Anna Lisa Spitaletta

Non solo jazz

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La carriera musicale di uno degli artisti più virtuosi del panorama italiano. Dall’esordio crotonese ai palcoscenici del mondo, Sergio Cammariere racconta tutto di sé, o quasi, tra ricordi e anticipazioni, in esclusiva per i lettori di Poliziamoderna

Andiamo a intervistare Sergio Cammariere nel silenzio della sua casa romana, in un pomeriggio assolato di fine giugno, nella campagna appena fuori porta. L’accoglienza gentile e generosa dell’uomo del Sud ci ha catturati fin dall’ingresso e così, dopo aver varcato un giardino di fiori e basilico, tra un sorso di Brasilena ghiacciata (bibita calabrese al gusto di caffè) e uno sguardo all’album delle foto, l’artista ci ha aperto via via anche le porte di sé. Quelle più intime e segrete dei ricordi di una vita. E il viaggio è iniziato.

Nasci a Crotone, in piena Magna Grecia, quali impronte hanno lasciato in te quei luoghi?
La mia storia musicale parte da lì, quando da bambino conobbi il maestro Giuseppe Campagna, profondo conoscitore della polifonia. Dirige ancora oggi, ottantenne, e per me è un piacere e un arricchimento fargli visita quando torno a Crotone. Da qualche anno conservo la memoria dei nostri incontri anche in piccoli video che riprendo io stesso. (I ricordi dell’artista crotonese sui suoi luoghi d’origine sono contenuti nella rubrica “Unacittà, la sua questura” a pag. 48).

Quando hai capito che la musica sarebbe diventata la tua vita?
Subito. Potrei scrivere un film per tutte le esperienze di lavoro che ho fatto per sbarcare il lunario, pur di riuscire a far musica. Mia madre mi esortava a vivere la vita giorno per giorno senza inseguire subito il successo, e questo è stato un grande insegnamento e una fortuna per me. In questo periodo sto mettendo a fuoco un progetto sulla mia biografia.

Da musicista hai scoperto le seduzioni di un meridione ancora più profondo di Crotone, incontrando le sonorità sudamericane.
I viaggi mi hanno formato, sono stato in Brasile negli Anni’ 80 a Cuba. A Rio de Janeiro suonavo in locali frequentati da musicisti come Carlos Lyra, Leny Andrade. Poi quando mi aggiudicai il Premio Tenco nel ‘97 conobbi Sergio Bardotti, uno dei più grandi parolieri italiani. Lui era il trait d’union con gli autori brasiliani, e grazie a lui ho incontrato il grande compositore e scrittore Chico Buarque de Hollanda.

Internet ha azzerato le distanze. Ha ancora senso parlare di un Sud e di un Nord del mondo?
No, non c’è più. Se il sud è l’Africa e il nord è l’Occidente, esiste solo uno spazio che si chiama accoglienza e fratellanza. È quella “la pace del mare lontano” che canto. La speranza che arriva dalle luci che gli immigrati trovano nei porti di sbarco, quel miraggio di salvezza e riscatto per la ricerca di una vita più dignitosa.

Nei tuoi versi ti chiedi: “Cos’è la vita di un uomo se non la può condividere?”, secondo te i social network raggiungono quest’obiettivo?
È importante che i giovani sappiano conquistare la propria indipendenza, libertà e rispetto giorno dopo giorno, basando le conquiste su un ordinamento delle cose, raccontandosi la vita reale preferibilmente al muretto, come accadeva una volta. È pur vero che le informazioni oggi corrono più veloci sul Web, non possiamo ignorare anche questi ambiti.

Qual è stata la tua esperienza di formazione giovanile?
La mia adolescenza l’ho trascorsa molto anche tra la chiesa e l’oratorio, ho fatto parte di una comunità neocatecumenale, un percorso che da adulto mi ha portato a suonare due volte nella sala Nervi del Vaticano, per papa Woityla. Un arricchimento personale sono state per me anche le tradizioni familiari che facevano riunire tutti intorno a un tavolo nei giorni di festa, dai nonni al più piccolo nipote.

C’è anche quest’anima spirituale quindi in quei tuoi silenzi, alternati ai ritmi ipnotici del bossa nova, del jazz e delle contaminazioni world e progressive?
Credere che esista un architetto dell’universo, un Dio supremo, un essere celeste sopra di noi è fondamentale, senti di possedere un valore aggiunto nella vita. La preghiera fa parte anche della mia musica, sono cattolico e prego prima di affrontare grandi tensioni come nei concerti. La stessa sorella mia a cui mi rivolgo in alcune canzoni è l’analogia di una figura spirituale.

La polizia promuove tra gli studenti progetti di educazione alla legalità attraverso concorsi artistici, dal disegno alla musica. Pensi siano i canali giusti?
I valori sono molto cambiati tra la generazione degli Anni’ 50 ed oggi, se solo guardiamo alla solidità della famiglia, ai principi cristiani e democratici. Questi progetti della polizia con i giovani lanciano senz’altro un ponte, una speranza in cui mostrare i valori. Più vetrine che espongono principi e regole si creano, meglio è.

