Anacleto Flori
Giocate criminali
L’ombra delle organizzazioni criminali sulla gestione del gioco d’azzardo in Italia. Le indagini e le strategie del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato per contrastare ogni tentativo di infiltrazione
Una volta c’era il gioco delle tre carte, onnipresente in ogni fiera di città e lungo le banchine delle stazioni ferroviarie; trappole irresistibili per “i polli da spennare” che si fermavano a guardare. E le bische fumose in cui auto, case e stipendi passavano velocemente di proprietà nell’arco di qualche “mano” di poker. Anche i vecchi allibratori che raccoglievano scommesse clandestine dentro o fuori gli ippodromi sembrano ormai un ricordo lontano. Per non parlare dei cosiddetti “picchetti” gestiti davanti ai bar da piccoli pesci della mala locale: scommettere sui risultati delle partite era ovviamente vietato, però con poche migliaia di lire ci poteva scappare una cena in pizzeria per tutta la famiglia… Altri tempi e altre cifre. Oggi il gioco d’azzardo legale ed illegale in Italia è un affare che muove numeri pazzeschi: 10 miliardi di euro è la torta da dividersi ogni anno. Ed è una torta che fa gola a molte, troppe persone, ma soprattutto ai grandi gruppi della criminalità organizzata che hanno ben presto intuito che la vera mucca da mungere, per fare tanti soldi con pochi rischi, è rappresentata dal circuito dei videopoker, reso legale anche in Italia all’inizio del nuovo millennio. Ed ecco allora scendere in campo clan mafiosi come gli Inzerillo (Palermo), Di Donna (La Spezia e Massa Carrara), Valle-Lampada (Milano e provincia) Pelle-Gambazza (Piemonte-Reggio Calabria), Bidognetti (Emilia Romagna –Caserta) Lo Piccolo (Chivasso – Sicilia), Mazzarella (Napoli) solo per citarne alcuni.
Di fronte a questo “assalto alla diligenza” da parte della criminalità organizzata, c’è bisogno di risposte all’altezza della sfida in atto. Alcuni segnali sono arrivati proprio in questi giorni. Il capo della Polizia Antonio Manganelli ha aperto il I Seminario sulla legalità nello sport, che si è svolto lo scorso 5 marzo a Roma, con un “colpiremo duro” che non lascia dubbi sull’impegno e la severità con cui la Polizia di Stato intende affrontare il fenomeno delle scommesse illecite nel calcio. E la ferma presa di posizione del prefetto Manganelli segue di qualche ora la notizia che l’Amministrazione dei Monopoli di Stato si sta apprestando ad approvare un apposito decreto che prevede uno stanziamento di 100mila euro all’anno da destinare ai propri ispettori per potenziare le operazioni di controllo. Ma una prima risposta da parte delle Istituzioni c’era già stata nel 2002 con la nascita della Polizia dei giochi e delle scommesse strutturata in un Nucleo centrale investigativo presso lo Sco, il Servizio centrale operativo, e con un capillare sistema di speciali “sensori”, (rappresentati dai 26 Nuclei interprovinciali presso le Squadre mobili distrettuali) costantemente in allerta per contrastare, reprimere e se possibile anticipare le mosse di delinquenti sempre più agguerriti. «Per quanto riguarda la fenomenologia delle attività illecite connesse ai giochi e scommesse leciti – spiega Marco Garofalo responsabile del Nucleo centrale dello Sco – oggi ci troviamo di fronte a due grandi stratificazioni, dovendosi opportunamente distinguere tra un circuito legale ed uno illegale. Nel primo caso c’è un pericoloso tentativo di infiltrazione del sistema legale e di aggiramento dei controlli da parte della criminalità, anche organizzata, dall’altro, invece, c’è il “tradizionale” gioco d’azzardo meramente nero e illegale; sempre importante sotto l’aspetto investigativo, ma ormai secondario dal punto di vista dei guadagni illeciti. In effetti, la legalizzazione in Italia delle scommesse ha evidentemente tolto spazio ai fenomeni illegali tradizionali come i “picchetti” sulle corse ippiche, il totonero e il lotto clandestino, ormai ridotti a fenomeni “di nicchia”. Per altro verso il giro d’affari che “ruota” intorno ai nuovi sistemi informatici e telematici di raccolta delle scommesse legali è infinitamente più ingente rispetto alle somme gestite dai tradizionali “picchettari” o allibratori di vecchia memoria. Per tale ragione, anche la stessa criminalità ha iniziato a considerare molto più produttivo la creazione di veri e propri “bypass” illegali intorno a un sistema legale piuttosto che metterne in piedi e mantenerne uno del tutto illegale». E proprio sulla ricerca continua di nuovi “bypass” da una parte e la loro scoperta dall’altra che si gioca la partita, ancora tutta aperta, tra criminalità e forze dell’ordine. Una partita che in questi anni non ha conosciuto confini e che ha portato le Squadre mobili di tutta Italia, sostenute dallo Sco, ad assestare colpi durissimi alla malavita: in quasi 10 anni di attività da Nord a Sud, dall’Alto Adige alla Sicilia sono oltre 700 le persone arrestate e 7.900 quelle denunciate, mentre il numero dei videopoker e delle slot machine sequestrate supera quota 10mila. Circa 400 sono stati gli esercizi pubblici e privati sequestrati o a cui sono state revocate e sospese le licenze, ma quello che colpisce di più è forse l’entità dei beni e dei soldi sequestrati: oltre 21 milioni di euro.
