Gianni Sarrocco
Spina nel fianco dei Casalesi
Ricchezza e potere che puzzano di “monnezza”. Gli uomini del commissariato di Casal di Principe contro i boss della camorra che gestiscono il traffico di rifiuti tossici
Dove ci sono rifiuti, di ogni genere, c’è puzza di clan dei Casalesi; dove ci sono i Casalesi sicuramente si fa business (spesso legale per nascondere impicci illeciti). Questo perché il traffico, lo smistamento, lo smaltimento dei rifiuti di ogni tipo, anche tossici, è il core business della camorra casertana incardinata nella zona di Casal di Principe e collegata ai “malacarne” sguinzagliati dalle cosche nel centro e nel nord dell’Italia. E non è una sorpresa se si scopre che a reggere i fili dell’organizzazione sono quasi sempre gli stessi personaggi, proprio quelli che vediamo sulle montagne russe dei rapporti di polizia e delle inchieste giudiziarie, anziani boss ed eredi della vecchia camorra di Bardellino e Nuvoletta (entrambi rivali della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo) allora chiamata Nuova famiglia e molto attiva nei territori aversani e casertani. Oggi in queste zone si muove e lavora una sorta di Indiana Jones in divisa, il vice questore della Polizia di Stato Alessandro Tocco, deciso a localizzare le varie miniere di re Salomone che fruttano ricchezza e potere a capi e gregari del clan dei Casalesi cresciuti grazie al patto scellerato imprenditori-politica-camorra.
Siamo in una fetta di Campania che qualche anno fa era culla di leggende. Perché queste vengono create o da ciò che uno ha fatto quando era in vita oppure da come uno viene ricordato quando è morto. E di cose in vita ne hanno fatte parecchie Francesco Schiavone detto Sandokan, il figlio Nicola, Michele Zagaria meglio noto come Capastorta, catturato lo scorso dicembre, il fratello Pasquale detto Bin Laden, Mario Caterino, Antonio Iovine chiamato o ‘ninno , il fratello Giuseppe, Francesco Bidognetti detto Cicciotto ‘e mezzanotte, Franco Letizia, Giuseppe Setola. Nomi da leggende criminali fortunatamente sfatate da blitz e incursioni nei bilanci del malaffare che sicuramente hanno provocato un certo scompiglio tra i pupari che muovono le variegate marionette del traffico dei rifiuti. E in questo lavoro di demolizione istituzionale vediamo i poliziotti che compongono la squadra della Sezione della mobile di Casal di Principe, gemmazione di quella di Caserta, retta dal vice questore Alessandro Tocco, 40 anni, originario di Cassino, già in servizio in territori infiltrati dalla malavita come quelli di Formia, Fondi e Isernia. Il primo impatto tra gli uomini della squadretta di Casal di Principe (tutti selezionati e addestrati ad affrontare un fenomeno criminale complesso come quello imperniato sul traffico e smaltimento dei rifiuti) risale al giugno del 2010 quando con l’irruzione in una villetta di Casal di Principe viene preso Nicola Schiavone figlio di Sandokan. «Nicò, c’hann fatt» gridano al boss le due sentinelle sorprese dagli agenti mentre fanno la guardia alla villa-bunker. E subito dopo la resa del malandrino. «Sono Nicola Schiavone, complimenti» dice con malcelato orgoglio il camorrista al funzionario di polizia che a Formia chiamavano Il grinta. «E io sono Alessandro Tocco» taglia corto il vice questore che è poliziotto di poche parole ma volàno di un’attività che sta facendo pulizia in una terra abituata a ricavare affari di ogni genere con “a munnezza”. Un territorio molto particolare in cui non è difficile coniugare il diavolo con l’acqua santa. Infatti poco meno di un anno fa la polizia sequestra un appezzamento di terreno di 8mila metri quadrati di proprietà della Curia vescovile di Aversa servito (stando ad indagini suffragate da dichiarazioni di pentiti) per occultare negli Anni ’90 ingenti quantitativi di rifiuti tossici e speciali. Quest’area era nelle disponibilità di Luigi Pezzella , fratello di Nicola Palummiello del clan Schiavone nonché genero del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, primo storico pentito del clan dei Casalesi.
La task force della polizia di Casal di Principe è un po’ il fiore all’occhiello delle istituzioni che in Terra di Lavoro contrastano un’attività criminale che fattura ogni anno miliardi di euro con lo smaltimento dei rifiuti. Infatti le discariche, e non solo quelle dislocate in Campania, sono oro per i Casalesi che si avvalgono di colletti bianchi e di politici per fare cassa e anche per riciclare il denaro sporco ricavato con altre attività illecite. Ne chiediamo maggiori dettagli al vice questore Alessandro Tocco.
Come mai il fenomeno nel corso degli anni si è esteso e radicato in questa zona della provincia di Caserta?
