la Chiesa nelle mani della Provvidenza. Il compito nostro è subito diventato maggiore, perché da un lato c’era da pensare alla nuova e temporanea destinazione di Benedetto XVI, e dall’altro, si doveva pianificare la sicurezza del Conclave e della conseguente intronizzazione, anche se in questo caso, grazie a Dio, non c’era l’evento del funerale. L’impegno è stato ad esempio il dover garantire la sicurezza fisica di tutti i cardinali che stavano arrivando a Roma per le elezioni del nuovo Papa ma soprattutto c’era più necessità di tutelare gli ambienti dove si sarebbe svolto il Conclave ed evitare fughe di informazioni e infiltrazioni dall’esterno, una sfida molto grande quest’ultima, da noi già affrontata durante il Conclave 2005. L’intronizzazione, invece, ha comportato una maggiore attenzione all’incolumità delle delegazioni straniere provenienti da tutto il mondo. In Vaticano abbiamo dei protocolli molto rigidi che ci permettono di lavorare al meglio per proteggere tutte le personalità che vi transitano. Tutto ciò si è svolto con la consueta e quotidiana collaborazione con le autorità di polizia italiane, in primo luogo con l’Ispettorato di pubblica sicurezza, e con le polizie delle varie nazionalità. Certamente una sfida affrontata grazie a personale altamente qualificato, con le strumentazioni più innovative senza dimenticare però la prossimità, ovvero la presenza capillare degli uomini chiamati in prima persona ad operare in piazza San Pietro e in Vaticano.

Quali sono stati i vostri primi impegni all’indomani dell’insediamento di Papa Francesco?
Le prime uscite a sorpresa, e inaspettate, compiute dal Santo Padre a Santa Maria Maggiore e presso un ospedale a far visita al Cardinale Jorge Mejia. Sono state situazioni anche molto simpatiche in un certo senso, perché, come ormai noto alla gente, il Papa era abituato precedentemente a viaggiare in autobus, in metropolitana, a piedi, ed in un primo momento desiderava recarsi a Santa Maria Maggiore in una maniera, diciamo, piuttosto informale. Però il Papa ha poi immediatamente compreso quali fossero le nuove esigenze legate al Servizio a cui è stato chiamato e quindi, sempre in accordo con l’Ispettorato vaticano, abbiamo organizzato tutto in breve tempo e bene. Il successivo impegno è stato quello legato alla nuova residenza, visto che il Papa non è andato a stare nell’appartamento apostolico, ma ha scelto di risiedere a Santa Marta, il che ha creato la necessità di rivedere alcuni protocolli e rafforzare la sorveglianza in questa parte dello Stato pontificio. La nostra attenzione si rivolge certamente anche ai suoi contatti, perché Francesco ama le relazioni umane dal vivo, ad esempio ama riuscire a salutare i bambini e quanti più fedeli possibili nella piazza. Ma questo è naturale per un Pontefice. Quando organizzo i viaggi nel mondo del Santo Padre, mi reco prima nei Paesi per fare i sopralluoghi, prendo contatti con i colleghi delle forze di Polizia e dei Servizi di informazione degli altri Stati, e spiego sempre che il Papa è in primis un sacerdote. È ovvio quindi che nella sua vocazione ci sia la vicinanza alla gente, la voglia di stare in mezzo al popolo. È una caratteristica che avevano anche Benedetto XVI e Giovanni Paolo II (i Papi che ho servito prima di Francesco). Devo dire che questo essere vicino ai più deboli e ai più umili di Francesco è molto bello e apprezzato dalla gente. Ovviamente ciò comporta una serrata attività di prevenzione, esplicata attraverso i controlli effettuati prima degli eventi insieme ai colleghi dell’Ispettorato, e agli altri colleghi nei Paesi del mondo dove ci rechiamo. Questa opera preventiva ci fa stare molto più sereni. Naturalmente è sempre possibile che ci sia l’esaltato o la persona che cerca di avvicinarsi troppo, ma più che altro avviene non per intenzioni malevole di chi vuole aggredire ma bensì dimostrare amore al Papa, seppur in maniera eccessiva. E sono situazioni che riusciamo sempre a gestire positivamente.

Può raccontarci come è avvenuto il suo primo incontro con Papa Francesco e le emozioni che ha provato?
Il mio primo incontro è avvenuto nella Cappella Sistina subito dopo le elezioni. La mia formazione spirituale è francescana, sono anche affiliato all’Ordine Francescano, quindi nel momento in cui ho saputo che il Papa aveva scelto di chiamarsi Francesco, mi sono molto emozionato. Poi c’è stato anche un incontro molto commovente, ma personale che preferisco serbare gelosamente nel mio cuore.

Dalla sera del 28 febbraio 2013 la Gendarmeria ha assunto la responsabilità esclusiva di proteggere il Papa Emerito Joseph Ratzinger. Come vivete, la singolare e nuova missione della difesa di un Papa Emerito?
Il Santo Padre Ratzinger vive in una sorta di ritiro spirituale, a Castel Gandolfo, che è un luogo a lui molto familiare e da lui molto amato. Direi che questo non riveste una grande problematica di sicurezza. L’area in cui vive il Santo Padre è presidiata 24 ore su 24, anche in questo caso in concorso con la Polizia di Stato e con l’Arma dei Carabinieri. Il Papa fa passeggiate quotidiane, preghiera, studio, attività che non comportano grandi preoccupazioni sotto il profilo della sicurezza. Piuttosto cerchiamo di proteggere al massimo la sua privacy, cosa a cui il Papa Emerito tiene molto.

