Cristina Di Lucente

Ragazzi al limite

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La devianza minorile in Italia coinvolge 1.200 ragazzi presenti ogni anno negli istituti e circa 20.000 in area penale esterna. Le pratiche educative per il recupero messe in atto dagli operatori di giustizia minorile

Parlare di devianza minorile vuol dire entrare nella galassia multiforme del disagio adolescenziale, con le sue ambivalenze e contraddizioni: desiderio di autonomia e bisogno di protezione, conformismo e ribellione. Si pensa spesso all’evento tragico, che per qualche giorno cattura l’attenzione mediatica, lasciando in secondo piano il percorso di accompagnamento educativo che segue, attuato dagli operatori della giustizia italiana e la fatica nell’affrontare quelli che i pedagogisti chiamano compiti evolutivi. Nel malessere che spesso caratterizza la crescita i protagonisti, “i minori che delinquono”, sono anche le vittime di una società che assiste ad un cambiamento di valori ed è caratterizzata da una fragilità del tessuto affettivo. A guidarci in questo universo complesso è il Centro europeo di studi di Nisida, presso il Dipartimento di giustizia minorile del ministero della Giustizia, che con un monitoraggio minuzioso e costante rileva statisticamente tutti i movimenti del fenomeno, finalizzando l’osservazione alle strategie di recupero dei minori. Ma l’aspetto straordinario compiuto negli istituti di detenzione per ragazzi consiste nella dimensione sartoriale degli interventi per il recupero che vengono letteralmente “cuciti” sulle singole individualità. Con la realizzazione del Calendario 2013 la Polizia di Stato ha voluto compiere un ulteriore passo verso la comprensione del fenomeno, coinvolgendo i ragazzi dell’istituto di Nisida che stanno contribuendo fattivamente al progetto.

Un fenomeno magmatico
I dati sulla devianza minorile in Italia sono abbastanza stabili ma variano le modalità di connotazione. Fino al 2007, anno dell’ultimo rapporto ufficiale a cura del Centro studi di Nisida, si registrava una prevalenza di giovani provenienti dai Paesi dell’Est (romeni in particolare), mentre più di recente il fenomeno ha coinvolto una maggioranza di nordafricani, in particolare giovani tunisini, seguiti dai marocchini, conseguenza tra l’altro della primavera araba e delle nuove ondate migratorie. Nell’ultimo anno considerato statisticamente, il 2011, si sono riscontrati piccoli trend in aumento, sia rispetto alla criminalità commessa dai ragazzi italiani che dagli stranieri; inoltre la situazione si sta globalizzando, lo dimostra il trend emergente delle baby-gang in città come Genova o Milano. Nessun picco, dunque, solo un lieve aumento in termini di cifre. Ma a una lettura più attenta i dati parlano delle nuove forme nelle quali si presenta e attiva la devianza, colorata a livello territoriale: a Nord prevalgono gli stranieri mentre il Sud è caratterizzato da una maggiore presenza “nostrana”. Una possibile interpretazione è la più alta possibilità di lavoro nel primo caso, che giustifica un’accresciuta presenza di stranieri; ma leggendo le cifre in positivo potrebbe anche indicare una più elevata capacità d’integrazione al Mezzogiorno. Punto d’approdo e di transito per la ricerca di un’occupazione, il meridione presenta ancora forme di criminalità evidente quando si parla di minori, spesso collegate alla criminalità organizzata; i reati prevalenti rimangono infatti furti e rapine. Un altro elemento che accomuna molti ragazzi che delinquono è l’incontro con la droga: l’assunzione di stupefacenti non è collegata solo ad uno status sociale medio-alto ma si espande anche in situazioni di marginalità. Quanto alla percentuale in termini di genere, tra i soggetti sui quali sono state attivate azioni di servizio sociale, è schiacciante la presenza maschile in un rapporto di 1:10. Negli ultimi anni si è riscontrato anche uno slittamento nella soglia del primo ingresso dei minori nel mondo della giustizia penale dai 14-15 ai 16-17 anni, per due ordini di ragioni: la fase critica dello sviluppo si è allungata, rendendo i ragazzi più infantili per molti aspetti e una maggiore tolleranza verso i reati commessi dai più giovani. Ciò richiede una capacità del sistema di rimodularsi, perché lavorare con i 17enni e coinvolgerli nelle attività di recupero è sicuramente più difficile, non tanto nell’area penale esterna, nella quale gli interventi sui minori vengono effettuati senza la detenzione e i ragazzi vengono seguiti direttamente a casa o in comunità, quanto in quella custodita.

