Anacleto Flori
Indagini senza sosta
L’attività investigativa della Sezione minori della Dac e delle Squadre mobili alla ricerca delle persone scomparse non conosce pause. Anche a distanza di anni
L’ultima volta che le hanno viste ridevano e correvano in un parco giochi di montagna o in un vicolo assolato di paese. Un momento prima erano ancora lì sotto gli occhi dei propri familiari, ma è bastato un attimo di distrazione e Angela Celentano e Denise Pipitone sono svanite nel nulla senza lasciare una traccia, un segno, un grido. Dopo anni di ricerche quello che oggi rimane è l’angoscia del silenzio, rotto a tratti dagli appelli accorati di chi non vuole rinunciare alla speranza nonostante le tante, troppe segnalazioni ingannevoli e i falsi avvistamenti. La speranza a cui i familiari si aggrappano è che si possa ripetere anche in Italia lo straordinario caso del ritrovamento della ragazzina viennese Natascha Kampusch, rapita nel 1998 e tenuta segregata in un garage per otto lunghissimi anni, prima di essere liberata dall’intervento della polizia.
Ma se il rapimento di Angela e Denise, così come quello di Emanuela Orlandi, è una tragedia che ha scosso e continua a scuotere gli animi dell’opinione pubblica italiana, il fenomeno della scomparsa di minori in Italia rimane, fortunatamente circoscritto a pochissimi casi, anche perché sulla base dell’esperienza operativa maturata in questi anni dalle forze dell’ordine la maggior parte delle segnalazioni di allontanamento si risolve positivamente nel giro di poche ore.
Tra denunce e indagini
A proposito di ore spetta a Chiara Giacomantonio, responsabile della Sezione minori della Direzione centrale anticrimine sgombrare il campo da alcune errate convinzioni circa il lasso di tempo da dover far trascorrere prima di denunciare la scomparsa di una persona. «Spesso i familiari, soprattutto nei piccoli centri, credono che sia necessario aspettare almeno 48 ore prima di poter presentare la denuncia – spiega il funzionario di polizia – In realtà non esiste alcuna normativa al riguardo; anzi per contrastare questo atteggiamento pericolosamente attendista, già da anni la Polizia di Stato invita tutti i propri uffici sparsi sul territorio ad essere quanto mai solleciti nel prendere le denunce». «In caso di scomparsa, l’operatore che riceve la denuncia – spiega la responsabile della Sezione minori – per prima cosa invia un dispaccio informativo, con la descrizione della persona scomparsa e l’eventuale foto, a tutti gli uffici di polizia, in particolar modo ai posti di frontiera, alle stazioni ferroviarie e alle sezioni stradali. Per i minori, inoltre, chiediamo all’autorità giudiziaria e ai genitori l’autorizzazione per inserimento dell’immagine all’interno del nostro sito web www.bambiniscomparsi.it». Una volta partita la denuncia le ricerche non conoscono sosta e non si interrompono mai completamente neppure con il passare del tempo. In alcune circostanze, come per il rapimento e l’uccisione di Yara Gambirasio è direttamente il pm a formare dei nuclei interforze, altre volte all’interno della squadra mobile della questura titolare dell’inchiesta si forma un gruppo di lavoro che, anche a distanza di anni, porta avanti le indagini. «Ancora oggi – continua la Giacomantonio – quando arriva qualche segnalazione di persone che affermano di aver visto una ragazzina che chiedeva l’elemosina e che somigliava ad Angela Celentano o Denise Pipitone, si avvisano subito le questure di zona, si ascoltano gli eventuali testimoni e soprattutto si effettuano tutti i possibili controlli all’interno dei campi rom presenti in città».
