Maurizio Santoloci*

Porte girevoli in carcere

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“Scarcerazioni facili” e regole procedurali: quali scelte per il contrasto alla reiterazione seriale dei reati predatori e di aggressione alle persone?

A livello nazionale è oggettivo – e manifesto anche sulle cronache – il problema che vede molto spesso casi di arresti in flagranza di reato per delitti di tipo predatorio e/o di aggressione alle persone (che generano gravissimo allarme sociale) risolversi con la scarcerazione dopo poche ore o pochi giorni degli autori i quali – anche se la responsabilità del fatto criminale è conclamata – ottengono quasi immediatamente la libertà. Ciò genera sorpresa tra i cittadini e smarrimento e delusione tra le forze di polizia che operano con grande fatica e difficoltà sul territorio.
Fermo restando che le sentenze e le ordinanze giurisdizionali vanno rispettate, appare maturo il tempo per una riflessione sulle motivazioni giuridiche che portano a tali situazioni nonché sulle possibili conseguenze in ordine a realtà criminogene ormai radicate nel tessuto sociale.

Perché avvengono
Il primo punto da affrontare è perché avvengono tecnicamente quelle che ormai l’opinione pubblica e la stampa qualificano come “scarcerazioni facili”, e che sono poi alla base del dibattuto problema delle “porte girevoli” in carcere (detenuti che entrano ed escono in poche ore dagli istituti penitenziari).
Molti si chiedono: servono leggi più severe per i fatti più gravi ed allarmanti? In realtà le norme attuali sono perfettamente idonee e sufficienti per operare una forte azione di prevenzione e repressione dei crimini anche più efferati. Il problema è – invece – relativo alla interpretazione delle stesse leggi.
Capita spesso che in caso di arresto in flagranza per reati predatori e/o a danno di persone i soggetti responsabili sono “incensurati”, cioè sul certificato penale non risulta registrata alcuna condanna precedente anche se magari stanno commettendo delitti seriali con condanne ripetitive già maturate a loro carico.
Però nel nostro sistema processuale una condanna non viene registrata sul certificato penale prima che essa diventi definitiva e di prassi chi delinque tende logicamente ad affrontare i tre gradi di giudizio. Ne consegue che solo dopo la pronuncia della Cassazione in questi casi la sentenza (con l’eventuale condanna) “passa in giudicato” e diventa definitiva e così viene registrata sul certificato penale. Ma realisticamente per arrivare a questo risultato possono passare anche diversi anni.
Cosa succede in quelle more temporali? Può accadere che soggetti dediti al crimine anche violento commettono reati gravi, vengono arrestati e condannati ma tali condanne paradossalmente non risulteranno sul certificato penale per lungo periodo. Quindi – ad esempio – alcuni soggetti colti in flagranza di tali reati, vengono arrestati ma, seppur in ipotesi sono stati già condannati pochi giorni prima per analogo o diverso reato ed ancora in precedenza hanno subito ulteriore condanna pregressa, il loro certificato penale al momento del terzo arresto li inquadra ancora formalmente senza alcun precedente penale e dunque soggetti “incensurati”.
Qui subentra il problema della interpretazione della legge e della riflessione che andiamo a proporre.

Ipotesi di arresto in flagranza con rito direttissimo
Per alcuni tipi di reati, soprattutto predatori, come ad esempio i furti in appartamento, nella prima fase (udienza di convalida di arresto), esiste nel sistema giudiziario una diffusa prassi interpretativa in base alla quale per un soggetto “incensurato” non deve di fatto essere applicata alcuna misura cautelare di custodia in carcere o arresti domiciliari anche se l’arresto è convalidato. Dunque l’arrestato spesso viene posto immediatamente in libertà prima della seconda fase, il processo per direttissima, anche se nei giorni o nelle settimane precedenti ha commesso altri reati seriali per i quali è stato già denunciato o addirittura condannato in primo grado. Il processo per direttissima se l’arrestato è posto in libertà dopo la convalida in caso di richiesta di termini a difesa, può essere celebrato anche a distanza di molto tempo. Mentre in caso di applicazione di misura cautelare in carcere o di arresti domiciliari potrebbe essere rinviato solo di pochi giorni anche in caso di richiesta di termini a difesa.
Nel successivo giudizio direttissimo la stessa prassi interpretativa diffusa porta a ritenere che il soggetto “incensurato”, in caso di condanna, beneficia della concessione di attenuanti generiche che portano alla diminuzione della pena per un terzo e ad azzerare le aggravanti con forte conseguente ridimensionamento della pena, ed ancora a godere della concessione della sospensione condizionale della pena che porta al diritto alla scarcerazione immediata, anche per reati di forte allarme sociale.