Il recupero dei minori
Isabella Mastropasqua, direttore del Centro europeo di Nisida, ci spiega come la crisi del welfare, con la riforma del titolo quinto della Costituzione e il passaggio delle competenze in materia sociale agli enti locali, stia creando notevoli difficoltà a questo settore, in un momento di tagli generalizzato: «Mentre prima il territorio contribuiva con una serie di supporti come l’educativa domiciliare, l’accompagnamento alle famiglie, la sovvenzione regionale per la formazione professionale o i voucher per fare tirocini, adesso si è in mano alle scelte di Regioni ed enti locali: riuscendo ad ottenere dei finanziamenti si può realizzare molto, in caso contrario non si fa niente. La logica è quella di trovare progetti, questione resa complessa per il numero elevato di ragazzi in area penale esterna (circa 20.000)». L’area custodita è invece molto più ridotta, ogni anno si registrano circa 1.200 ingressi negli istituti penali (con un aumento del 6% nel 2011 rispetto agli anni precedenti), con una presenza media giornaliera di circa 500 detenuti. Oltre alla scuola sono molte le attività organizzate negli istituti penali: dai corsi di informatica ai laboratori di ceramica, dal teatro allo sport. Un impegno altrettanto intenso viene richiesto anche dai ragazzi nell’area penale esterna che vengono coinvolti nella formazione professionale, oltre che nelle attività di riparazione diretta o indiretta e nel volontariato presso varie strutture, innescando un meccanismo per cui se si è procurato un danno ad una comunità o a delle persone si deve, in maniera diversa, “restituire”. Viene stabilito un percorso che prevede tanto la permanenza domiciliare (nel caso in cui il ragazzo sia oggetto di una denuncia) quanto il servizio presso la comunità; in base alle situazioni specifiche, sono gli assistenti sociali che incontrano i ragazzi in famiglia. Si tratta di un lavoro impegnativo: si fa una prima ipotesi di progetto e una volta validato si passa alla ricerca delle risorse. Gli interventi vengono personalizzati perché ogni ragazzo è diverso e ha un bisogno di aiuto differente: per alcuni sono sufficienti, ad esempio, solo incontri periodici che li riposizionano rispetto all’autostima e alla motivazione, perché si tratta di personalità fragili. Gradualmente è necessario restituire loro delle competenze, con l’assegnazione di piccoli incarichi, come presentarsi ogni settimana puntuali all’appuntamento con l’assistente sociale mostrando cura e rispetto per se stessi; viene adottato anche un approccio narrativo, consigliando di tenere un diario. La scrittura ha infatti una valenza terapeutica che aiuta a liberare le emozioni. Per altri invece, vi è alla base una condizione di sofferenza psicologica, come testimonia il direttore del Centro: «Alcuni non sono stati diagnosticati in tempo utile. Ho in mente l’immagine indelebile di un ragazzo, nel Centro di Cagliari, che si è presentato senza vestiti, una busta di farmaci e il corpo livido, pieno di ecchimosi che si era procurato da solo, urtando con violenza contro le pareti; alla richiesta di cosa avesse mi ha risposto: “sono borderline”, spiegandomi con linguaggio preciso le sue problematiche». Il Centro di Nisida punta molto sui progetti educativi, attraverso sistemi sperimentali particolarmente creativi, come possono essere i campi di lavoro o l’organizzazione di escursioni in montagna, seguendo la logica dell’attenzione verso l’altro. «In situazioni di questo tipo – continua Isabella Mastropasqua – non ci si può permette di non preoccuparsi dell’altro, perché un eventuale errore ricade non solo su noi stessi ma anche sui nostri compagni. È un modo alternativo per insegnare la responsabilità, prestando attenzione alle cose che si fanno per le conseguenze che possono avere. Anche questo significa formare: cosa che noi adulti abbiamo perso perché vogliamo fare tutti gli amici dei nostri figli. Difficilmente oggi si vuole compiere la fatica dell’educare, perché si tratta di un lavoro di grande responsabilità. Partecipando ai seminari europei mi sono resa conto che siamo gli unici a portare avanti progetti di questo tipo. Gli altri seguono programmi che sembrano più scientifici dei nostri, ma anche più standardizzati». Tutto quello che si fa presso il Centro di Nisida, avviene nei limiti della sperimentazione. Si tratta infatti di progetti che rimangono, per ora, legati esclusivamente alla volontà dei singoli.
In alcuni casi si riescono a organizzare progetti di servizio sociale straordinario: è accaduto in Africa o in Bosnia, dove i ragazzi sono stati impegnati, per alcune settimane, nella costruzione di scuole nei villaggi dove la povertà è dilagante. Si tratta di campi formativi dal forte impatto emotivo, che mettono i ragazzi a confronto con chi si trova in una condizione peggiore della loro. «L’effetto provocato da queste esperienze shock è pari ad una scossa elettrica attraverso la quale scatta spesso il meccanismo dell’impegno volontario nella cooperazione, con la scoperta del valore della solidarietà – prosegue Mastropasqua – Da questo punto di vista nascono esperienze bellissime, purtroppo però gli assistenti sociali su tutto il territorio, circa 300, sono decisamente pochi. Ogni ragazzo è un universo a sé e il lavoro di recupero deve essere fatto “su misura”, salvaguardandone l’identità. Bisognerebbe sempre tener presente che il buon funzionamento della giustizia minorile è un investimento per il futuro: più si va avanti con l’età, più il recupero diventa difficile».

