Luigi Lucchetti*
Effetto placebo
Riconosciuto dalla gran parte della comunità scientifica come la possibilità di poter influire positivamente sui sintomi di una malattia
La nostra mente è in grado di autoingannarsi tanto da far scaturire da un “rimedio” che non è oggettivamente tale effetti favorevoli sulla malattia da cui siamo affetti? Per secoli le terapie offerte dalla medicina – che non aveva ancora come suo fondamento il metodo sperimentale galileiano, ma quello logico aristotelico basato sulla premessa (frequentemente errata o erroneamente posta) e sulla conseguente deduzione (creduta vera) – sono state per la massima parte dei placebo, spesso costituiti da sostanze ripugnanti. Placebo può essere definito ogni provvedimento (non soltanto una sostanza inerte o farmacologicamente attiva, ma anche un atto chirurgico, una manovra strumentale, una qualche forma di relazione interpersonale con finalità di aiuto) che si dimostra capace di influire favorevolmente sui sintomi o sulla malattia di un paziente, seppure oggettivamente non in grado di esercitare alcuna azione specifica nei confronti di quei sintomi o di quella malattia. L’uso del termine, che deriva dal futuro del verbo latino “placere” declinato alla prima persona singolare: io piacerò, proviene dalle funzioni funebri celebrate nel medioevo nelle quali si recitava il versetto: “placebo Domino in regione vivorum” (piacerò al Signore nella terra dei vivi). La realtà dell’effetto placebo è accettata da gran parte della comunità scientifica, ed esso è considerato un fenomeno antropologico diffuso in ogni etnia e parte del mondo, ma contraddistinto da un’ampia variabilità nelle diverse aree geografiche, anche dello stesso pa
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