Sulla scia di tre di queste operazioni, condotte, nel recente passato, a Bolzano, Messina e Milano dagli uomini della polizia, abbiamo ricostruito le diverse modalità con cui di volta in volta è stato aggredito il circuito legale dei giochi e delle scommesse: dall’introduzione di ingegnosi software in grado di “taroccare” le slot machine alla costruzione di server contraffati per gestire in proprio il giro degli scommettitori, fino all’escamotage di “staccare” le macchinette dalla rete dei Monopoli.
“Last Bet”- La nuova frontiera delle scommesse illegali nel calcio
Lo scandalo che in questi mesi sta investendo il calcio nazionale non ha nulla in comune con quello scoppiato a metà degli Anni ’80 quando il commerciante di frutta Massimo Cruciani e il ristoratore Alvaro Trinca, “furbetti del quartierino”, truccarono una manciata di partite sfruttando le frequentazioni con alcuni calciatori della Capitale. Oggi il giro delle scommesse calcistiche illegali è diventato la nuova frontiera del gioco d’azzardo mondiale. Un giro i cui mille tentacoli sono stati scoperti grazie all’ inchiesta denominata “Last Bet”, condotta da una specifica équipe investigativa, composta dalle Squadre mobili di Cremona, Brescia e Bologna e dal Servizio centrale operativo, e coordinata dalla Procura cremonese. Un’indagine che ha portato all’arresto, tra giugno e dicembre dell’anno scorso, di 35 persone, tra le quali l’ex bomber della Nazionale Beppe Signori e l’ex capitano dell’Atalanta Cristiano Doni. «Ci siamo trovati di fronte a un’organizzazione internazionale estremamente complessa e raffinata – spiega ancora Marco Garofalo – in grado di manovrare e inquinare interi settori del calcio italiano. La base operativa, che faceva capo al boss asiatico Tan Seet Eng, si trovava a Singapore e poteva contare su numerosi emissari dell’Est europeo (i cosiddetti “zingari”, così chiamati dagli stessi scommettitori) che avevano contatti in mezza Europa, dalla Finlandia alla Germania, dalla Croazia all’Ungheria, dalla Svizzera alla Macedonia». Commessi viaggiatori della truffa, che con le loro valigette piene di soldi erano sempre pronti a corrompere arbitri e giocatori per garantirsi, di volta in volta, un pacchetto di gare con punteggi precostituiti su cui scommettere attraverso siti dislocati proprio a Singapore, in Cina o in altri Paesi esteri. Le indagini hanno dimostrato che si scommetteva davvero su tutte le combinazioni possibili; dal classico “over” (in cui una squadra vince la partita con più di 3 goal) al punteggio fissato alla fine del primo tempo, dalla squadra che avrebbe segnato per prima all’ assegnazione di uno o più rigori nel corso dello stesso incontro. Erano situazioni di gioco talmente particolari che a volte i risultati non si verificavano e la combine saltava. Ma quando tutto filava liscio, i guadagni erano altissimi, anche perché gli scommettitori asiatici avevano un credito quasi illimitato presso i siti in questione: il solo Tan See Eng era in grado di scommettere, semplicemente sulla parola, fino a 10milioni di euro. Nel frattempo l’inchiesta della Polizia di Stato va avanti e, tra conferme e nuove dichiarazioni, si ha sempre più l’idea che quella emersa finora è solo la punta dell’iceberg.
