Maurizio Costanzo
Storie sulla carta
Ho conosciuto Poliziamoderna alcuni anni fa, quando me ne parlò l’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro. Da quel momento vi collaboro regolarmente con una “opinione” da uomo della strada, da osservatore e in qualche modo da “interfaccia” alla Polizia di Stato. Via via, sfogliando la pubblicazione ad ogni numero, ho imparato anche a conoscere i progressi della Polizia di Stato, non solo sul fronte delle indagini ma anche in quello del rapporto con il cittadino. L’impiego delle nuove tecnologie ha consentito un diverso rapporto con la cittadinanza. Non c’è dubbio che in questi anni, grazie a quanto ho appena detto e non solo, il rapporto tra polizia e popolazione è cambiato e migliorato. È mia ferma convinzione che gli italiani, in larghissima misura, si rendono conto che la sicurezza è garantita da un maggior impegno delle forze di polizia. Ma quello che vorrei dire, e si è anche evidenziato nei mesi e negli anni su questo giornale, è che la polizia, grazie all’impegno di tutti, ha affinato i propri metodi di indagine, ha saputo mettere a frutto del proprio lavoro le tecnologie, ma ha principalmente compreso che una strada per il rispetto della legalità passa anche attraverso il dialogo e un nuovo linguaggio.
Questo modo di comunicare trasparente e moderno è stato centrato anche dalla rivista, che trovo molto corretta, anzi a esser sinceri, ha meno enfasi di quella che potrebbe avere. Io personalmente la preferisco così non retorica e non sparata. Poliziamoderna non ha l’aria sofisticata degli house organ del passato che giocavano la carta dell’intellettualità. Una carta che distanziava l’istituzione dal lettore. Del resto una qualsiasi polemica legata alla polizia trattata sul mensile comparirebbe già vecchia, quindi non avrebbe senso buttarsi nell’agone della scandalistica o dell’informazione infervorata.
Ciò che vorrei leggere di più su Poliziamoderna, se mi posso permettere di dare un consiglio, sono le storie dei poliziotti, di chi opera sul campo. Non solo il racconto del loro lavoro ma anche gli aspetti privati e umani che lo accompagnano. Nel periodo in cui collaborai come giornalista a “Tempo illustrato” ebbi l’occasione di passare una notte su una volante a Roma. Raccontai di un poliziotto non atletico che si buttò a salire le scale di un palazzo per intervenire tempestivamente in una lite familiare. Ne trassi un’idea molto positiva di chi fa questo difficile mestiere. Viceversa trovo che la varietà degli argomenti, quindi lo spaziare da tematiche più stringenti sulla sicurezza e l’attualità a quelle sociali e culturali, sia un punto di forza della rivista che dimostra la voglia di apertura e di dialogo della polizia con la collettività civile. Punterei a continuare su questa linea di trasparenza e apertura.
Anche solo per anagrafe, difendo la validità di questo prodotto cartaceo. Io personalmente, pur essendo un uomo di televisione, amo molto leggere e circondarmi di carta. Porto ancora dentro l’esperienza importante quale direttore del quotidiano “L’occhio” e di giovanissimo “trombettiere” per “Il Mattino” in sala stampa della questura.
Conservo tra le mie cose più preziose un’Olivetti 22 e una 32. Detto ciò, sebbene non abbia un blog né sia iscritto a Facebook o Twitter perché finora non ne ho sentito la necessità, non sono contrario alla tecnologia. Trovo interessante, per esempio, che la Polizia di Stato stia tastando il terreno per una sua webTv. La webTv è una possibilità di sperimentazione. Non mi attira, direi più per presunzione che per anagrafe, ma non c’è altro spazio di sperimentazione possibile oltre a questo, soprattutto per i giovani, e quindi ben venga. In particolare sulle webTv ho visto cose che in televisione non avrei mai visto. Anche con storie lontane da me, dal mio gusto. Bisogna guardare sempre al nuovo.