Anna Maria Giannini* e Luigi Lucchetti**

Mai darsi per vinti

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Il fenomeno della scomparsa genera nei familiari un profondo senso di angoscia e smarrimento. Come viene affrontato dagli investigatori della Polizia di Stato

Il fenomeno della “scomparsa” costituisce una delle fattispecie giuridicamente più complesse, sia sotto il profilo investigativo, che riguardo gli aspetti psicologici e sociali che coinvolgono la pluralità dei soggetti che vengono coinvolti nella vicenda: colei o colui che scompare (adulto o minore), i familiari, gli amici, le forze dell’ordine, la magistratura, le associazioni che di tale fenomeno si occupano, il cittadino comune che attraverso i media, ed in particolare la televisione, riceve informazioni più o meno documentate ed eticamente rispettose. Il termine “scomparso” rimanda a due significati diversi, ma anche vicini: si riferisce sia al decesso della persona, che alla amara constatazione che essa è introvabile, “assenza ingiustificata” che attiva il fantasma della morte. Nella prima condizione, chi rimane è costretto ad accettare il dolore che cancella la possibilità di un grande balsamo: la speranza, ed attiva un processo molto complesso che chiamiamo lutto, condizione permeata di tristezza e malinconia che termina con la “rinuncia all’oggetto d’amore”, mantenendo in vita dentro di noi ciò che sopravvive alla separazione definitiva dalla persona amata. La scomparsa declinata come introvabilità, permette di mantenere viva quella speranza negata dalla sentenza della morte, consente a chi accoglie la notizia di contenere il dolore, di rinviarne gli effetti più devastanti, poiché l’assenza può essere affrontata come temporanea, nell’attesa di un ritorno. La relazione con lo scomparso non si spezza, le immagini ed i ricordi dell’assente confluiscono in una trama che mantiene vivo il legame, vincolando chi resta al circuito della ricerca e dell’attesa, che in molti casi può essere senza fine. Anche quando a scomparire è una persona adulta o un adolescente – dove l’ipotesi più frequente è quella dell’allontanamento volontario – tale evenienza si verifica, quasi sempre, senza che le persone che le sono vicino ed intorno abbiano registrato segnali premonitori, in grado di rendere meno violento lo sconvolgimento esistenziale che ne deriva, e che comporta frequentemente un cambiamento di ruoli familiari, quando non anche di tensioni irreparabili. La fase della ricerca inizia quando le persone di un determinato contesto sociale (famiglia, amici, parenti, colleghi) registrano la prolungata (rispetto ai tempi usuali) assenza di un loro membro. La domanda che subito si affaccia straziante riguarda la dinamica: è stato costretto (rapimento, violenza, plagio ecc.) o ha deciso autonomamente? Nel primo caso: è vivo? soffre? come viene trattato? Nel secondo caso: cosa o chi può averlo indotto a tale estrema decisione? oppure ancora forse vorrebbe tornare ma non può? (come nel caso di anziani neurologicamente compromessi che non sono in grado di ricordare dove abitavano o farsi dare indicazioni). Il fenomeno della scomparsa di una persona scatena, come conseguenza, nel “sistema” in cui accade, totale sconcerto, l’attivazione di emozioni negative quali: ansia, dolore, disperazione, paura, rabbia, non raramente anche senso di colpa (avrei potuto capire qualcosa? avrei potuto fare qualcosa? sono parte del motivo della scomparsa?), l’esposizione a fonti di stress fortissime e spesso prolungate, in grado di dar luogo a vere e proprie risposte “traumatiche” con esiti complessi sul piano della salute. Non sapere cosa è accaduto, se il loro caro è vivo ed in che condizioni si trova, genera un profondo senso di angoscia e smarrimento: siamo dunque di fronte a vittime particolarmente vulnerabili che esprimono intensamente bisogni quali quello di ricevere informazioni, di essere ascoltate, di sapere che viene mantenuta viva l’attenzione e lo sforzo nelle ricerche del loro caro, in definitiva di sperare e continuare a sperare, e pertanto necessitano di un attento, e spesso non breve sostegno. La complessità degli aspetti psicologici e relazionali connessi al rapporto con i familiari delle persone scomparse ha indotto la Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza a costituire un Gruppo di lavoro nell’ambito del progetto AviCri – Attention for Victims of Crimes (Daphne II, 2004-2008), finalizzato alla formazione dei funzionari ed ufficiali delle forze di polizia sullo specifico tema della attenzione alle esigenze di queste particolari vittime.
Il progetto AviCri, con il coordinamento operativo della Direzione centrale della polizia criminale e quello scientifico di “Sapienza Università di Roma”, supportato dall’attività di un ampio partenariato nazionale e internazionale (forze di polizia del Regno Unito, Devon and Cornwall, Scotland Yard e di Hannover, Germania) ha raggiunto l’obiettivo, dopo una fase di ricerca ed a partire dai risultati emersi dalla stessa, di implementare moduli formativi sulla vittimologia per migliorare le competenze degli operatori di polizia nell’interazione con le vittime del crimine.
Nel contesto di tale progetto, che in ambito nazionale ha anche dato luogo alla pubblicazione del volume “Itinerari di vittimologia” (a cura di Anna Maria Giannini e Francesco Cirillo, Edizioni Giuffrè, Roma, 2012), sono stati pertanto messi a punto due moduli formativi diretti alla efficace interazione operatore di polizia-familiare della persona scomparsa, le cui favorevoli ricadute non si limitano solo al piano della vicinanza umana al dramma in corso, ma si estendono anche al settore delle indagini attraverso il miglioramento della resa testimoniale, a cui consegue una maggiore probabilità di ricordare eventi o situazioni potenzialmente utili sotto il profilo investigativo. Il sostegno ai parenti, oltre che da fonti istituzionali e servizi pubblici, viene prestato anche da associazioni come Penelope, attive nel collaborare con le forze dell’ordine ai fini della ricerca, ma attente anche ai bisogni dei familiari ed amici degli scomparsi. Il forte coinvolgimento che ciascuno subisce, per il ruolo che agisce nella vicenda, specie se complessa e relativa a scomparsa di minori, può comportare incomprensioni e tensioni fra gli attori istituzionali ed i soggetti privati che, a vario titolo, si adoperano per fornire il loro attivo contributo.