Per la polizia “la favola che s’avvera, dentro una storia più vera, scritta da gente sincera”, come tu canti, è quella di una sicurezza che diventi sempre più partecipata con i cittadini. Pensi sia importante sensibilizzare la società civile sul rispetto delle regole?
È fondamentale. Con la possibilità che ho avuto di girare il Nord Europa e suonare in Germania, Olanda, in Francia, mi sono accorto che in quei Paesi c’è un senso civico e una coscienza nazionale più sentiti e consolidati che da noi. E ci si arriva attraverso le fondamenta della nostra società: la scuola, la famiglia e le istituzioni come le forze dell’ordine, che devono divulgare valori, come il rispetto.

Dai talent show si affacciano anche cantanti dal successo a tempo. Ti senti di poter ricordare con un tuo verso che la: “Vita d’artista è senza illusioni, vivendo i sogni nelle canzoni, senza una lira per settimane”?
Assolutamente sì, io sono uscito dall’anonimato grazie a Pippo Baudo, e condivido il suo pensiero sui talent. Sono un po’ una fabbrica delle illusioni, perché pochi riescono a durare nel tempo. Io ho fatto una lunga gavetta lavorando per vent’anni in tutti gli alberghi d’Italia. Nei talent c’è un’operazione di grande costruzione del personaggio televisivo, mentre la vita è un percorso ampio: è l’arte dell’incontro che ti fa scegliere una strada piuttosto che un’altra. È attraverso le persone che accadono le cose.

Che sviluppi vedi per la musica in Internet?
Negli ultimi quarant’anni il mondo della musica è passato dal vinile al cd, che con Internet è destinato a sparire anche lui. Non c’è più un mercato discografico vero e proprio, tutto si è spostato in Rete, lì ci sono delle piattaforme già attive in alcuni Paesi nel Nord Europa, come Spotify, che offrono un servizio on demand, al costo di un abbonamento mensile. Quindi anche la musica sarà solo liquida.

Spariranno anche i generi musicali?
Certo, oggi non esiste più il jazz, il blues, la classica, c’è la buona musica e basta.
L’ultimo lavoro sembra quasi un’antologia di tutte le tue emergenze musicali.
È vero, con questo siamo ritornati all’origine con tutti i generi che amo, la sintesi delle mie anime musicali. Con due brani solo strumentali: Thomas dedicato al mio amico e alla Norvegia, alla compostezza di quel popolo per come ha reagito alla strage del luglio scorso di un centinaio di vittime, mentre in Essaouira, città del Marocco, c’è più la suggestione fisica dell’oceano, dei gabbiani e del deserto Mogador, luoghi che visito volentieri.

Che legami hai con la tua band?
Loro sono la mia famiglia musicale e insieme suoniamo da 14 anni. Con Bulgarelli, Bosso, Cesari e Ariano siamo legati anche da vicende umane comuni, oltre che musicali in senso stretto. Ogni volta che ci esibiamo suoniamo i brani in maniera diversa perché non facciamo mai prove prima dei concerti, improvvisiamo su una griglia armonica di base: questo è il jazz.

C’è la poesia dei testi di Roberto Kunstler in gran parte della tua musica che canta l’amore, l’amicizia, il tempo, la distanza.
Con Roberto c’è un rapporto di scambio continuo, quotidiano e simbiotico. A volte lavoriamo prima le melodie migliori, nate e registrate dalle improvvisazioni fatte al piano di casa. Oppure si parte da brani lasciati nel cassetto da anni e che magari non hanno ancora trovato l’inciso giusto da aggiungere ad una strofa che funziona già.

Ora state lavorando a nuovi progetti?
Abbiamo ripreso alcune mie vecchie melodie, e riflettiamo sul modo in cui la mia musica possa imitare la sua poesia e viceversa. È un lavoro permeabile che abbiamo da quando, negli Anni’ 90, siamo entrati nella “It dischi” di Vincenzo Micocci, il produttore dei cantautori degli Anni’ 70, come De Gregori, Venditti e Rino Gaetano. Con Micocci è nato nel ’93 il nostro primo album “Kunstler-Cammariere, I ricordi e le persone”.

Il video del singolo Ogni cosa di me mostra una qualità molto più filmica che di clip musicale. Hai già prodotto colonne sonore e cortometraggi, come per la fiction Rai Tiberio Mitri, il campione e la miss. Ti vedremo impegnato anche in altri ambiti nel tuo futuro prossimo?
Ho sempre composto colonne sonore per il cinema. Nell’ultima, Tiberio Mitri, dirigo l’orchestra e mi esibisco al piano. Mi piace molto lavorare per il grande schermo perché ci si sente più liberi, con la possibilità di trasformare il tema in tanti generi, sfaccettature, suggestioni diverse. Ma mi sono cimentato anche con un musical, Teresa la ladra, scritto con Dacia Maraini e portato in scena da Mariangela D’Abbraccio, per il quale il 15 giugno ho ricevuto il premio Margutta.

Per ritornare in chiusura alle favole, ci racconti quella della tua vita?
Nella mia fiaba c’è un bambino che sognava di partire per fare la musica, un sogno che contiene anche il riscatto di chi viene dal sud. A tal proposito mi viene in mente il film di Mimmo Calopresti L’abbuffata, di cui ho fatto le musiche, e mi rivedo nella realtà di questi tre ragazzi di Diamante, in Calabria, che sognano di fare il cinema e a Roma incontrano il grande Gerard Depardieu con il quale poi girano il film. Questo è accaduto anche a me, dall’incontro iniziale con il maestro Campagna agli altri che nel cammino mi hanno indicato la via. E ora il viaggio continua.

01/07/2012