Allontanamento volontario
La maggior parte delle denunce di scomparsa presentate negli Uffici di polizia riguarda in realtà gli allontanamenti volontari, sia da casa che dalle comunità di recupero. In quest’ultimo caso le fughe vengono messe in atto generalmente da ragazzi stranieri appena sbarcati sulle nostre coste che vengono accompagnati nei centri di prima accoglienza, oppure da bambini trovati da soli a chiedere l’elemosina e portati all’interno di istituti, da dove scapperanno nel giro di poche ore. Gli allontanamenti dalle comunità di recupero interessano anche una piccola fascia di adolescenti italiani, giovani inquieti che vivono spesso all’interno di famiglie problematiche e per questo affidati ai servizi sociali. Mentre i ragazzi stranieri tendono a far perdere definitivamente le loro tracce, quelli italiani in genere si allontanano per alcuni giorni, per poi rientrare spontaneamente in comunità. In ogni caso, dal punto di vista delle indagini rimane fondamentale segnalare immediatamente questo tipo di fughe per dare modo agli operatori di polizia di inserire la denuncia nel database gestito a livello di Interforze. Grazie alle schede segnaletiche, la maggior parte degli adolescenti che scappano da casa vengono rintracciati dagli operatori di polizia mentre vagano con aria smarrita all’interno di qualche stazione a centinaia di chilometri da casa
La sottrazione dei figli
Un fenomeno in preoccupante crescita è quello relativo alle denunce di sottrazione dei figli da parte di uno dei coniugi. Sono infatti sempre più frequenti i casi in cui una donna straniera decide di tornare nel proprio Paese portando via con sé il figlio. Anche in tali circostanze la tempestività dell’avvio delle ricerche diventa fondamentale. «Dal punto di vista operativo – spiega ancora Chiara Giacomantonio – la prima cosa da fare è riuscire a capire se il minore si trova ancora in Italia: se non ci sono indizi precisi, assieme alla protezione civile e ai vigili del fuoco, avviamo ricerche in tutto il territorio nazionale. Se invece ci sono sufficienti elementi che fanno pensare a un fuga all’estero, diventa fondamentale allertare tutti i posti di frontiera e in particolare quelli del Paese d’origine del genitore in fuga». Se ad esempio si tratta di una nazione del Maghreb, il primo passo sarà quello di avvisare tutti i porti da cui partono navi dirette in Africa. Anche perché in genere non si tratta mai di decisioni improvvisate: difficilmente una madre vorrà mettere a repentaglio la vita del figlio ed ecco allora che la fuga viene pensata prima, progettata con cura. Ed ecco allora che, a ridosso della data scelta per scappare, iniziano a sparire i vestiti dall’armadio e alcuni giochi dalla stanza del bambino. Il più delle volte è sufficiente seguire le tracce lasciate (prenotazioni di biglietti o richieste di documenti per l’espatrio) per arrivare fino al luogo scelto per nascondersi, il più delle volte a casa dei propri familiari. Per contrastare i casi di sottrazione internazionale già dal 2009 è stata creata un’apposita task force interministeriale di cui fanno parte il Servizio centrale operativo, l’Interpol, il ministero della Giustizia e quello degli Affari Esteri. L’intervento di tale struttura diventa fondamentale quando il minore sottratto all’altro coniuge viene portato in un Paese che non aderisce a nessuna delle convenzioni internazionali. In questi casi il rientro in Italia diventa una partita a scacchi che si gioca esclusivamente sul piano delle relazioni diplomatiche.
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l’Ufficio minori delle questure e il numero verde 116.000
L’istituzione di un Ufficio minori presso tutte le questure risale al 1996 nell’ambito del “Progetto arcobaleno”. Nato come una sorta di pronto soccorso per i problemi degli adolescenti e delle famiglie in difficoltà, l’Ufficio può essere contattato in qualsiasi momento componendo il numero 113 (la telefonata è gratuita anche da telefono cellulare).
Al di là del 113, le famiglie colpite dal dramma della sparizione di un figlio possono contare su un aiuto in più: il numero verde 116.000, valido in tutta Europa, affidato al ministero dell’Interno e gestito da Telefono Azzurro. Nato in seguito a una direttiva europea del 2007 il numero è attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.