Tutto ha inizio nei primi anni del 2000. In quel periodo l’attenzione principale delle forze dell’ordine era concentrata sulla guerra tra clan e sui numerosi morti di camorra, cosa che suscitava allarme e preoccupazione nell’opinione pubblica in quanto cruente sparatorie avvenivano per strada in mezzo alla gente. Questo clima ha permesso ad alcuni personaggi di “lavorare” con una certa tranquillità riuscendo a mimetizzarsi nelle attività legali legate non solo ai rifiuti ma anche alle discariche e alle cave.
Come sono riusciti a infiltrarsi?
Chi gestisce montagne di soldi va sempre un po’ avanti rispetto ad altri, intendo come intuito. Così alcuni personaggi hanno incominciato a corteggiare contadini e piccoli agricoltori, senza trascurare pressioni di ogni genere compreso pesanti minacce, convincendoli a cedere appezzamenti di terreno per quattro soldi. E su queste terre poi i nuovi padroni hanno fatto confluire di tutto. Sono nate così numerose discariche al cui interno finiva qualsiasi cosa, in maniera legale o illegale. Già negli Anni ’90 c’era stato qualcuno con l’occhio lungo. Investivano su tutto e per esempio Francesco Bidognetti lo fece in maniera legale creando società per lo smaltimento di rifiuti. Logicamente intorno a tali società, intestate a prestanomi, girava di tutto. Sì è arrivati addirittura, come riferito da collaboratori di giustizia, a realizzare lottizzazioni abitative e interi quartieri su discariche in cui erano stati occultati anche forti quantitativi di rifiuti tossici e quindi pericolosissimi per la salute pubblica.
È possibile quantificare la torta del malaffare?
Più o meno ammonta al 30% lo spicchio illegale dell’intero sistema che solo in apparenza ha una veste di legalità perché grazie a triangolazioni e a passaggi di mano di quote societarie il marchio dell’illegalità si estende notevolmente.
Questo vuol dire che l’intero sistema del traffico dei rifiuti è caratterizzato da larghe maglie che permettono tutto e il contrario di tutto. Come stringere queste maglie?
Soprattutto con la normalità, facendo applicare la legge come in molti altri settori come ad esempio si fa con le multe per combattere la sosta selvaggia delle auto. Per quanto riguarda questo particolare settore ambientale e criminale la Polizia di Stato è sulla buona strada della specializzazione. Abbiamo il supporto della polizia scientifica e dei consulenti nominati dalla magistratura. Ci sono nei nostri reparti validissimi ispettori per cui oggi la Squadra mobile non si occupa soltanto di omicidi, anche se il 35% dei delitti che avvengono in questo territorio è legato direttamente o indirettamente al traffico dei rifiuti e alle discariche.
Investigazioni da manuale ma anche collaboratori di giustizia che in zone omertose hanno un valore doppio…
Certo. I cosiddetti pentiti sono fondamentali da queste parti. Essi hanno portato a risultati sorprendenti. Questo è un momento storico per l’organizzazione criminale che sta vivendo un forte cambiamento sotto l’incalzare di centinaia di arresti fatta dalla Polizia di Stato e dalle altre forze dell’ordine. Per ciò pensiamo che sia oggi il momento giusto per dare il colpo di grazia, la spallata definitiva al clan dei Casalesi e ai loro alleati palesi e occulti.
Il contesto del territorio, però, non gioca a vostro favore, essendo quello che in realtà è, ovvero fatto di gente discreta e quasi indifferente, poco ciarliera.
Infatti io sono qui da quattro anni e ho visto sulla mia scrivania solo tre denunce per danneggiamenti che purtroppo avvengono a più riprese. C’è da ammettere che l’area dei fiancheggiatori è vasta, non c’è alcun tipo di collaborazione. Basti pensare che il 70% delle automobili che circolano in zona è privo di copertura assicurativa e se facciamo un pattuglione, un normalissimo controllo per contrastare o stroncare questo diffusissimo “vizietto” ci accusano di militarizzare il territorio e ci fanno passare per aguzzini e persecutori.
Con questa scuola di pensiero e con un palmares di tutto rispetto il vice questore Alessandro Tocco coordina l’avamposto della Squadra mobile di Casal di Principe forte di una trentina di uomini che sanno come muoversi e come colpire in territorio nemico ad alta densità camorristica. Camorra e non solo. Infatti oltre a criminali provati del clan dei Casalesi in zona si muovono anche personaggi equivoci come Gaetano Cerci, parente di Bidognetti ma in rapporti d’affari anche con membri della P2. Un clan, quello dei Casalesi, in parte decimato ma che ancora controlla fette del territorio dei mazzoni (Cancello Arnone, Grazzanise, Santa Maria La Fossa) in agro aversano e del litorale domizio del comune di Castelvolturno compreso la terra di nessuno dell’ex villaggio Coppola. In realtà i Casalesi detengono il controllo dell’intero territorio dell’area metropolitana di Napoli a nord di Giugliano arrivando fino al Basso Lazio. I loro interessi economici arrivano però anche al Nord della Penisola fino alla Lombardia dove si sono ritagliati uno spazio limitato nei settori imprenditoriali dal momento che in questa regione altre attività sono appannaggio di ‘ndrangheta e mafia.