All’ombra del dragone
Nell’immaginario collettivo mahjong (antichissimo gioco delle tessere) e morra rappresentano l’essenza dei giochi cinesi. Non c’è da stupirsi, allora, se in Cina, nonostante la severità delle pene, la maggior parte degli esercizi pubblici e privati possieda un retrobottega, poco illuminato e fumoso, in cui giocare. Piccole bische clandestine, quasi tutte controllate dalla famigerata Triade, dove il poker la fa da padrone. Nulla di particolarmente nuovo dunque, se non fosse che lo scorso anno, prima a Genova e poi a Prato, la Polizia di Stato ha fatto irruzione in due locali denunciando 17 cittadini cinesi per gioco d’azzardo. Al momento il fenomeno sembrerebbe limitarsi a qualche casinò illegale organizzato esclusivamente per i propri connazionali, ma vista la proverbiale capacità di espansione dei prodotti “made in China”, chissà se il rischio di una nuova frontiera del gioco d’azzardo nascerà proprio all’ombra del Dragone.
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Bolzano – “La madre di tutte le operazioni”
Quello messo a segno nel luglio del 2005 dalla Squadra mobile bolzanina, col sostegno del Servizio centrale operativo, è stato il primo vero, duro colpo al mondo del gioco d’azzardo e dei videopoker illegali. La “madre di tutte le operazioni”, quella che ha permesso agli uomini della Mobile e alle forze dell’ordine di scoprire in che modo si potevano “taroccare” le slot machine frodando lo Stato, prende avvio nel cuore dell’Alto Adige ma, dopo una serie di indagini durate oltre un anno, finisce per estendersi anche alle città di Trieste, Rovigo, Verona, Mantova e Roma. «Si è trattato di un’operazione assai difficile da condurre in porto – ci racconta Giuseppe Tricarico, attuale dirigente della Squadra mobile di Bolzano – che si è conclusa con l’arresto di 6 persone e il sequestro di 440 macchinette installate in oltre 300 esercizi pubblici, alcuni dei quali, colpiti da ordinanze di chiusura, sono stati costretti ad abbassare le serrande. Le difficoltà incontrate dagli inquirenti erano dovute al fatto che, apparentemente, i videopoker risultavano regolarmente collegati alla rete dei Monopoli, in realtà, attraverso l’uso di sofisticati software i gestori riuscivano a “scalare” il volume delle giocate registrate su ogni postazione. Un po’ come avviene quando meccanici e rivenditori poco onesti azzerano il contatore delle automobili per farle sembrare più nuove. In questo modo la percentuale sulle giocate da versare allo Stato risulta decisamente inferiore al dovuto». Un meccanismo ben congegnato, messo a punto da un gruppo di abili truffatori scoperto solo grazie all’intervento di personale tecnico altamente specializzato che ha affiancato il lavoro della Squadra mobile. Si è calcolato che in questo modo, gli ideatori della truffa hanno sottratto all’Erario qualcosa come 3 milioni e 400mila euro. E con l’operazione della Mobile di Bolzano le casse dello Stato sono riuscite a recuperare oltre 1 milione di euro.
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Messina - Operazione “Provider”
Un’operazione lunga, tenace, paziente. Costata 6 mesi di indagini serrate e articolate che dal settembre 2008 al marzo 2009 hanno attraversato l’Italia sulle tracce di un vasto giro di scommesse clandestine che ha richiesto l’intervento, oltre che della Squadra mobile messinese, anche di quelle di Roma, Napoli, Latina, Lecce, Foggia, Sassari, ma soprattutto della Sezione della postale di Catania che ha “svelato” i segreti nelle centinaia di file custoditi negli hardware sequestrati alla banda. Questo in sintesi il quadro in cui si è svolta l’operazione “Provider” che, partita quasi per caso da una richiesta estorsiva di stampo mafioso fatta ai danni di una società, ha portato all’arresto di 13 persone e al sequestro di 8 società, 7 depositi postali e un conto corrente bancario. «La base operativa, che faceva capo a Paolo Rigano, aveva sede qui a Messina – racconta il dirigente della Mobile Giuseppe Anzalone – ma poteva contare su un numeroso gruppo di esperti informatici impegnati a creare e a gestire siti “clonati”, identici a quelli legali, ma in pratica collegati a provider con sede a Malta, in Austria e altri Paesi esteri. E addirittura uno di questi siti illegali si nascondeva dietro quello ufficiale del Vaticano. Sull’homepage campeggiava l’immagine rassicurante di Papa Benedetto XVI, bastava però “cliccare” sul desktop e il giocatore veniva direttamente collegato alla rete parallela». In questo modo la banda di truffatori, pur essendo regolarmente in possesso delle licenze concesse dai Monopoli, riusciva ad aggirare i controlli sulle scommesse online ufficiali garantendosi un giro d’affari che ammontava a 2-3 milioni di euro all’anno. Inoltre, grazie ai bonus offerti dai gestori, gli scommettitori erano invogliati a puntare sui siti “pirata” piuttosto che su quelli ufficiali. E alla truffa si aggiungeva altra truffa grazie all’uso di software che, inseriti nel sistema, garantivano al gruppo criminale una percentuale di vincita ben oltre la soglia del 50%, prevista dalla legge.