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Adolescenti in fuga
“Torno nel pomeriggio”. L’ultima traccia era quel sms rassicurante inviato alla madre poco dopo essere uscita di casa per andare a scuola come tutte le mattine. In realtà Roxana, sedicenne romena ma residente da quasi 10 anni a Rota d’Imagna (BG), in classe non è mai arrivata e da quel momento di lei non si è saputo più nulla. Ore d’angosciosa attesa per la madre che, non vedendola tornare a casa, la mattina dopo ha sporto denuncia al commissariato di zona. Nonostante fossero già passate così tante ore dalla scomparsa, gli agenti non si sono persi d’animo e hanno subito inviato le foto della ragazza a tutti i posti di polizia sparsi sul territorio. Il tempo passava e di Roxana nessuna traccia, finché all’alba del quinto giorno una pattuglia di polizia in servizio a Manfredonia (FG) ha notato una ragazza le cui caratteristiche somatiche sembravano corrispondere pienamente a quelle della foto. È bastato un piccolo controllo al commissariato per scacciare ogni dubbio: era proprio Roxana. Una telefonata a casa, poi le lacrime di gioia della madre hanno sugellato il lieto fine di una bravata davvero pericolosa.
Lieto fine anche per la fuga dei due 14enni Mikaylu Vitaliy e Malki Badr Eddin, rispettivamente di origini ucraine e tunisine ma residenti a Qualiano (NA). Anche loro erano usciti di casa per andare a scuola, ma quella mattina gli inseganti non li hanno mai visti entrare in classe. In un primo momento si era pensato alla voglia estemporanea di “marinare” la scuola, ma quando, con il trascorrere delle ore, dei due ragazzi si è persa ogni traccia i genitori preoccupati hanno fatto scattare l’allarme. A riconoscerli e a fermarli all’interno della stazione di Paola (CS), anche in questo caso grazie alle foto segnaletiche inviate a tutti gli uffici, sono stati due agenti di polizia. Nei zaini dei due ragazzi non c’erano però libri , ma solo vestiti per una fuga di certo ideata a lungo e per fortuna di breve durata.
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VIvere (e scappare ) in comunità
Torinese, 40 anni, laureato in Scienze della Comunicazione Fabio Geda scrive su Linus e La Stampa dopo aver lavorato per oltre 10 anni come educatore all’interno del centro di recupero per minori “Cooperativa Valpiana”. Nel 2011 è uscito il suo ultimo libro La bellezza nonostante. Ecco la sua testimonianza su come si vive (e a volte si scappa), in una comunità di recupero.
Chi sono i ragazzi ospitati dalla cooperativa Valpiana?
Fino a qualche anno fa, la comunità ospitava solo italiani: poi a partire dal 2005 la struttura ha aperto le porte anche ai figli degli immigrati, quelli della cosiddetta seconda generazione. Tutti gli ospiti hanno storie simili alle spalle, con genitori alcolisti, tossicodipendenti o detenuti in carcere. Oppure si tratta di ragazzi che vivono in contesti socialmente e affettivamente fragili.
Come è organizzata una comunità alloggio?
Più o meno è un surrogato della famiglia. All’epoca eravamo 5 educatori per una decina di ospiti: lo scopo era quello di riproporre, per quanto possibile, lo schema classico di un nucleo familiare e di far interagire tra loro i ragazzi come se fossero fratelli o sorelle. Per questo la vita di comunità si svolgeva secondo le stesse modalità comuni a milioni di famiglie italiane: la mattina ci si alzava, si andava in bagno, si faceva colazione tutti assieme e poi accompagnavamo a scuola i più piccoli. Nel pomeriggio ognuno aveva le proprie attività: qualcuno faceva i compiti, qualcun’altro frequentava la scuola calcio o vedeva gli amici. La sera poi si aspettava che tornassero tutti per preparare la cena.
Ma c’era qualcuno che scappava?
