Annalisa Bucchieri

Ecomafia connection

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Il territorio nazionale è sempre più saccheggiato e sfruttato dai clan mafiosi. Strategie investigative e risposte delle forze dell’ordine ai crimini ambientali

Tonnellate di veleni scaricate in mare o in qualche fosso; collinette formate da pneumatici fuori uso; interi complessi edilizi sorti completamente fuori legge; autostrade costruite con la monnezza e gallerie tirate su con cemento depotenziato; prodotti alimentari marci, adulterati o contraffatti; animali trafficati e sfruttati senza pietà; opere d’arte saccheggiate o finite appese alle pareti della villa del boss di turno. I reati contro l’ambiente, e quindi non solo contro tutti gli attuali cittadini del Belpaese ma anche contro le generazioni future di figli, nipoti e pronipoti, presentano una varietà di forme e di interpretazioni degne della tanto osannata “creatività” italiana.

L’ecobusiness “illegale” è florido
Non c’è da stupirsi se gli ecocriminali si spremono le meningi per soluzioni fantasiose: gli introiti sono talmente alti da essere molto stimolanti, come ha ribadito anche il recente Rapporto ecomafia stilato da Legambiente: circa 17 miliardi di euro per l’anno 2011. Quasi quanto l’ammontare di una delle ultime pesanti manovre finanziarie. Ecco perché a differenza di quella legale questa economia sporca non conosce recessione. Anzi. I reati ambientali crescono del 9,7% rispetto all’anno precedente e toccano il tetto di 33.817, una media di 93 al giorno, 4 all’ora.
Mentre il ciclo del cemento e quello dei rifiuti si confermano i settori trainanti pur rimanendo stabili, si registrano aumenti per quanto riguarda traffici del patrimonio faunistico, incendi dolosi, furti di beni archeologici. Soprattutto triplicano gli illeciti nel segmento agroalimentare (che raggiunge la cifra record di 1,2 miliardi di euro) di cui i mafiosi siciliani e i camorristi hanno pervaso l’intera filiera, dalla produzione alla distribuzione per arrivare ai punti di vendita. Sono, in particolare, i grandi mercati ortofrutticoli, come quelli di Fondi (Lt), Vittoria (Rg) e Milano, a suscitare gli interessi dei clan (ne è esempio lampante l’indagine della Dia sugli interessi nel settore della famiglia Riina, proprietaria di una società di macchine agricole, l’Agrimar).
Si tratta perciò di un pesante assalto ai tesori d’Italia, dalla sua biodiversità al patrimonio storico- artistico fino alle sue eccellenze enogastronomiche. Proprio a quei tesori su cui dovremmo puntare per risollevarci dal debito pubblico schiacciante. Un assalto che impoverisce il Paese in un momento di grave crisi economica, mentre il fatturato illegale è stabile, nonostante la diminuzione degli investimenti in opere pubbliche nel Sud, normalmente considerati quelli più a rischio.

Chi sono i criminali dell’ambiente
Sebbene il campo ambientale attiri sia gli ecofurbetti sia le più “professionali” bande criminali, la maggior parte dei reati registrati riguarda ancora una volta le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, con la Campania in testa (5.327 infrazioni), seguita dalla Calabria (3.892), dalla Sicilia (3.552) e dalla Puglia (3.345). Mentre mantiene il quinto posto il Lazio (2.463), la prima regione del Nord è la Lombardia, con 1.607 reati, seguita dalla Liguria (1.464).
Sono i clan di camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra (296 quelli censiti) a gestire i maggiori traffici. Hanno fiutato guadagni facili da migliaia di euro a fronte di rischi irrisori: nel peggiore dei casi solo multe e sanzioni amministrative perché l’Italia non ha mai iscritto i delitti contro l’ambiente nel codice penale come previsto dalla direttiva comunitaria del 2008, anche se aveva provveduto precedentemente a creare un cosidetto codice dell’ambiente(dlgs 152/2006). Ancora oggi chi inquina gravemente l’ambiente o devasta il paesaggio, realizzando discariche illegali o cave abusive, solo per fare due esempi, viene chiamato a rispondere di reati di natura contravvenzionale (per il reato di discarica abusiva è previsto l’arresto da 3 mesi a 2 anni e un’ammenda da 2.600 a 26mila euro, la stessa comminata a chi inquina suolo, sottosuolo e acque, se non provvede alla bonifica, che costa 200mila euro a metro quadro).
Tradizione mafiosa e depenalizzazione fanno dei reati ambientali un fenomeno criminale tipicamente italiano. Solo recentemente l’Unione europea ha avviato attività d’indagine a livello comunitario attraverso la creazione di una commissione d’inchiesta antimafia, presieduta da Sonia Alfano – l’italianità significa competenza massima in questo caso.