Lei è molto attivo nel volontariato. In particolare con l’associazione “Rondine Città della Pace” si occupa anche del dialogo interreligioso. Papa Francesco sembra già molto aperto a questo tipo di confronto. Ci può dire la sua opinione su questo tema?
Credo che anche Benedetto XVI sia stato aperto al dialogo interreligioso e Papa Francesco si è subito dimostrato propenso a seguirne la strada. Viviamo in un’epoca in cui non possiamo farne a meno. Come ha detto il Vescovo di Roma: «anche per chi non crede c’è sempre una speranza» nel senso che c’è sempre e comunque la presenza di Dio nel proprio cuore. Ne percepisco l’importanza anche nelle nostre riunioni di Interpol, dove il Vaticano è molto considerato da tutti i Paesi, anche quelli di fede diversa. Il Vaticano, ripeto, è un piccolo stato solo per il suo territorio, non per la sua importanza, e anche durante i nostri incontri bilaterali in occasione di questi consessi, si vede quanto tutte le realtà, anche quelle di religione islamica, abbiano questo desiderio di contatti, di amicizia, un desiderio di confronto, di costruzione di ponti di pace. Una comunità come la nostra, la comunità delle forze di polizia, può fare molto per il dialogo, perché è una comunità che lavora per un progetto comune che è quello della sicurezza globale.

Dal 2008 la Gendarmeria aderisce all’Oicp-Interpol. In che modo l’adesione all’Organizzazione internazionale di polizia criminale ha migliorato le vostre attività quotidiane?
Certamente l’Interpol consente in maniera rapida contatti a livello internazionale, e a noi questo serve molto non solo per la preparazione dei viaggi del Santo Padre negli altri Stati, ma anche per eventuali situazioni di emergenza in cui dei religiosi presenti nelle aree di crisi si possano trovare. Devo dire che tutte le nostre informazioni, anche a livello internazionale, ci hanno fornito e ci forniscono sufficienti elementi per agire in sicurezza sempre riguardo la protezione del Santo Padre. Piuttosto ci tengo a dire che in alcune zone calde del mondo ci sono situazioni gravi dove i cristiani sono attaccati, uccisi e dimenticati, pensiamo ad esempio alla Siria, alla Nigeria, e ancora in alcune zone dell’India. L’Interpol ci aiuta a risvegliare l’attenzione su queste persecuzioni e a contrastarle.

Quali caratteristiche bisogna possedere per poter diventare gendarme?
Prima di tutto bisogna amare la Chiesa anche nelle eventuali imperfezioni dovute agli uomini, perché noi sappiamo che la Chiesa è retta dalla Provvidenza. E i gendarmi servono la Chiesa nel servizio al successore di Pietro. Quindi ritengo che il primo requisito del perfetto aspirante gendarme sia una fervente fede e un alto senso del valore della famiglia. Altra caratteristica è ovviamente quella di saper fare il poliziotto. Non intendo dei rambo, ma persone formate psicologicamente e addestrate per un servizio tanto delicato. Quindi buoni cristiani, pronti ad essere buoni poliziotti.

Come selezionate i gendarmi?
Al nostro Comando giungono delle domande. Quando è prevista poi l’assunzione di nuovo personale, allora si bandisce un concorso e si esaminano le domande presenti e quante ne arrivano di nuove. È un concorso molto selettivo, che prevede varie prove ed ogni prova ha delle sottocommissioni. Prima si fa una grossa verifica sulle domande stesse, ed una grande scrematura sulla base dei requisiti basilari, come ad esempio la fede cattolica, ed altri. Chi ha i requisiti deve affrontare una serie di prove a sbarramento, e i pochi che arrivano in fondo alle prove iniziano un percorso formativo molto duro, fatto all’interno dello stato. Alcune attività formative si fanno in collaborazione con docenti anche esterni. Spesso anche i nostri docenti a loro volta escono fuori a fare corsi alle altre forze di Polizia. Il percorso formativo dura in tutto due anni, caratterizzati da attività teorico-pratiche.

Dalla sua nomina a guida della Gendarmeria, abbiamo assistito ad un notevole potenziamento di strumentazione tecnologica e mezzi di trasporto, a corsi di perfezionamento del personale (uno dei quali presso l’Fbi Academy di Quantico), nonché all’istituzione del Gir (Gruppo intervento rapido), nato per fronteggiare eventuali situazioni straordinarie. Come sarà la polizia del Vaticano nei prossimi anni?
Non credo esistano bacchette magiche, ci si adatta ai tempi moderni, ci si tiene sempre aggiornati. Ad esempio il Vaticano, anche nelle materie del contrasto alla criminalità organizzata, del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo, si è dotato di alcune leggi particolarmente severe ed innovative. A volte si legge della necessità di trasparenza, bene, il Vaticano ha condotto e sta conducendo tutti i passi necessari per “fare i fatti” e non le chiacchiere. La presenza della Chiesa nel mondo è costituita ogni giorno da milioni di persone che oltre a predicare fanno, e fanno tanto, pensiamo ai missionari e agli istituti di carità. La Chiesa nel mondo lavora per la gente, e serve i poveri. Francesco dice “povera per i poveri”. La polizia del Vaticano deve rispondere a queste necessità ed esigenze, e lo fa in due modi: formando il personale, con gli strumenti culturali e tecnici che li mettano in condizioni di ben operare e, nello stesso tempo, creando rapporti di collaborazione con i colleghi di altri Paesi, perché lo scambio delle informazioni e delle esperienze.

01/04/2013