Paola Saluzzi

La mia polizia

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E' difficilissimo scrivere di persone a cui vuoi proprio bene.Rischi di entrare in un corridoio pieno di porte, volendole aprire tutte hai paura di dimenticarne qualcuna chiusa.
E sai di non potertelo permettere.
Perché ogni porta contiene una stanza di racconti, emozioni, silenzi pieni di parole, sguardi, sorrisi e lacrime.
E il tuo cuore è legato a ciascuna di quelle stanze.
Raccontarvi la mia polizia, in questi anni, è passare per quel corridoio.
Tutto è iniziato con il Concerto per la legalità, tremila ragazzi scatenati e sicuri di potersi scatenare, musica e parole per insegnare che bullismo ed esasperazione di atteggiamenti sbagliati non possono abitare con la loro giovane età. 
Nuotare in un mare di sguardi carichi di entusiasmo, questo sono stati i concerti con i ragazzi; anno dopo anno, ogni anno, emozionanti, divertenti, commoventi, coinvolgenti, immensi abbracci con il nostro futuro. 
Perché la mia polizia lavora, vive, opera, investe sul futuro dei nostri figli.
Poi, San Michele Arcangelo: un concerto in teatri sempre diversi, nuove città, nuove storie.
Potrei intrattenervi fino a domani, raccontandovele tutte.
Solo qualche cenno: Avellino, con l’ultimo testimone che visse insieme a Giovanni Palatucci i giorni di Dachau. Bologna, la data piu dolorosa, una rosa appoggiata sul leggio ad inizio concerto per ricordare i poliziotti caduti in servizio solo il giorno prima. Trieste. Bari. La storia di Laura Fierro Colella, di suo marito che scrisse al posto del tema del Concorso di polizia un testamento di amore per la sua compagna di vita, per i figli, per quella divisa che sentiva di amare come parte integrante della sua famiglia. 
La mia polizia è tutto questo.
Ricordo il giorno dell’arresto di Provenzano.
A casa, televisione accesa su Skytg24, passa la notizia. Arrivano le immagini. Indimenticabili. 
Dopo poco esco, passo vicino ad una volante. 
I due poliziotti stanno ascoltando qualcosa che arriva dalla radio. 
Piazza del Pantheon a Roma vive pigramente il suo pomeriggio. 
Uno dei due è al posto di guida. Il compagno è in piedi, accanto alla portiera aperta. 
A quest’ultimo mi viene naturale dare una pacca sulla spalla e dirgli: «Grazie. Lo avete preso, grazie». Una fotografia indimenticabile: aveva gli occhi pieni di lacrime e non per il mio gesto; per l’ascolto di quella notizia in radio.
Ho tirato dritto, non ho osato dirgli di più; ho pensato a quanti compagni di lavoro che gli erano stati portati via stesse dedicando quel momento di gioia senza prezzo, fatta “solo” di giustizia. 
Ecco, la mia polizia è questa.
Per il prefetto Manganelli, combattente puro, sbirro vero, il capo per tutti noi, solo una parola: GRAZIE.
La mia divisa la porto nel cuore. È la vostra. Ma per indossarla davvero, bisogna essere come voi. Ho ancora troppa strada da fare...
Un abbraccio grande quanto grande è il vostro lavoro.

01/02/2013