In sella ai cavallucci: le nuove strategie mafiose
Le strategie mafiose in campo ambientale sono in continua evoluzione e basta leggere quanto è emerso dai primi esami delle carte e dei computer trovati nel covo di Casapesenna (Ca) dopo la cattura del boss dei Casalesi, Michele Zagaria, per averne un’idea. Il mafioso di terza generazione deve essere giovane, di belle speranze, faccia pulita, studi superiori, buona conoscenza delle lingue straniere. Caratteristiche utili a condurre trattative truffaldine e falsificazioni di documenti. E dovendo selezionare i cosiddetti “cavallucci”da far correre in politica, il boss preferisce il neolaureato “vergine” all’affiliato da ala militare più facilmente riconoscibile.
In questi primi mesi del 2012 sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa ben 18 Comuni (erano stati solo 6 in tutto il 2011 e sempre 6 nel 2010) di cui 3 del Nord Italia. Dati che confermano che il profilo dominante delle mafie oggi è quello di un vero e proprio sistema imprenditoriale, articolato e flessibile, capace di adeguarsi rapidamente alle mutate condizioni del contesto e che “inquina” profondamente anche le pubbliche amministrazioni. Come ha chiaramente spiegato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale Legambiente: «la criminalità organizzata tende a infiltrarsi sempre di più nell’economia e imprenditoria legale e lo fa con una nuova strategia che, potremmo dire con qualche gusto del paradosso, ha sostituito la lupara con la corruzione».