I ragazzi si allontanavano in continuazione,s oprattutto quelli compresi nella fascia dì età tra i 13 e i 15 anni. In genere si trattava di fughe essenzialmente dimostrative, con l’unico vero scopo di farsi cercare. Nessuno voleva effettivamente scappare, ma solo richiamare l’attenzione e avere una sorta di conferma del nostro affetto. La fuga era un modo per costringere noi operatori, e quindi le loro famiglie, ad occuparci e soprattutto a preoccuparci di loro. A volte si arrivava alle 20,00, ora di cena, e qualche ragazzo mancava all’appello. Il cellulare risultava ovviamente spento e a noi toccava il compito di sentire gli amici, oppure fare un giro in auto a Torino nei luoghi dove è possibile trascorrere la notte, come i Giardini Reali o altri parchi pubblici. In questi casi la regola era che entro mezzanotte andava avvisata la polizia e le famiglie. Poiché si finiva per dormire all’aperto, le fughe erano molto più frequenti nel periodo estivo. I ragazzi stavano via 2-3 giorni, poi come primo segnale di riavvicinamento riaccendevano i cellulari e, alla fine, rientravano da soli, prima ancora di essere ritrovati dalle forze dell’ordine. Solo una volta mi ricordo, fu la polizia a rintracciare in Liguria una ragazzina che, senza soldi né biglietto, cercava di salire su un treno diretto al Sud per raggiungere la madre in Calabria.
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Il Commissario straordinario e le novità normative
Il Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, incarico attualmente ricoperto dal prefetto Paola Basilone, è l’autorità che gestisce e monitora il fenomeno avvalendosi di un Ufficio istituito con decreto del ministro dell’Interno. Svolge un ruolo di raccordo tra istituzioni, associazioni, organismi internazionali e familiari delle persone scomparse. Tratta, inoltre, personalmente i casi nuovi per sollecitare maggiori possibilità di incidere sulla loro rapida risoluzione. Al Commissario straordinario sono anche affidati i compiti di favorire il confronto tra le informazioni contenute nel Sistema d’indagine interforze (Sdi) e nel sistema informativo ricerca scomparsi (Ri.Sc.) della ps, assicurandone l’aggiornamento continuo; coordinare le ricerche con tutte le strutture specialistiche del Dipartimento ps (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Forestale e Penitenziaria) le procure della Repubblica, gli istituti di medicina legale, i comuni, gli obitori e le strutture sanitarie che fanno capo alle Unità sanitarie locali; rilevare periodicamente i dati sui rinvenimenti di cadaveri non identificati.
Per quanto riguarda l’efficacia e la tempestività delle indagini, un’importante novità è stata recentemente introdotta dalla legge 14 novembre 2012, n. 203 con cui si stabilisce che “chiunque viene a conoscenza dell’allontanamento di una persona dalla propria abitazione o dal luogo di temporanea dimora e, per le circostanze in cui è avvenuto il fatto, ritiene che dalla scomparsa possa derivare un pericolo per la vita o per l’incolumità personale della stessa, può denunciare il fatto alle forze di polizia o alla polizia locale”
(fonte sito ministero dell’Interno)
Secondo l’International centre for missing exploited children, ogni anno scompaiono 8 milioni di bambini, quasi 22mila al giorno. E in Italia? Secondo gli ultimi dati aggiornati a tutto il 2012 in possesso del Commissario straordinario del Governo, su 26.081 persone scomparse ancora da rintracciare (9.538 italiani e 16.543 stranieri) ben 10.920 sono minorenni (1.673 italiani e 9.247 stranieri), 600 unità in più rispetto al 2011. Cifre, a una prima lettura, assolutamente allarmanti: in realtà il numero si riferisce alle segnalazioni e alle denunce effettuate a partire dal 1974 e soprattutto non tiene conto del fatto che la maggior parte delle scomparse si risolvono positivamente entro poche ore senza che le denunce siano poi ritirate.
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L’age progression (Tecnica di invecchiamento)
L’age progression (letteralmente sviluppo o evoluzione di un volto causata dall’età) è una procedura di arte forense, applicata prevalentemente nei casi di persone scomparse, che permette di ipotizzare le modifiche subite dal viso di un soggetto nel corso degli anni e produrre un’immagine che, con ragionevole probabilità, rappresenti l’aspetto attuale di una persona di cui si hanno immagini datate.