Due nodi del problema: famiglia e scuola
I giovani che commettono reati sono prevalentemente maschi, italiani e appartenenti ad una fascia medio-bassa, sia da un punto di vista economico che culturale, anche se sopravvivono, in misura minore, i casi dei “ragazzi bene”, in particolare nel fenomeno-bullismo. Un altro importante aspetto in Italia, emerso dal lavoro effettuato dal Centro su recidiva e nuclei famigliari, è una forte incidenza nel nesso tra devianza e famiglia: quando quest’ultima è salda rappresenta una protezione, viceversa, se disgregata, è fattore di rischio. E oggi le statistiche confermano che la “famiglia disfunzionale” non è più l’eccezione. «Se a questo si aggiunge un basso livello culturale, la presenza di precedenti penali e scarse risorse, si crea una potente miscela che richiede, a soli 16 anni, una grande forza nel saper dire “non ci sto”. Per questo il fatto di non avere più servizi di supporto alla famiglia indirettamente è anche un danno che si riversa sui minori, l’anello debole della catena», è il commento del direttore. Ed è stata riscontrata anche una certa coincidenza tra abbandono scolastico e comportamento deviante: la maggior parte degli adolescenti ha terminato la scuola dell’obbligo, senza acquisire però specifiche competenze o ha abbandonato prima di terminare. La percentuale di recidiva si abbassa fino al 22% rispetto al 44% dei ragazzi che sono in carcere, se hanno un progetto che coinvolge scuola e organizzazione del tempo libero, perché li impegna e favorisce le amicizie. «Negli istituti penali – aggiunge Mastropasqua – si lavora molto in queste due direzioni, in particolare la scuola deve aiutare a crescere, mettere alla prova e condurre i ragazzi sui binari della legalità per riprogettare un percorso di vita».

