Luigi Lucchetti*
Colpevole o innocente?
La vulnerabilità dell’essere umano comprende anche la possibilità di un’autoaccusa fasulla. La conoscenza delle tre tipologie di false confessioni dovrebbe sostenere chi giudica nel conservare sempre un ragionevole dubbio
Recenti episodi di cronaca nera come il delitto di Sara Scazzi ad Avetrana, per cui lo zio Michele Misseri ha fornito molteplici dichiarazioni giungendo ad autoaccusarsi dell’omicidio, forniscono lo spunto per chiederci se è possibile che un innocente arrivi a sottoscrivere una falsa confessione dichiarandosi responsabile di un crimine di cui non si è mai macchiato. La risposta è che non solo tale fenomeno è possibile ma, come dimostrano i dati dell’Innocent Project – una organizzazione legale senza scopi di lucro nata nel 1992 negli Stati Uniti con l’obiettivo di dimostrare attraverso i test genetici l’innocenza di persone ingiustamente condannate, e di riformare il sistema della giustizia criminale per prevenire futuri errori – anche relativamente frequente. Infatti delle quasi trecento persone di cui l’organizzazione ha provato l’innocenza, per la maggior parte delle quali attraverso le prove genetiche, il 25% circa aveva confessato il delitto – il più delle volte un omicidio – di cui era ingiustamente accusato, e per cui era stato poi condannato. Infatti è molto difficile non credere ad una persona che ammette di aver commesso un reato, a meno che non si riscontrino palesi incongruenze circostanziali e/o riguardo al movente. Quali sono i fattori alla base di una autoaccusa fasulla? Bisogna innanzitutto distinguere le false confessioni in tre distinte tipologie. Le false confessioni volontarie sono quelle in cui il soggetto afferma di esser
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