Il rito con convalida davanti al gip
Si tratta di una procedura fisiologica adottata per reati ancora più gravi, tra cui anche quelli di violenza e di sangue. Nonostante la convalida dell’arresto o del fermo dovuta alla evidenza dei fatti contestati, l’elemento valutativo della assenza formale di precedenti penali può portare alla non applicazione della misura cautelare della custodia in carcere e dunque alla scarcerazione immediata o al massimo agli arresti domiciliari o all’obbligo di firma. Questa situazione crea un grave problema, atteso che chi delinque in modo professionale, soprattutto le bande associate di tipo predatorio, hanno ben intuito tale meccanismo e lo sfruttano abilmente a loro vantaggio, collezionando delitti gravi a ripetizione e condanne non definitive fino al passaggio in giudicato delle condanne. I criminali di origine straniera, in particolare, riescono a commettere crimini seriali in questo lungo arco temporale con un lucro rilevante, confidando sul fatto che quando il certificato penale inizierà a risultare compromesso si potranno spostare (e sparire) in altri Paesi, evitando così ogni espiazione di pena. Inoltre, certamente possono lanciare messaggi incoraggianti a parenti ed amici che potranno “ereditare” la loro attività criminale in un turnover senza fine.
Si tratta di bande di predoni dediti all’attacco del patrimonio privato, ma anche che attentano alla incolumità delle persone, perché tali scarcerazioni facilitate ne galvanizzano spesso l’ operato fino a spingerli a reati contro le persone. Non è più dato identificare il confine ragionevole tra l’aggressione al patrimonio privato e l’aggressione fisica alle persone (le cronache ormai confermano – ad esempio – come delitti iniziati quali il furto in appartamento, degenerano poi in violenze e stupri a danno dei presenti in casa , arrivando all’ omicidio). Tutto questo avviene fidando sul fatto che la scarcerazione comunque avverrà in termini ragionevolmente brevi atteso che magari il loro stato di incensuratezza resterà ancora inalterato per mesi o anni.

Servono nuove leggi?
Dobbiamo chiederci se per un soggetto arrestato e/o condannato, ma sulla carta formalmente incensurato, esiste sempre e comunque il “diritto” automatico di ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena o ha solo la “possibilità” potenziale di ottenerla.
Qui intervengono le prassi, che prendono il sopravvento sulle regole giuridiche formali. Una prassi diffusissima a livello nazionale vuole una specie di automatismo standard anche per reati a grave allarme sociale. Analogo discorso per la mancata applicazione di misure cautelari di custodia in carcere o arresti domiciliari per la convalida di arresto con rito direttissimo davanti al giudice monocratico o convalida di arresto o fermo davanti al gip.
Quale articolo prevede questo automatismo? Nessuno, è solo una prassi interpretativa.
Lo stesso discorso vale per le attenuanti generiche che nessuna norma prevede che debbano essere concesse automaticamente.
In realtà la legge non contempla affatto che un imputato incensurato avrà diritto sempre e comunque ad ottenere la sospensione condizionale della pena in caso di condanna. Dispone – invece – che tale pena sospesa “viene ammessa inoltre solo qualora il giudice, tenendo conto delle circostanze di reato descritte dall’articolo 133 cp, presume che il colpevole si asterrà dal commettere altri reati”.
Quindi è una facoltà discrezionale, non un dovere del giudice decidere di concedere o meno tale beneficio. Il codice lo prevede in modo chiaro: deve operare una prognosi favorevole all’imputato in ordine al fatto che costui si asterrà per il futuro dal commettere altri reati, e questa valutazione deve operare tenendo conto delle circostanze di reato descritte dall’articolo 133 del codice penale: “Art. 133. Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena. Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tenere conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”.
Come appare evidente, sono tanti elementi, e tutti sinergici, che concorrono a creare la libera valutazione del giudice sul futuro comportamento dell’imputato condannato. I precedenti penali sono solo uno dei tanti elementi, e non certamente l’unico che deve essere oggetto di valutazione. L’assenza di precedenti non vincola il giudice in modo assoluto.
Viceversa la particolare efferatezza e crudeltà delle modalità di azione, unite alle finalità dell’azione medesima ed all’esame dell’elemento soggettivo nel caso concreto, ben possono far pervenire ad una realistica prognosi sfavorevole seppur in presenza di un certificato penale senza precedenti.
Quello che ci sembra totalmente distonico rispetto alla lettera ed alla ratio legis delle norme in esame è – soprattutto – la prassi dell’automatismo secco: incensurato = sempre e comunque pena sospesa. Certamente, in linea teorica un giudice può anche giungere al convincimento che – indipendentemente dalle altre circostanze – lo stato di incensuratezza è prevalente e, dunque, arrivare a concedere tale beneficio, ma almeno in questo caso viene redatta una motivazione articolata che bilancia tale elemento con gli altri elementi.
Del resto, si veda sul punto: “La concessione o il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena sono rimessi alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale nell’esercizio del relativo potere deve formulare la prognosi, positiva o negativa, di ravvedimento di cui all’art. 164, comma primo, cp. L’obbligo della relativa motivazione da parte del giudice, tuttavia, non viene assolto con la mera indicazione delle circostanze di cui all’art. 133 cp, bensì esplicitando l’iter logico seguito per il giudizio conclusivo, con riguardo ad uno o più delle specifiche circostanze e criteri che egli ritenga prevalenti. Sicché il giudice deve indicare, a tal fine, con adeguatezza, anche se sinteticamente, le ragioni essenziali del suo giudizio prognostico proiettato su una presunta realtà futura”. (Cass. Pen., Sez. I, 8 ottobre 1992, n. 9693 (ud. 18 giugno 1992), P.M. in proc. Bocchetti).

