Flaminia Callisto*
Meglio amaro
Fin dal Medioevo il sangue troppo dolce era considerato un sintomo preoccupante. Oggi in Italia il diabete colpisce oltre 3,5 milioni di persone. L’importanza della prevenzione, della perdita di peso e di una regolare attività fisica
Fu Areteo di Cappadocia, nel II secolo dC, a coniare il termine diabete, dal verbo greco diabainein (attraversare) che ricorda il fluire dell’acqua e quindi il sintomo più evidente della malattia: l’eccessiva produzione di urina. Il suffisso mellito (dal latino mel: miele, dolce) è stato aggiunto nel 1600 per il sapore dolce del sangue, ma già dal Medioevo i medici facevano la diagnosi assaggiando le urine dei pazienti. Distinguiamo il tipo1, giovanile e insulino-dipendente e il tipo2 (95% dei casi) che insorge nell’età matura. In quest’ultimo caso, sia perché il pancreas produce meno insulina (l’ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue) sia per altre disfunzioni, si determina un accumulo in circolo di zucchero (iperglicemia) generalmente non trattato con insulina. Ricordiamo anche il diabete gestazionale, che si ha nel momento in cui si trova una glicemia elevata per la prima volta in gravidanza (2‑12% circa delle gravidanze). Il diabete interessa 3,5 milioni di italiani e costa al nostro Sistema sanitario nazionale circa 10 miliardi di euro l’anno. Il sovrappeso rappresenta oggi il fattore di rischio più importante per il diabete tipo 2: molti studi dimostrano che è possibile prevenirlo, almeno in parte, con una diminuzione dell’apporto calorico di 30
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