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Milano - ascesa e caduta del clan Lampada
Le manette ai polsi del boss Giulio Lampada sono scattate la mattina del 30 novembre 2011, ma già da qualche mese la Sezione criminalità organizzata della Squadra mobile meneghina, diretta dal vice questore aggiunto Maria Jose Falcicchia, gli aveva bloccato i conti e sequestrato le società, costringendolo a girare per la città con un sacco pieno di monete per pagare i conti dei lussuosi ristoranti in cui cenava, ma soprattutto per saldare le rate della concessione governativa sulle slot machine e non perdere così quelle licenze che lui aveva ben presto trasformato in una gallina dalle uova d’oro. 40-50mila euro al giorno. Tanto valeva il business delle oltre 300 macchinette elettroniche disseminate in tutta Milano e che ora erano diventate, per il boss messo alle corde, una sorta di inesauribile e personalissimo bancomat in grado di erogare fino a 2.000 euro a postazione. L’operazione della Mobile milanese, giunta dopo quasi 3 anni di indagini, ha interrotto bruscamente una sfolgorante carriera criminale: da macellaio a re dei videopoker. Giulio Lampada, infatti, appartiene a una famiglia reggina strettamente imparentata attraverso un doppio matrimonio con un potente clan ’ndranghetista, quello dei Valle il cui capofamiglia, Ciccio, decide di emigrare in Lombardia a metà degli Anni ‘70 per farsi largo nel traffico della droga, riciclaggio, estorsioni ed usura. Spetta alle nuove generazioni e soprattutto a Giulio intuire che dietro quelle luccicanti macchinette mangia soldi si nasconde una vera e propria fortuna. Basta entrare nel circuito legale delle scommesse (riciclando così anche una buona parte di soldi sporchi), truccare le regole del gioco non collegando le macchinette alla rete dei Monopoli di Stato, e magari garantire anche ai proprietari dei bar un piccola parte di guadagno in nero. Come se non bastasse i rischi che si corrono sono davvero minimi. Se nel corso di un controllo viene trovato un apparecchio non collegato, le sanzioni, amministrative e non penali, sono quasi irrisorie: poco più di 500 euro di multa. Sulla scia di una simile prospettiva, dal ristorante La Masseria di Cisliano, alle porte di Milano, il quartier generale del clan Valle-Lampada si sposta all’ombra della Madonnina, a piazzale Brescia, in pieno centro, dove creano un vero e proprio ufficio-cassaforte in cui far affluire i soldi rastrellati in città. «Anche se l’attività criminosa del clan Lampara-Valle era già nota da anni alle forze dell’ordine – racconta Maria Jose Falcicchia – le indagini sul filone delle slot machine partono nel 2008, mentre i primi arresti, che lambiscono, ma ancora non investono, il clan dei Lampada risalgono al 2010. Fin dall’inizio l’escamotage su cui punta Giulio Lampada è quello di collegare alla rete dei Monopoli solo una quota minima di macchinette, mentre il resto dell’attività è rigorosamente in neri. Le slot venivano subappaltate e dislocate nei diversi esercizi commerciali della città e svuotate praticamente ogni giorno, come una sorta di bancomat. Ma quello che colpisce di più è la grande disponibilità di soldi ostentata in questi anni: una ricchezza che rende possibile la costruzione di una vasta rete di corruzione e connivenze. Basti pensare che per garantirsi l’impunità il clan metteva a disposizione della squadra di finanzieri che avrebbe dovuto controllare l’attività delle società concessionarie oltre 60mila euro al mese. In questo modo i controlli amministrativi venivano effettuati solo sulle quelle poche macchinette che erano regolarmente collegate alla rete dei Monopoli. Un meccanismo perfettamente oliato in grado di produrre guadagni sull’ordine dei 20-30 milioni di euro all’anno». Ovviamente in nero.