Sospensione condizionale
Anche la sospensione condizionale non è un diritto automatico per l’imputato, ma un beneficio che il giudice può concedere ove riesca a formulare un giudizio prognostico favorevole sulla futura estraneità del reo da ulteriori azioni delittuose: “In tema di sospensione condizionale della pena, la presunzione che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati non deriva, come effetto automatico, dall’assenza di precedenti condanne risultanti dal certificato penale” (Cass. Pen. Sez. II – 6 aprile 91 - n. 3851 - Pres. Sebastio - Est. Nardi).
E si veda che addirittura la Suprema Corte enuncia questo principio: “In tema di sospensione condizionale della pena, la mera considerazione di incensuratezza nei confronti di uno straniero che non risulta avere stabile dimora in Italia e per di più non compiutamente identificato, non può consentire la formulazione di un giudizio prognostico favorevole ai sensi dell’art. 164, comma 1 del cp, che deve essere particolarmente basato sulla personalità dell’imputato al fine di confortare la presunzione di ravvedimento in cui si concreta detto giudizio prognostico” (Cass. Pen. Sez. II - n. 3541 del 4 aprile 95- Pres. Longodorni - Imp. Slimani).

I casi “preliminari”
Analogo discorso vale per le valutazioni nel rito di udienza di convalida dell’arresto per direttissima e nel rito di udienza di convalida di arresto davanti al giudice monocratico o fermo davanti al gip. In questi casi, che potremmo definire “preliminari” rispetto alla fase processuale vera e propria, si presenta la non meno importante fase dell’applicazione delle misure cautelari personali (custodia in carcere o arresti domiciliari). Se è vero ed incontestabile che tali misure cautelari non possono essere un’anticipazione della pena, è altrettanto vero che comunque il codice di procedura penale le prevede e dunque il legislatore ha ritenuto che possano sussistere determinate situazioni nelle quali sono necessarie. I parametri che il codice stabilisce come metro di valutazione per il giudice sono in tal caso: il pericolo di reiterazione del reato, il pericolo di fuga ed il pericolo di inquinamento delle prove.
La prassi interpretativa porta in questi casi a ritenere che un soggetto formalmente incensurato non presenta “solo per tale motivo“ rischi di reiterazione del reato. E questo spesso porta alla scarcerazione nonostante la gravità dei fatti.
In realtà anche in questo caso non c’è una legge che sostiene che lo stato di formale incensuratezza automaticamente debba essere considerato come elemento di mancato rischio di reiterazione del reato. Ed il codice prevede – anzi – che gli elementi di valutazione per identificare tale rischio sono diversi: le specifiche modalità e circostanze del fatto, la personalità della persona desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali.
Un’interpretazione più rigorosa delle norme attualmente vigenti a livello sostanziale e procedurale consentirebbe – senza necessità del varo di nuove leggi – di contribuire a porre freno alla serialità di reati a grave allarme sociale che sempre più si stanno radicando e diffondendo sul territorio nazionale e che vedono uno sforzo sempre più rilevante delle forze di polizia per il relativo contrasto che a volte si ha – tuttavia – la percezione sociale di essere di fatto vanificato nella percezione dell’opinione pubblica.

*magistrato di Cassazione con funzioni di gip, tribunale di Terni

01/04/2012