Antonio Del Corso
Alla ricerca del nome perduto
Piccola ma superspecializzata è la squadra del Dvi, il cui compito è identificare le vittime delle calamità
Quando alle 22.42 del 13 gennaio il comandante della nave da crociera Costa Concordia lanciò l’allarme, era troppo tardi. Di quello sciagurato naufragio restano trentadue vittime, di cui trenta identificate e due disperse (nel momento in cui scriviamo, ndr). Due i nomi che mancano all’appello che i soccorritori stanno cercando senza tregua. Per dare un nome a quei trenta corpi, una volta che si è resa conto dell’entità della disgrazia, la procura di Grosseto ha chiamato in causa un team d’élite della polizia scientifica: il Dvi, acronimo del Disaster victim’s identification.
Istituito nel 2005 con decreto del capo della Polizia, il Dvi si è occupato di identificare salme, vittime irriconoscibili di disastri naturali o di azioni scellerate dell’uomo. Si tratta di dodici squadre, ognuna formata da dieci esperti, tra uomini e donne, che come dieci indiani, con pazienza infinita battono palmo a palmo il terreno per scoprire tracce quasi impossibili da vedere. Dieci specialisti che studiano in modo capillare il corpo umano alla ricerca del più minuscolo segno distintivo che porti all’identità della vittima. Medici legali, biologi, specialisti in dattiloscopia e in vid