Cristina Di Lucente e Daniele Messa
Nel blu profondo
Recordman nostrani che hanno segnato, in tempi diversi, tappe memorabili nella storia dell’apnea. Li abbiamo incontrati in mare aperto
ENZO MAIORCA
Maiorca, siciliano doc, è un vero pioniere, negli Anni ‘60 ha superato limiti di profondità considerati all’epoca invalicabili.
Il tuo contatto con il mondo sommerso comincia da piccolissimo, con grande rispetto e molta paura. Nel tempo questi sentimenti sono cambiati?
Assolutamente no: sempre rispetto e sempre paura. Non è cambiato niente per quanto mi riguarda, anche a fronte di tutta l’esperienza che ho maturato negli anni.
Restano epiche le tue imprese e segnano la nuova era dell’immersione profonda in apnea, sia dal punto di vista tecnico che scientifico. I 100 metri di profondità sembravano impossibili eppure vennero raggiunti. Esistono ancora secondo te dei limiti veramente invalicabili?
Non ho mai creduto e continuo a non credere alla storia dei limiti, perché ritengo che siano sempre individuali. Se per me i 101 metri sono stati un limite, non lo sono stati per altra gente, e così continuerà ad essere. È un po’ come accadeva per gli aerei nel 1950, che si pensava non potessero infrangere il muro del suono, invece anche quel limite fu superato.
Maiorca/Mayol, due rivali uniti dall’amore per il mare. Un dualismo perfetto, uno stimolo reciproco a superarsi continuamente. Forse non ci sarebbe stato gusto a gareggiare da soli.
Ricordo con affetto le volte che abbiamo discusso anche in modo accalorato. Tutto questo perché seguivamo due filosofie diverse: lui incontrava il mare seguendo i dettami dello yoga, mentre io seguivo un approccio da atleta. Ma alla fine eravamo tesi verso lo stesso fine. Questa era la nostra natura.
Quanto è importante il lavoro di squadra nella preparazione di una immersione da record?
È assolutamente determinante. Colui che fa il record è solo la punta di un iceberg. È una specie di piramide al cui vertice c’è l’atleta, ma subito sotto ci sono tutti i membri dello staff che ti conoscono alla perfezione e riescono a percepire se qualcosa non va semplicemente osservando il battito delle ciglia sotto la maschera. Se ne mancasse uno soltanto della squadra, non sarebbe possibile effettuare il tentativo di scendere “oltre”.
Cosa passa nella testa di un uomo solo nel buio degli abissi?
L’uomo che va giù fortunatamente è consolato da una luce bellissima. Non è mai al buio: è un “turchino inchiostro Pelikan”, è un verde veronese bellissimo. Sono dei colori che non si vedono tanto facilmente sulla crosta terrestre. Quando si ha la fortuna di imbattersi in essi in mare si vorrebbe restare lì sotto a contemplarli, però dopo c’è anche l’altro amore che chiama: l’amore per la terra e per la vita, naturalmente.
I sommozzatori della Polizia di Stato ti hanno mai affiancato come supporto tecnico nelle attività di immersione?
Certamente, diverse volte. Ricordo in particolare quelle a Crotone e a Siracusa nel 1986 e 1987, a Sorrento nel 1994, ma anche in altre occasioni.
Il mese di agosto ti vede protagonista sulla pagina del calendario della Polizia di Stato, assieme ai poliziotti del Cnes di La Spezia. Cosa si prova ad essere un testimonial per la legalità?
È una sensazione bellissima. Quando sono stato contattato dal capo della Polizia Antonio Manganelli ne sono stato felicissimo. E ne sono orgoglioso ancora adesso.
Un altro mito italiano degli abissi è Umberto Pelizzari, presente assieme a te in questi scatti per il nostro calendario. Cosa vorresti chiedergli?
Come ha fatto ad arrivare alle quote a cui è arrivato? A parte la battuta è indubbio che nel tempo le cose si sono evolute. Se nel 1960 quando feci il mio primo record a -45 metri avessi avuto tutte le nozioni e la preparazione fisica e scientifica per arrivare a quelle quote già in quegli anni, forse oggi Umberto dovrebbe ancora guardarmi dall’alto in basso, agonisticamente parlando.
Se oggi si è arrivati a toccare delle quote all’epoca impensabili è sicuramente merito di pionieri come te, che han