Ricostruire dalla base
Malgrado i media tendano a raccontare maggiormente i fatti negativi, sono molte le storie di recupero, quelle in cui i ragazzi si ricostruiscono una vita. «Mi vengono in mente esperienze in cui, dopo il corso professionale, alcuni giovani si sono aperti un’attività da gestire, una lavanderia per esempio, assumendo altre persone che hanno seguito un percorso simile al loro, sviluppando il senso di solidarietà e l’idea della restituzione. Un momento di grande soddisfazione è quello in cui l’assistente sociale viene invitato al matrimonio di una persona che ha aiutato – ricorda Mastropasqua – come ad esempio a Cagliari, dove un tunisino, dopo la permanenza in istituto, ha deciso di rimanere a vivere in Sardegna sposando un’italiana conosciuta in comunità. Adesso sono entrambi impegnati nel sociale». In molti nuclei famigliari la confusione relazionale è totale e i figli sono in balia di tante persone, ma anche nei casi delle separazioni c’è un’immagine genitoriale alla quale non è possibile sottrarsi. È naturale, durante l’adolescenza, che i figli vivano le ribellioni e le inquietudini di quest’età, talvolta anche un’intolleranza verso la famiglia, ma in questa fase il compito di un genitore è quello di assistere alle insofferenze rispettando i relativi codici paterni (rimprovero) e materni (rassicurazione), offrendo loro la sicurezza rappresentata dalla casa. «In alcuni progetti sperimentali condotti a Roma, Milano e Palermo, abbiamo lavorato con gruppi di famiglie – racconta Mastropasqua – Poiché le terapie non sono sempre alla portata di tutti, abbiamo raggruppato dei genitori che, aiutati da un’assistente sociale, dovevano raccontare la loro esperienza rispetto all’evento o al reato. Anche solo ascoltando altre persone che stanno vivendo una situazione analoga, si genera una sorta di “autoaiuto”: il confronto con le proprie fragilità e debolezze permette, dopo un certo numero di incontri, di uscirne rafforzati. Basta fermarsi a riflettere per diventare gli autori della propria ripresa. L’importante è non individuare colpe negli altri bensì cercare di capire come stanno funzionando le cose».

 

Aspettando il calendario
L’idea della collaborazione tra i ragazzi di Nisida e la Polizia di Stato per realizzare il calendario 2013 è una novità assoluta per il Centro, ma è stata accolta fin dall’inizio come una sfida, accettata con entusiasmo e coraggio dagli organizzatori e sorprendentemente anche dai ragazzi. Si tratta di un’esperienza senza precedenti, che ha richiesto un notevole lavoro preliminare degli educatori, per preparare i giovani a capovolgere, in un certo senso, il “pregiudizio verso gli sbirri”. «Organizziamo molte attività di sensibilizzazione sul versante della giustizia e dell’educazione alla legalità, come incontri con magistrati che parlano di criminalità organizzata o con vittime di mafia, ma è la prima volta che si lavora nella direzione di un dialogo con la Polizia di Stato, in un progetto che tenta di cambiare il rapporto con gli uomini in divisa». Questa collaborazione, come ci spiega Isabella Mastropasqua, ha una grande valenza simbolica, perché i poliziotti rappresentano per questi giovani il rapporto diretto con chi li ha arrestati e ha quindi richiesto una riflessione preliminare per vincere la diffidenza. La prima operazione da compiere è stata la ricostruzione dell’immagine del poliziotto nelle sue numerose sfaccettature, enfatizzando i ruoli di vicinanza e aiuto che spesso ricopre. Superata questa prima fase, il gruppo ha cominciato a fare delle libere associazioni rispetto a delle parole chiave legate alla Polizia di Stato e all’attività che svolge, come il presidio del territorio e l’idea di supporto al cittadino. Queste tematiche sono state racchiuse in concetti trasformati poi in disegni, che hanno dato la possibilità di costruire personaggi. Il passaggio successivo è stata l’idea di lavorare su illustrazioni e fotografie, coinvolgendo i futuri professionisti del settore: gli allievi della scuola di Comics, che stanno creando delle tavole sulla base delle idee e dei disegni realizzati dai ragazzi. «All’inizio – conclude Mastropasqua – temevo che sarebbe emersa un’adesione formale, che i ragazzi non avrebbero sentito troppo vicine queste tematiche. Ma l’entusiasmo e la straordinaria creatività dimostrate fin dal primo incontro sono andati al di là di ogni previsione. Gli educatori, come nell’arte socratica della maieutica, hanno estrapolato le migliori potenzialità da questi giovani che hanno rivelato capacità sorprendenti. Sottovalutarli è sempre un errore». Ora dovremo solo attendere l’uscita del calendario per apprezzare i risultati di questo originale impegno.

01/11/2012