Il rovescio della medaglia: la risposta delle forze dell’ordine
Ma le pagine del Rapporto ecomafia raccontano anche altro. Cioè l’impegno e la perizia delle forze dell’ordine che hanno effettuato 8.765 sequestri e soprattutto 305 arresti, ben 100 in più rispetto al 2010, con un incremento del 48,8%. Hanno il segno “più” anche i numeri relativi alle persone denunciate (27.969, con un aumento del 7,8%). A sottolineare questi risultati Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente: «Dobbiamo ringraziare le forze dell’ordine per la risposta pronta, professionale e decisa che stanno dando al fenomeno ecomafie, la Dia per il lavoro di analisi e l’attività di contrasto sviluppata verso le organizzazioni mafiose, soprattutto con il sequestro ingente di beni e società; e in particolare nel Rapporto di quest’anno emerge un potenziamento dell’attività della Polizia di Stato». Infatti, pur non rientrando nei compiti istituzionali principali, ma essendo attribuita come competenza concorrente a quelle specificatamente riconosciute al Corpo forestale dello Stato, al Noe (Nucleo operativo ecologico) e al Nas (nucleo antisofisticazioni) dei Carabinieri, l’operatività della Polizia di Stato nel settore della criminalità ambientale ha registrato una significativa evoluzione. Dai primi Cic (Centri interprovinciali Criminalpol) istituiti nel 1997 quali speciali unità informative e di monitoraggio sulle infiltrazioni mafiose nel ciclo dei rifiuti e l’aggressione al patrimonio naturale e faunistico, si è passati al 2001 alla creazione di unità specialistiche all’interno delle Sezioni criminalità organizzata di tutte le Squadre mobili, rendendo più capillare sul territorio l’attività di monitoraggio e raccolta informazioni che poi convergono alla cabina di regia del Servizio centrale operativo - Sco. È stata anche formalizzata una procedura per la segnalazione dei “crimini ambientali” e il loro censimento agli organismi della cooperazione internazionale di polizia. Così questi eco-messaggi permettono un’analisi approfondita del fenomeno a livello mondiale e soprattutto creano un’allerta per prevenirne la dimensione globalizzata. Due sono stati i campi d’azione nei quali la Polizia di Stato ha ottenuto i più importanti risultati e messo a segno le operazioni di maggior rilievo nel 2011/2012: il ciclo dei rifiuti e il traffico clandestino di cuccioli di razze pregiate, dei quali vi presentiamo due focus (articolo a pag. 12 e box a pag. 8).
Il primo è un settore quasi totalmente caratterizzato dall’illegalità di marchio mafioso, ha spiegato Gaetano Pecorella, presidente della commissione d’inchiesta parlamentare sui traffici illeciti di rifiuti: «Ne è riprova il fatto che i casi più critici si trovino attualmente a Palermo e Crotone, mentre in Campania, regione in testa alla top ten dei “reati che puzzano”, la terra è avvelenata da discariche abusive in mano ai Casalesi. Senz’altro urge l’attivazione del Sistri (il sistema di rintraccio dei rifiuti costato 40miliardi di euro) creato per controllare trasporti e destinazioni improprie e combattere l’evasione fiscale degli smaltimenti clandestini». A rinforzo delle strategie di contrasto, inoltre, la Banca d’Italia ha creato una Unità di informazione finanziaria l’Uif, che come si legge in un brano della relazione 2011, elaborata dalla Procura nazionale antimafia guidata da Pietro Grasso, ha reso importanti segnalazioni in relazione a imprese operanti nel settore dello smaltimento e riciclaggio di rifiuti, specie di quelli pericolosi: “… l’operatività segnalata riguarda principalmente cospicui giri di fondi attuati mediante bonifici (anche tramite remote banking) che coinvolgono più società attive, oltre che nel settore della raccolta, del trasporto e dello smaltimento di rifiuti, anche nell’attività di movimento terra e nella gestione di cave. Il legame tra il ciclo dei rifiuti e il ciclo del cemento è, infatti, molto stretto e si fonda sull’utilizzo delle cave abusive, che, una volta esaurite, vengono utilizzate come discariche illegali. La ricostruzione dei flussi ha consentito di osservare che, a giustificazione di tali giri di fondi, vengono emesse fatture per operazioni inesistenti di recupero e smaltimento dei rifiuti, che permettono di declassificare i rifiuti da pericolosi a non pericolosi e di avviarli, così, a procedure di recupero semplificate e, quindi, meno costose. Il sistema delle fatturazioni garantisce, altresì, l’incasso per intero dei proventi dello smaltimento illecito, caricandone i costi sulle strutture pubbliche”.
E così mentre è in corso alla Corte di Assise l’importante processo contro boss e complici dei clan dei Casalesi responsabili del traffico di “veleni” che hanno devastato il napoletano e il casertano, il Senato si appresta a discutere la legge quadro sul ciclo integrato dei rifiuti che trasforma in delitto quello che per l’attuale normativa inadeguata ha ancora solo natura contravvenzionale e fra l’altro cade facilmente in prescrizione.
Speriamo di riportare a casa questi due goal, fondamentali per la vittoria della legalità.