I cambiamenti morfologici nel volto di un bambino influiscono in misura rilevante sulla sua fisionomia e sulle proporzioni del volto modificando in misura rilevante la percezione globale del volto stesso, e quindi la sua riconoscibilità.
Tecnicamente, nella Polizia di Stato, la procedura richiede dei passaggi ben definiti, in primo luogo è essenziale l’acquisizione di tutto il materiale necessario (quante più immagini possibili del bambino al momento della scomparsa; immagini di persone imparentate e soprattutto somiglianti anche solo parzialmente, segnalazione di segni caratteristici, eventuali malattie contratte o congenite, eventuali incidenti subiti dal soggetto, eventuali ortopanoramiche delle arcate dentarie ecc.). Rilevante è la conoscenza di possibili notizie sugli incidenti che hanno interessato la zona del volto, in particolare quelle relative a fratture o cicatrici, fondamentali per valutare l’evoluzione dei danni nel tempo e l’influenza di questi sulla crescita del cranio o della pelle del volto.
È anche essenziale raccogliere elementi comportamentali del soggetto o particolari abitudini, perché crescendo è probabile che il bambino abbia mantenuto alcune caratteristiche ed è quindi possibile formulare ipotesi sufficientemente attendibili sulla struttura corporea (soprappeso, sottopeso, normopeso).
Grazie ai materiali e dati raccolti, ed avvalendosi di parametri statistici sulla crescita cranio-facciale, viene svolto uno studio minuzioso a cui seguirà la determinazione di una sintesi rappresentativa di uno o più modelli probabili della fisionomia che caratterizza espressivamente la unicità di quel volto.
L’age progression viene concretizzata per mezzo di applicativi professionali di grafica e scultura digitale anche se il risultato dipende in misura rilevante dalle informazioni a disposizione e dall’abilità dell’operatore di polizia ed artista forense.
Andrea D’Amore
assistente capo della Polizia di Stato
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Il Ri.Sc.
a cura del Servizio di polizia scientifica
Il sistema Ri.Sc., realizzato grazie alla collaborazione tra il Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, il Dipartimento della pubblica sicurezza ed il ministero della Giustizia, è un’applicazione informatica che fa parte della complessa ed articolata struttura di banche dati di cui si compone il Sistema informativo interforze. Il Ri.Sc. permette di catalogare e gestire, in modo completo ed interconnesso con il Sistema di indagine (Sdi), le informazioni relative alle persone scomparse ed ai cadaveri rinvenuti che non è stato possibile identificare.
Le informazioni desunte dalle denunce di persone scomparse e dai rinvenimenti di cadaveri non identificati, inserite nello Sdi, vanno ad alimentare automaticamente anche il sistema Ri.Sc. Successivamente, le ulteriori informazioni relative ai dati biometrici, descrittivi e medico-legali delle persone scomparse e dei cadaveri non identificati vengono inserite dagli operatori specializzati dei Gabinetti di polizia scientifica della Polizia di Stato, dei Nuclei investigativi dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. (Il Corpo Forestale dello Stato e la Polizia Penitenziaria, in attesa della costituzione di specifici uffici di polizia scientifica, si avvalgono della collaborazione della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri). La funzionalità più importante del sistema è la possibilità di effettuare un incrocio dei dati biometrici e descrittivi contenuti nelle schede persona scomparsa (che contengono i dati ante mortem) e cadavere non identificato (che contengono invece i dati post mortem), al fine di poter individuare, attraverso una scala di valori di compatibilità, eventuali casi di corrispondenza tra soggetti scomparsi e cadaveri non identificati. Inoltre, in questi ultimi mesi, il sistema è stato completamente rivisitato proprio per migliorare le funzionalità di ricerca di corrispondenze tra soggetti scomparsi e cadaveri non identificati, attraverso l’utilizzo di un algoritmo più efficace, messo a punto dal Servizio di polizia scientifica.