L’opportunità che la trasmissione televisiva RAI “Chi l’ha visto?” offre ai cari degli scomparsi di testimoniare personalmente il caso del loro congiunto od amico, così come di manifestare durante momenti di grande rilevanza mediatica, rappresenta per gli stessi una importante conferma circa la concreta possibilità di giocare un ruolo attivo negli sforzi per il suo ritrovamento, o comunque nella ricerca della verità. Sotto il profilo psicologico esistono metodologie che possono essere di aiuto sia alle indagini, che al sostegno alle vittime. Nel primo caso si basano sull’esame attento della storia della persona, delle abitudini, degli stili di vita, delle frequentazioni; l’analisi comprende la presa in esame di scritti, documenti di varia natura, e di quanto altro possa essere utile ad approfondire le circostanze che possono avere condotto alla scomparsa. Si cerca di delineare un possibile profilo della persona, in grado di offrire indicazioni probabilistiche sui suoi comportamenti, e così gettare luce su quanto può essere accaduto in relazione alla scomparsa. Per quanto riguarda il sostegno, l’approccio è orientato a supportare le risorse di resilienza (la capacità di superare le avversità dando una risposta positiva) dei singoli e del contesto in cui l’evento produce i suoi effetti destrutturanti, causando oscillazioni ed alternanze fra speranze che periodicamente si riaccendono e fantasmi di un lutto senza inizio e senza fine. Data la complessità e difficoltà di affrontamento del fenomeno, la sinergia fra esperti, associazioni ed Istituzioni sembra essere la chiave vincente per affrontare la sfida: sotto la cabina di regia dell’Alto commissariato per gli scomparsi, molteplici elementi come data base aggiornati, procedure e tecniche investigative e di ricerca avanzate, competenze specialistiche possono concorrere ad affrontare con mezzi appropriati il fenomeno stesso, la sua prevenzione, le conseguenze a carico della rete di vittime implicate.
Il vissuto che più frequentemente riporta la famiglia che affronta questo dramma è quello della solitudine, il sentirsi soli di fronte a qualcosa di terribile, di non avere riferimenti continui e di dover combattere con il fantasma che l’evento venga dimenticato o non seguito. L’angoscia di non rivedere il proprio caro si accompagna al terribile senso dell’ignoto dato dal non comprendere cosa è accaduto e cosa sta accadendo: sapere che c’è chi se ne sta interessando, sapere che le ricerche sono attive, accende e mantiene vivo quel filo di speranza che tiene collegati i familiari agli scomparsi. Ciò che fa precipitare ancora di più nella disperazione è l’idea che ci si sia dati per vinti, che non si cerchi più, che ci si dichiari sconfitti. Molte ricerche evidenziano come il senso dell’ignoto, il “vuoto” del non sapere, siano alla base di una angoscia che può diventare addirittura più forte di quella connessa all’arrivo della terribile notizia senza appello: ci si sente sospesi fra la spinta a sperare, a coltivare l’idea di rivedere chi è scomparso, e quella di avere almeno un luogo fisico dove “piangere”, rappresentare, ed in definitiva ritrovare in qualche modo la persona perduta.
Estremamente delicati e complessi possono risultare i rapporti fra gli investigatori e gli inquirenti con i familiari dello scomparso, specialmente se minori in tenera età. I cari possono vivere chi si adopera per il loro ritrovamento in alcuni momenti come figure onnipotenti e salvifiche, mentre in altri tirano fuori nei loro confronti la rabbia di una disperazione intollerabile. Investigatori e inquirenti pertanto sono chiamati a fare i conti, oltre che con le difficoltà implicite in questa tipologia di indagini e di ricerca, le pressioni spesso fortissime dei mass media, anche con questa oscillazione ed ambivalenza umanamente comprensibile di coloro per cui si stanno intensamente adoperando.
Quando nel contesto familiare preesistevano gravi tensioni e lacerazioni, oltre che problematici assetti personologici o situazioni di degrado, chi indaga è chiamato a chiedersi anche se chi piange la scomparsa non possa anche essere colui che l’ha attivamente determinata. L’atteggiamento professionale al sospetto senza esclusione alcuna, normalmente funzionale a raggiungere gli scopi istituzionali, può in alcuni casi, come quello della scomparsa dei fratellini di Gravina di Puglia avvenuta nel 2006, specialmente se sotto l’enorme pressione dell’opinione pubblica che reclama risposte, determinare negli investigatori ed inquirenti scelte errate. Con il risultato di ferire maggiormente proprio coloro che già soffrono così intensamente. Ciò conferma, se ce ne fosse bisogno, la complessità psicologica e sociale che in modo particolare ruota intorno a determinate tipologie di scomparse, e che a livello istituzionale deve stimolare la capacità di tenere adeguato conto di tali fattori, sia per raggiungere gli scopi di giustizia, che quelli di tutela a tutto tondo di chi attende e spera nel ritorno dei propri cari.

*dirigente dell’Osservatorio di psicologia della legalità e di sicurezza presso l’università “La Sapienza” di Roma

**dirigente superiore medico-psicologo della Polizia di Stato

01/03/2013