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TRAFFICO CON PEDIGREE

Arrivano dall’Europa dell’Est senza aver completato le vaccinazioni, strappati allo svezzamento delle madri, privi di microchip identificativo e con documentazioni falsificate che li “patentano” italiani per poter essere venduti nel nostro Paese fino a mille euro l’uno e morire quasi subito dopo a causa degli stremi subiti dal trasporto e le patologie contratte nei fatiscenti allevamenti clandestini. Sono i cuccioli di pregiate razze canine oggetto di un odioso traffico illegale che dal 2004 ha conosciuto una crescita esponenziale, complice il lucroso volume d’affari (stimato intorno ai 300 milioni annui) a fronte di rischi limitati a esigue sanzioni pecuniarie. Un fenomeno così in salita da indurre il legislatore a configurare una nuova ipotesi di reato ad hoc – il traffico di animali da compagnia – nell’art. 4 della legge 201 del 4 novembre 2010 di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea di Strasburgo (13/11/87).
Nasce il reato di traffico di animali da compagnia
La legge 201 ha appesantito le multe (da 3 a 15mila euro, prevedendo il raddoppio se gli animali hanno un’età accertata inferiore a 12 settimane o se provengono da zone sottoposte a misure veterinarie restrittive) e introdotto sanzioni amministrative accessorie come la sospensione della licenza di trasporto o la confisca dei mezzi, provvedimenti che creano un danno economico più ingente e prolungato nel tempo. Ma soprattutto ha introdotto il carico penale con possibile reclusione da tre mesi a un anno dei soggetti coinvolti. In questo modo le forze dell’ordine sono state dotate finalmente di strumenti più affilati per colpire queste vere e proprie organizzazioni criminali trasnazionali, fatte di trasportatori, allevatori, commercianti e veterinari compiacenti, che annovera molti italiani e sempre più slovacchi, ungheresi, polacchi.
Come ha origine
Fino a qualche tempo fa, nei Paesi dell’Europa dell’Est, possedere una mucca rendeva 150 euro l’anno ed era sufficiente a sfamare una famiglia. Oggi, invece, dalla vendita del latte si ricava pochissimo. È sicuramente questo uno dei motivi per cui alcuni agricoltori rumeni, ungheresi, slovacchi, polacchi, tra i primi ad essere vessati dalla crisi economica che attualmente investe l’intero Vecchio Continente, si sono riversati sull’allevamento e il commercio illegale dei cagnolini di razza. A raccontare le origini di questo traffico clandestino è Isidoro Furlan, comandante del Corpo Forestale dello Stato - Coordinamento distrettuale di Asiago, che ha percorso la traccia investigativa a ritroso recandosi nelle zone rurali dell’Ungheria, della Romania e della Polonia, dove vengono fatti nascere gli animali destinati al commercio in nero. «Molti contadini che vivono in casolari isolati – racconta il comandante Furlan – si sono improvvisati allevatori, fiutando guadagni facili con rischi e investimenti limitati. Infatti, per iniziare l’attività è stato loro sufficiente dotarsi di una o due cagnette fattrici e di un maschio riproduttore di razza pura, (preferibilmente di taglia piccola: yorkshire, chihuahua, volpino, cocker, bassotto). Visto che ogni cucciolata di circa dieci esemplari può fruttare fino a 5mila euro se trasformata con pedigree italiano, gli allevatori hanno tutto l’interesse a piazzare nel nostro Paese al più presto gli animali tagliando le spese di svezzamento e strappando alle mamme i piccoli. Quest’ultimi vengono poi portati a dei centri di raccolta provinciali e regionale, che fanno capo a loro volta al centro nazionale dove confluiscono gli esemplari da tutto il Paese. Al centro di raccolta nazionale – come racconta il comandante della Forestale – opera il veterinario dell’organizzazione al quale l’importatore fa pervenire i passaporti con validità europea per far viaggiare gli animali oltre frontiera. Il veterinario, oltre ad applicare falsi microchip identificativi ai cuccioli, appone l’etichetta di vaccinazione antirabbica obbligatoria sul documento di espatrio, senza, però, effettuare alcuna profilassi». I cuccioli sono ora pronti a viaggiare in direzione dell’Italia attraverso il confine con il Friuli Venezia Giulia. Il punto d’arrivo sono i vari negozi o allevamenti del Settentrione e del Centro che ne hanno fatto richiesta. «Le difficoltà della nostra attività di contrasto – spiega ancora Furlan – sono dovute al fatto che i cuccioli rimangono poco tempo in mano ai trafficanti: viaggiano di notte, alle 15.00 arrivano al grossista italiano e già dopo due ore sono nella cuccia della loro nuova famiglia, ignara dell’incauto acquisto».
Un anno di dati e operazioni
Nell’ultimo anno, soprattutto alla luce dell’entrata in vigore della nuova normativa sono state 24 le operazioni condotte principalmente dal Nirda (Nucleo investigativo per i reati a danno degli animali) del Corpo Forestale dello Stato in collaborazione con le sezioni forestali locali e dalle Sezioni territoriali della Stradale del Friuli Venezia Giulia per un totale di 763 cuccioli sequestrati, un migliaio di microchip-trasponditori e di libretti sanitari precompilati in bianco, farmaci, dispositivi medici, circa 60 licenze di allevamento e vendita sospese, 43 persone denunciate e 3 arrestate. Tra i reati contestai o ipotizzati: falsificazione di documentazione, frode in commercio, truffa (per falsificazione della nazionalità dei cuccioli) maltrattamento degli animali sia durante l’allevamento che durante il trasporto, falsità ideologica, esercizio abusivo della professione di veterinario e il nuovo reato di traffico illecito a fini di lucro di animali da compagnia.
Il più ingente sequestro di animali avvenuto nella regione negli ultimi anni è stato messo a segno dalla polizia stradale di Udine a ottobre dello scorso anno. Centosettanta cuccioli di razze pregiate stavano viaggiando nascosti a bordo di un furgone proveniente dall’Europa dell’Est che percorreva l’autostrada A23 quando una pattuglia della Stradale di Amaro ha fermato il veicolo, condotto da tre persone di nazionalità slovacca, e scoperto i piccoli rinchiusi in gabbie anguste, in condizioni igieniche precarie. Il rapido intervento della Polizia di Stato e la professionalità dei veterinari della ASL di Tolmezzo e Gorizia ha permesso di salvarne la maggior parte, nonostante molti versassero in gravi condizioni. Strappati troppo presto alle madri, nessuno dei cuccioli raggiungeva i 3 mesi e 20 giorni di vita, il minimo consentito per il trasporto, e alcuni di essi avevano un’età inferiore a due mesi. Si tratta del più ingente sequestro di animali avvenuto negli ultimi anni nella regione.
Illeciti via Internet
Nonostante i controlli della Stradale e della Forestale siano diventati più serrati, vengono spesso vanificati dalla di vendita dei cuccioli via Internet. Questa modalità di traffico permette di avere guadagni netti contattando direttamente l’acquirente finale, sicurezza nel piazzamento del cucciolo, e confezionamento di piccoli trasporti poco costosi e meno soggetti a controlli. Un Regolamento europeo considera, infatti, “trasporto a carattere non commerciale” quello fino a un massimo di 5 animali da compagnia. Perciò un’auto che nasconde 5 cagnolini nel portabagli sfugge più facilmente al monitoraggio delle pattuglie delle forze dell’ordine nelle zone di frontiera con i Paesi dell’Est e può essere fatto passare come un movimento di animali per uso personale. Con questi numeri è comodo ed economico per il trafficante utilizzare anche un mezzo aereo come dimostra un caso di trasporto illecito di 5 chihuahua, commissionati via Internet, bloccati a Malpensa grazie ad un accurato controllo sui documenti falsificati che riportavano in maniera sospetta la stessa data di nascita per tutti i cuccioli.
Maltrattati, sequestrati, adottati: fermiamo la morìa
Come è successo per l’operazione di Udine, la maggior parte degli animali non sopravvive a lungo a causa del distacco prematuro dalla madre e i lunghissimi viaggi di 10-14 ore ammassati in furgoni o nei portabagagli delle auto, senza bere e mangiare, imbottiti di farmaci per superare lo stress del viaggio. Spesso sono i malcapitati acquirenti finali che, segnalando alle forze dell’ordine che il cucciolo comprato con tanto amore è morto dopo pochi giorni, fanno scattare le indagini. Quelli che riescono a sopravvivere e vengono sequestrati dalle forze dell’ordine vengono custoditi e curati nel migliore dei modi. Un compito oneroso di cui si sono fatte carico le associazioni animaliste, in prima linea la Lav, che ne ottengono l’affido giudiziario per poi promuoverne l’adozione.
Garantire il lieto fine di storie di cuccioli strappati a malfattori e destinati a morire è quindi delicato e complesso quanto l’attività investigativa delle forze dell’ordine. In questo i cittadini, la società civile, possono far molto. Non solo adottando i cagnolini ma acquistandoli sempre con responsabilità da allevatori certificati.

Annalisa Bucchieri

01/09/2012